Il posto di Tennessee Williams nella southern gothic literature

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Fernanda Pivano incontrò Tennessee Williams nel febbraio del 1948. Williams aveva trentasette anni e in quel periodo viveva a Roma, in una casa in affitto di una traversa di Via Veneto. Quando raggiunse i suoi ospiti indossava una vestaglia di seta marrone, aveva i capelli bagnati e residui di sapone sul volto. Rispondeva alle domande con un “distacco cortese”, dando l’impressione di essere infastidito ma rassegnato, come se sapesse che quello era il prezzo da pagare per essere considerato il più grande drammaturgo degli Stati Uniti. Di quel confronto, Fernanda ricorda una cosa importante che Williams disse a proposito di Cechov: le disse che nei suoi lavori cercava di replicare quel modo che aveva lo scrittore russo di dare importanza ad avvenimenti che in apparenza non ne avevano, lo attraeva la sua capacità di «descrivere l'isolamento degli essere umani e la loro incapacità tragica di capirsi».

Per comprendere la narrativa di Williams non si può prescindere dalla sua storia personale. Thomas Williams (1) nacque nel 1911 a Columbus, nel Mississippi. Scoprì di essere omosessuale abbastanza giovane e restò segnato dalla morte del nonno, nel quale aveva trovato l’approvazione che non ottenne da suo padre perché troppo distante dal prototipo del maschio del Sud. Ansioso, ipocondriaco e claustrofobico, Williams era preda di mille nevrosi. Si laureò lo stesso giorno in cui sua sorella Rose venne rinchiusa in un ospedale psichiatrico nel quale, dopo diverse terapie fallimentari, fu sottoposta a lobotomia. Williams si sentiva in colpa nei confronti di Rose e allo stesso tempo aveva paura di fare la stessa fine.

La scrittura di Williams rievoca parte delle sue esperienze ma mira a raccontare le disfunzioni presenti in tutte le comunità del Sud, il decadimento etico e morale che si nascondeva dietro un velo di presunta integrità. Ma perché Tennessee Williams è associato al gotico americano? Le categorizzazioni sono sempre un po’ forzate, ancor più inadatte nel caso Williams. Volendo però analizzare le ragioni dei critici, ho provato a tracciare una sorta di mappa concettuale, cercando di capire quali sono i punti di contatto e le licenze dello scrittore rispetto al genere.

La colpa

Il primo elemento che congiunge Tennessee Williams agli scrittori gotici è la colpa che vivono i personaggi, la stessa colpa – primitiva, ancestrale – degli uomini di William Faulkner. È un peso che sente l’individuo come singolo e come elemento costitutivo di una comunità peccatrice, come essere facente parte, sul malgrado, di un mondo irreversibilmente corrotto.
In realtà, i peccati del mondo sono solo i suoi eccessi, le sue carenze, ed è per espiare questi che bisogna soffrire. Un muro non eretto in una casa perché le pietre sono finite, una stanza rimasta senza mobilio in un alloggio perché il proprietario non ha più quattrini: incompiutezze di questo genere sono di solito coperte o mascherate da qualche arrangiamento di fortuna. La natura dell’uomo è piena di arrangiamenti, che ciascuno escogita per coprire le proprie carenze. Sente che una parte di lui è come un muro mancante o una camera rimasta vuota e fa del suo meglio per cercare una compensazione.
In questo passo, tratto dal racconto Il desiderio e il massaggiatore negro, Williams individua l’origine della colpa: l’individuo trasgredisce perché si sente parziale e camuffa la mancanza con tentativi maldestri e improvvisati. Le trasgressioni fanno capo al Desiderio, l’impulso che spesso separa cuore e ragione. Per Williams «il desiderio è qualcosa che viene a occupare uno spazio più grande di quello che il singolo individuo può concedergli». E così, quando l’uomo dà voce ai suoi desideri, viene assalito da un senso di colpa che sente di dover espiare punendosi in ogni modo possibile. Andare incontro al desiderio vuol dire farsi del male.
D’altro canto, la violenza, come può esserlo una guerra, fra due uomini o fra più nazioni, è pure un cieco e insensato compenso per tutto ciò che ancora non è formato nella natura umana. E c’è ancora un’altra compensazione, che si trova nel principio dell’espiazione, nell’offrire se stessi alla violenza altrui con l’idea di liberarsi in tal modo di una colpa.
Cito sempre lo stesso racconto, Il desiderio e il massaggiatore negro, perché è il più emblematico di tutti, la trasfigurazione del concetto di espiazione. Anthony Burns è un uomo dimesso e introverso; ha sempre tenuto a bada la sua indole finché la stessa si rivela a lui in un modo inaspettato. Un giorno qualsiasi, in un centro massaggi, si accorge di provare un piacere sconosciuto e sconsiderato, provocato dall’approccio aggressivo del suo massaggiatore. Il rapporto tra i due sfocia in una relazione violenta che Anthony accetta come pegno della sua trasgressione. Tra tutti i protagonisti di Tennessee Williams, Anthony è l’unico che segue le proprie pulsioni. Fino in fondo e fino alla fine: il racconto si conclude nella punizione massima, giunta attraverso la morte di Anthony per mezzo del veicolo del suo desiderio.


La violenza

L’espiazione (la purificazione) si compie attraverso la violenza, come insegna anche Flannery O’Connor. Le storie di Tennessee Williams sono piene di scene di violenza, soprattutto sessuale (nel dramma Un tram che si chiama desiderio memorabile è il personaggio di Stanley Kowalski, un uomo sensuale e brutale. Dopo una serie di intrecci, Stanley violenta Blanche, la sorella di sua moglie, causandole un esaurimento nervoso che la condurrà in un manicomio). Il narratore a cui Williams sceglie di affidarsi è sempre la vittima della violenza, un abuso dal quale raramente si difende, più spesso si sottopone con un’indifferenza esasperata, come se avesse rinunciato al proprio corpo parecchio tempo prima. «Non è sano né normale essere così passivi» dice Billy nel racconto Lega a due. Le vittime di violenza sono uomini colti nel buio della notte, in squallide pensioni di quartiere nel momento delicato che passa tra la veglia e il sonno. Qualche volta si arrendono a donne sciatte e sgarbate (come nei racconti La maledizione o Rubio y morena), più di frequente sono sottomessi da altri uomini, burberi, malati e soli, che cercano un attimo di precario conforto (L’angelo nella nicchia).
Dio mio, e quando ti alzavi la mattina, c’era il sole allo stesso posto in cui l’avevi visto il giorno prima – che si levava dal cimitero dietro la strada, come se i suoi custodi notturni fossero i morti senza carne –, e a guardarlo attraverso la solita bruma fumosa della città, era un biscotto, rosso e tondo, quando sarebbe potuto essere magari quadrato o vermiforme: qualunque cosa potrebbe essere qualsiasi altra cosa e non avere, per questo, più senso...
Un sole, splendente e pieno, era una testimonianza sfacciata del fatto che, anche se tutto era diverso, niente sarebbe mai cambiato. Perché tormentarsi, allora? (2)


L’innocenza

Una delle caratteristiche del gotico americano è la presenza di personaggi fuori dall’ordinario. Sono i deboli, i più sensibili, disabili o malati di mente: «broken bodies, and even more broken souls». Così è Benji nel romanzo L’urlo e il furore. Così è Rose, la sorella che Williams sembra rievocare in ogni donna che racconta. In La rassomiglianza, scrive del rapporto che avevano senza abbellimenti né maschere: è Thomas che racconta di quand’era ragazzo, di quanto si sentisse vicino a lei anche quando si scoprì innamorato dello stesso uomo. Ma è in Ritratto della ragazza di vetro del ‘43, il racconto che diventerà l’opera teatrale Lo zoo di vetro, che Williams riversa ogni sentimento d’amore nei confronti di Rose. Laura Wingfield è una ragazza timida e insicura, rimasta zoppa dopo una lunga malattia e perciò ancora più vulnerabile agli sguardi invadenti degli uomini. Suo padre è scappato di casa lasciandola con il fratello Tom e la madre Amanda. Una sera Tom invita a cena un collega, spinto dalla madre che vuole combinare un matrimonio per la figlia. Si chiama Jim e ha dei modi così affabili che Laura sente di potersi fidare. Ballano insieme, anche se lei non riesce a stargli dietro a causa della gamba. Più tardi gli mostra la sua preziosissima collezione di creature di vetro; gliene poggia una sul palmo della mano, un regalo che non aveva mai concesso a nessuno. Ma Jim non è così diverso dagli uomini che Laura aveva conosciuto e quando si svela, anche se non riusciamo a vederlo perché niente sembra cambiato, sentiamo (e lo sentiamo grazie alla scrittura di Williams), che qualcosa dentro di lei va in pezzi.


Tennessee Williams è un vero southern gothic writer?

La southern gothic literature è la letteratura del mistero, mistero evocato attraverso la commistione di realismo e grottesco; sono storie di creature selvagge tratteggiate in modo paradossale, scosse da contraddizioni che spesso si risolvono in atti criminali e violenti. Tennessee Williams combina tutti questi elementi con uno stile ispirato e poetico. (3)

Ma qualcosa manca, qualcosa che distingue la narrativa di Williams da quella di Faulkner, di Flannery O’Connor e di tutti gli scrittori gotici americani: manca Dio. La fede crea il maggior conflitto nel cuore della gente del Sud perché anima o annienta la loro violenza e regola gli impulsi dei loro desideri (non a caso l’area che comprende gli Stati Uniti meridionali è chiamata Bible Belt per la grande percentuale di cristiani, per lo più protestanti). E manca un’identità religiosa nella scrittura di Williams perché mancava nella sua vita.
In un’intervista di James Grissom, (l’autore di Follies of God, il libro su Tennessee Williams e le sue “women on the fog”), alla domanda se considera la religione un elemento importante nella sua esistenza, lo scrittore risponde: «Well, define religion». Secondo Williams, tutto può essere considerato divino – i soldi, il successo, la cocaina o il valium  – perciò niente è divino a priori. La sua idea di fede è cambiata negli anni, ammette, come dovrebbe cambiare in ogni persona dotata d’immaginazione, intelligenza e curiosità. Però aggiunge: «La scelta di una religione definisce la persona in modo coraggioso e definitivo». E questo è il compito che Tennessee Williams affidava ai suoi protagonisti, violenti e colpevoli, soli e innocenti: il compito di cercare una religione per sé, una fede – qualunque fosse – che li aiutasse a trovare un posto nel mondo.

Mi piace pensare, invece, che la sua verità l’abbia nascosta tra le storie che ha scritto, come spesso succede quando scrivere diventa anche un atto di fede. Ne L’angelo di nicchia, quando confessa: «avevo già imparato a fare della perseveranza una religione e della disperazione un segreto».



***

(1) Nasce come Thomas Lanier Williams ma poi sceglie di usare lo pseudonimo Tennessee in memoria dei suoi antenati che avevano combattuto gli indiani in quelle terre.

(2) La solitudine nei racconti di Tennessee Williams è una presenza costante; ognuno è chiuso in sé, incapace di comunicare il proprio disagio. Sembrano tutti così vicini, a un palmo di mano, eppure basta un attimo per accorgersi che la distanza è incolmabile. Come in questa scena, tratta da Il campo dei bambini azzurri

«Quando si fermavano sotto casa gruppi di ragazzi mezzo ubriachi in giro per serenate, pure loro irrequieti dopo gli ultimi balli, Myra accendeva la lampadina del letto e si chinava fuori sopra le loro teste, battendo in sordina le mani a imitare un entusiastico applauso. Quando se ne andavano, rimaneva alla finestra a guardar fuori, con la luce spenta, ed era triste, indicibilmente triste sentire le voci roche che si allontanavano lungo i viali chiazzati di luna finché non si udivano più o finché non erano sommerse dal rumore di un motore in partenza, aspro all’inizio come il crepitare di ghiaia e poi dolce nel ritmico pulsare, seguito infine dal totale silenzio azzurro della notte».

(3) La scrittura di Tennessee Williams segue un andamento irregolare: ogni storia, che sia un dramma o che sia un racconto, comincia con un’introduzione lenta e ponderata, come i classici C’era una volta delle fiabe, e poi precipita, qualche volta troppo velocemente. È come se avesse il timore di non riuscire a dire "la cosa importante" abbastanza bene e abbastanza in fretta. Sembra descrivere se stesso, nel racconto Rubio y morena: «Scriveva nel modo in cui aveva sempre fatto l’amore, con un senso di apprensione, con fretta cieca e febbrile come se avesse paura di non essere capace di completare l’atto». Il messaggio giunge nel bel mezzo del racconto come un’esplosione, una verità che Williams rivela sempre in modo eccezionale.



Libri citati
Un tram che si chiama desiderio. Einaudi, 1973. Traduzione di Gerardo Guerrieri.
Lo zoo di vetro. Einaudi, 1987. Traduzione di Gerardo Guerrieri.
Tutti i racconti menzionati sono contenuti nella raccolta L’innocenza delle caramelle. Edizioni e/o, 2014. Traduzioni di Nora Finzi e Giuliana Beltrami.

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