Il telefono squilla e l’uomo con i capelli grigi si volta in direzione della ragazza. Sono sdraiati sul letto, questo non lo leggiamo ma riusciamo a intuirlo, quando lei volta la testa verso di lui con un occhio chiuso per pararsi dalla luce. L’uomo le chiede se, per qualche ragione, preferisce che lui non risponda. Lei esita, ma lui insiste, allora lei si tira su spostando il peso sull’avambraccio: «Dio mio. Non so. Tu cosa dici?». L’uomo dai capelli grigi dice che per lui è lo stesso, non fa differenza. Allunga il braccio per raggiungere il telefono, si mette a sedere e risponde. La voce di un uomo, dall’altro capo, è impaziente: «Sei tu Lee? Ti ho svegliato?». L’uomo si gira per un secondo a guardare la ragazza: «Sei tu Arthur?». L’uomo al telefono si scusa, chiede se disturba. L’uomo con i capelli grigi lo rassicura: non dormiva, stava leggendo. Chiede ad Arthur se c’è qualcosa che non va. «Volevo solo chiederti, Lee, non hai mica notato quando Joanie è andata via?». L’uomo dai capelli grigi fissa un punto nella stanza, al di là della ragazza. No, non l’ha vista. Ma qual è il problema? Arthur dice che non lo sa, che ogni volta che Joanie si sbronza non si sa mai come va a finire. L’uomo coi capelli grigi chiede ad Arthur come si sente, se è a casa, se è ubriaco. Gli dice di stare tranquillo, che tra poco Joanie arriverà; l’avranno trascinata a bere qualcosa, è per questo che sta tardando. Sicuramente avranno insistito per farla restare. Arthur s’infiamma: entrambi sanno bene che Joanie non ha bisogno che qualcuno la trascini per portarla da qualche parte. Poi si scusa, dice che non sa cosa gli prende, gli dispiace se l’ha svegliato. Ogni sera, Arthur ha la tentazione di andare a controllare dentro tutti gli armadi. Ogni sera, quando torna tardi, ha paura di trovare qualcuno. Sono cinque anni, ormai, e non ce la fa, non ce la fa più. L’uomo coi capelli grigi dice che è proprio questo il problema: Arthur tratta Joanie come una stupida, una donna senza cervello. «Cervello? Gesù, se tu sapessi quanto mi fai ridere. (...) Lo sai chi ho sposato io? Vuoi che ti dica chi ho avuto la fortuna di sposare? Ho sposato la più grande romanziera inedita, la più grande psicanalista incompresa, la più grande celebrità vivente e misconosciuta di New York. Questo non lo sapevi, eh? Cristo, è così divertente che mi taglierei la gola». Arthur chiede all’amico se ha mai sentito Joanie parlare di un uomo. Uno chiunque, il più miserabile: per lei è sempre "affascinante da morire". L’uomo coi capelli grigi cerca di cambiare argomento, ricorda che quel giorno Arthur avrebbe dovuto sostenere una causa e ne approfitta per chiedergli com’è andata. Arthur non lo sa, forse è andata male. Anzi no, è andata proprio male: l’ha persa. Avrebbe voluto dirglielo prima ma non c’è stata occasione. A proposito, vuole tornare nell’esercito. La verità è che avrebbe dovuto lasciarla prima, Joanie, ma non c’è riuscito, e non c’è riuscito perché gli faceva compassione. «Mi faceva compassione». L’uomo coi capelli grigi ricorda ad Arthur che Joanie non è più una bambina. È una bambina adulta, risponde Arthur: è peggio. È patetica. Certe volte la guarda dormire. Lei avrebbe bisogno di qualcuno più aggressivo, che la picchi, anche, qualcuno che non sia debole come lui sente di essere. In realtà, continua, non sa neanche se l’ama. Gli sembra di sì, altre volte invece no. Poi però succedono certe cose, «Tutte le volte che mi carico per battere i pugni sul tavolo, andiamo a cena fuori, magari, o capita che le do un appuntamento da qualche parte e lei se ne arriva magari con certi guanti bianchi o una cosa così, no? Non so. (...) Oppure mi metto a pensare, Cristo, è così imbarazzante, comincio a pensare a quella stronza di poesia che le mandai quando cominciammo a uscire insieme. “Rosa e bianco i miei colori, bella bocca e occhi miei verdi”. Dio se è imbarazzante... una volta mi faceva sempre pensare a lei. Non che lei abbia gli occhi verdi, ha degli occhi come delle porche conchiglie, porca vita, ma mi facevano lo stesso pensare a lei, quei versi... non so. Lasciamo perdere, che tanto parlo solo a vanvera. Mandami al diavolo, cosa aspetti?». L’uomo coi capelli grigi non ha alcuna intenzione di mandarlo al diavolo, e no, per l’ennesima volta, non lo sta disturbando. Non dormiva, è da tempo che non dorme, ma continuare a parlare non porterà loro da nessuna parte. La cosa più sensata da fare, adesso, è rilassarsi. Tra qualche minuto Joanie tornerà a casa. Mettersi a letto, distendere i nervi. Sente quasi di averlo convinto. Poi però Arthur ci ripensa e domanda se, visto che sono rimasti svegli tutta la notte, possono bere qualcosa insieme. Potrebbe fare un salto a casa sua, se la cosa non gli secca. L’uomo drizza la schiena e si passa una mano sulla testa. Sotto la luce della lampada i capelli non sono più grigi ma sembrano quasi tutti bianchi: «Venir qui, dici?».
***
Come in tutti i racconti di J. D. Salinger, anche in Bella bocca e occhi miei verdi è importante il come prima ancora del cosa. Io ho provato a raccontarlo riportando solo quello che accade, che corrisponde a un terzo della potenza della storia. Il talento di Salinger è in quello che lui non scrive, nel sottinteso che oltrepassa gli occhi e raggiunge la sensibilità del lettore. Bella bocca e occhi miei verdi (Pretty Mouth and Green My Eyes) è un racconto del 1951, compreso nella raccolta Nove racconti, pubblicata per la prima volta nel 1953. L’ho scelto per dar luce a una storia meno conosciuta rispetto a Un giorno ideale per i pescibanana o a Per Esmé: con amore e squallore (di cui ho già detto qualcosa qui) ma la raccolta, tutta intera, è una delle mie preferite. I racconti sono tradotti da Carlo Fruttero.
Ecco. Poi uno si misura con Salinger: come può lamentarsi di uscirsene con le ossa rotte?
RispondiEliminaComunque grazie, sembra proprio quello che cercavo.
E ti assicuro che della parte migliore non ne ho parlato.
EliminaTienimi aggiornata.
Se dovessimo raccontarci a qualcuno, lo faremmo naturalmente attraverso le parole, ma ciò che è maggiormente efficace nello svelarci all'altro, non sarebbe la comunicazione verbale quanto quella non verbale. Non ci facciamo nemmeno caso, ma spesso entriamo in empatia con qualcuno più per come occupa in nostro spazio visivo con i suoi gesti e le sue espressioni che per quello che dice. Mi pare che certi racconti riescano a ricreare questo effetto: quando finiscono lasciano dentro una sensazione di smarrimento; la strana sensazione di aver avvertito qualcosa che c'è, ed è sempre stato sotto i nostri occhi, ma è sfuggito alla parte cosciente. "Il talento di Salinger è in quello che lui non scrive, nel sottinteso che oltrepassa gli occhi e raggiunge la sensibilità del lettore.", hai scritto. Ecco, questa tua considerazione dovrebbe essere la regola per ogni scrittore e aspirante scrittore, soprattutto di racconti. Il fatto che il significato non sia "alla luce del giorno", ma tra le righe, mi pare anche una bella allegoria di come siamo fatti noi esseri umani.
RispondiEliminaAggiungere anche solo una parola a quello che hai scritto mi sembra inopportuno. Quando ci vedremo (perché ci vedremo) prenditi una giornata libera per approfondire l'argomento.
EliminaAhahah! Ok, dovremmo compilare un taccuino con "l'ordine del giorno" come si fa negli incontri di un certo livello (o alle riunioni condominiali ;))
EliminaAh! Mi è venuta in mente una cosa in merito alla comunicazione non verbale. Mi pare che a "Più Libri" tu abbia acquistato "Gli addii" di Onetti. Per me l'incipit di quel libro è uno straordinario esempio di come si possa descrivere una persona grazie alle sole mani: al loro aspetto, al modo in cui il personaggio le muove, i compiti che gli affida. A partire dalle mani il narratore della vicenda arriva a comprendere molto dell'uomo descritto - arriva perfino a prevederne l'atteggiamento nei confronti della malattia di cui è affetto (non ti anticipo molto, questa informazione è già nelle prime battute) -. La grandezza di Onetti è di riuscire a fornire al lettore alcuni elementi chiave del personaggio e della storia solo grazie a un dettaglio che normalmente notiamo, ma a cui non diamo molto peso. Ecco: leggi Onetti da questo punto di vista più che da quello del Faulkner sudamericano (sicuramente te lo avranno venduto così, ed è vero per altri motivi...) e allora godrai di un'ottima lettura. :)
Elimina(Io l'ho comprato proprio per quello). Vediamo, sono curiosa. Speriamo mi piaccia, perché è un po' fuori dalla mia comfort zone.
EliminaNon ti stupirà sapere che di Salinger ho letto solo Il giovane Holden. E non ti stupirà sapere neppure che questa tua bella rubrica rientra tra le mie preferite.
RispondiEliminaOnetti mi manca. Uscire dalla comfort zone può riservare grandi sorprese.
Grazie, e hai ragione: dall'anno prossimo vorrei leggere libri più lontani dalle ambientazioni che frequento di solito. Speriamo di riuscire a mantenere il proposito! I racconti di Salinger sono molto belli; lui ha uno stile particolare, al punto che gira, fra gli estimatori dei racconti, il termine "salingeriano". Fammi sapere se li leggi.
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