La sorpresa è stata trovare Nebbia di Miguel de Unamuno quando l’aereo era in fase di decollo. Questo vuol dire che avevo intenzione di leggerlo prima ancora di programmare il viaggio a Madrid, ma era rimasto lì, dimenticato nella libreria virtuale del mio vecchio Kindle, in attesa di un momento più suo.
La trama ha quel gioco metanarrativo che mi piace molto: per i primi tre quarti della storia, il giovane Augusto Peréz vive una relazione tormentata. S’innamora, in teoria di Eugenia, una donna che vede a stento in un giorno di pioggia, ma è l’idea stessa dell’amore ad attrarlo. L’intuizione amorosa è come un barlume nella nebbia, dice Augusto, dopo viene il resto.
Accadono cose, cause e conseguenze, che portano Augusto fino alla porta di Miguel de Unamuno, lui proprio lui. L’uno aveva letto un saggio dell’altro, si era sentito finalmente compreso e voleva condividere la decisione che aveva preso per risolvere i suoi drammi: il suicidio. Ma Unamuno chiarisce subito le regole del gioco: io non sono un autore qualsiasi, io sono il tuo autore. Io ti ho creato, io ho immaginato tutti i tuoi slanci e i tuoi affanni, e non ho previsto una morte di quel tipo per te perciò il suicidio non è un’ipotesi realizzabile.
Dopo un primo istante di legittimo smarrimento, Augusto reagisce con un’insinuazione bizzarra: l’idea che sia proprio Unamuno a non esistere al di fuori dei personaggi che crede di aver inventato.
«Non si agiti così, signor de Unamuno», mi disse, «mantenga la calma. Lei ha espresso alcuni dubbi sulla mia esistenza…».Quello che intendeva, Unamuno l’aveva scritto nel 1905 in Vita di Don Chisciotte e Sancho Panza, quando disse che l’unica colpa di cui si poteva accusare il cavaliere della Mancia era stata credere: «…che fosse verità ciò che era solamente bellezza. Lo credette con fede talmente viva [...] e soltanto col crederlo lo trasformò in realtà».
«Non dubbi», lo interruppi, «l’assoluta certezza che tu non esisti al di fuori della mia produzione romanzesca».
«Bene, allora non si turbi più di tanto se io a mia volta dubito della sua esistenza, e non della mia. Parliamoci chiaro: non è stato lei che non una, ma diverse volte, ha sostenuto che Don Chisciotte e Sancho Panza non solo sono reali come Cervantes, ma lo sono anche più di lui?»
«Non posso negarlo: ma quando l’ho detto intendevo che…».
Le entità immaginarie, rincara Augusto, hanno una propria logica interna. Un romanziere non può disporre della vita di un personaggio, a dispetto di quello che, naturalmente, sarebbero portato a fare.
A questo punto Nebbia prende le sembianze di una nivola, una crasi di niebla (nebbia) e novela (romanzo), il termine inventato da Miguel de Unamuno per definire questo tipo di narrazione: la sua storia non risponde ai canoni classici, non ha un progetto di base e non segue una struttura precisa.
Augusto sembra agire senza un ordine preciso: il confronto degenera, al punto che il protagonista ripensa all’idea del suicidio proprio quando l’autore decide di accontentarlo: perché, una volta scoperto di non essere vivo in senso stretto, sa che non può morire… quindi è immortale! Un’idea immortale! Ma Unamuno ha deciso: Augusto morirà.
E se io morirò, replica lui, allora lei morirà, e tutti quelli che leggeranno la mia storia moriranno.
La vera conclusione è poco più avanti e l’autore la riassume così: se siamo portati a credere che il valore dell’arte sia la naturale capacità di questa di farci dimenticare di esistere, come chi s’immerge nella lettura con l’intenzione di dimenticare se stesso, l’aspetto più liberatorio dell’arte, invece, è che ci fa dubitare di esistere.
Perché lei, il mio creatore, don Miguel, è solo un’altra creatura nivolesca, e nivoleschi sono tutti i suoi lettori, proprio come me, Augusto Pérez, la sua vittima… [...] Chi crea crea se stesso, e chi crea se stesso poi muore.L’esperimento metanarrativo continua nelle note a margine di Unamuno, nell’ammissione della tragedia che derivò dalla presa di coscienza di Augusto, dalla voglia di piangere che gli veniva quando lo vedeva piangere e di come rideva di lui (scrivendo di lui) e perfino di se stesso, perché non voleva che i lettori se ne accorgessero.
La vera conclusione è poco più avanti e l’autore la riassume così: se siamo portati a credere che il valore dell’arte sia la naturale capacità di questa di farci dimenticare di esistere, come chi s’immerge nella lettura con l’intenzione di dimenticare se stesso, l’aspetto più liberatorio dell’arte, invece, è che ci fa dubitare di esistere.
***
Nebbia, Miguel de Unamuno. Fazi editore, 2015. Traduzione di Stefano Tummolini.Vita di Don Chisciotte e Sancho Panza, Miguel de Unamuno. Bompiani, 2017. A cura di Armando Savignano.
A Madrid c’eravamo già stati, più o meno: è successo qui.
Commenti
Posta un commento