La parzialità della scrittura nella totalità del mondo


Provo sempre un certo imbarazzo a tornare qui dopo tanto tempo. È come se dovessi giustificarmi, giustificare un’assenza che, a prescindere dai motivi più o meno fondati che posso elencare, mi sembra sempre irragionevole. 

La verità è che qui è dove mi confronto con i libri che leggo e non ci vuole troppo a capire che attraverso i libri che leggo mi confronto con me stessa. Qui è dove mi obbligo, anche, a mettere per iscritto ciò che provo, a tradurre uno stato d’animo in una serie di caratteri ordinati, possibilmente comprensibili, tendenzialmente condivisibili. 

Ecco, questa cosa della scrittura: mi sento dire spesso che scrivo “molto bene, ma molto difficile”, il che mi porta a capire che nel processo di traduzione da ciò che penso a ciò che dico nasce una mancanza che non riesco a colmare. È un problema perché la missione che ho scelto è raccontare i libri, provare a spiegarli in qualche modo. Se scrivessi narrativa, invece, la lacuna potrebbe assumere le sembianze di un tratto stilistico e trasformarsi in un punto di forza. 

In ogni caso, quella porzione d’indefinito mi affascina enormemente, nella misura in cui è in grado di tratteggiare la scrittura che siamo. Nicola Gardini, nel suo Lacuna. Saggio sul non detto (appunto), scrive che: «Non c’è omissione testuale che non rimandi a una pienezza extratestuale; e questa sta al testo come l’ombra al corpo. Riconoscere il valore dell’omissione significa rimettere la parzialità della scrittura nella totalità del mondo. Significa cercare il senso». Secondo questa lettura, la lacuna è parte della stessa rappresentazione. Anzi, l’autore suggerisce che una lacuna ben ponderata distingue la scrittura artistica da ogni altra forma più accessibile.

La Divina commedia è piena di lacune, più o meno palesi («Così andammo infino a la lumera, parlando cose che ’l tacere è bello»). La lacuna è ciò che rende i racconti di Raymond Carver così caratteristici: succede tutto altrove, fuori dai punti. Così, quando il lettore prova a riempire gli spazi vuoti e pensa di essere arrivato a una conclusione, si sente maggiormente appagato; più intelligente, quasi, perché vive l’illusione di aver scoperto qualcosa che fino a poco prima era nascosta. 

Senza coinvolgere troppo i filosofi greci, è da un po’ di tempo che si discute sul fatto che la comprensione, alla fine di un lungo ragionamento, procuri un piacere tutto particolare. Ecco perché Gardini fa notare che le similitudini non funzionano molto: perché il “come” riduce la possibilità di spaziare oltre i confini dell’ovvio, mentre «la lacuna espande il senso, portando la significazione oltre i limiti fisici delle parole scritte».

So che questa parentesi squisitamente letteraria non giustifica le mie mancanze. Eppure sarebbe bello che lo facesse. Sarebbe bello considerare un’assenza come una forma di lacuna, anche se il paradosso può suonare come la parafrasi di un titolo lezioso di Nicholas Sparks. Però è vero: le parole più importanti sono quelle che non ci diciamo.


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Lacuna. Saggio sul non detto, Nicola Gardini. Einaudi, 2014.

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