Quando la scrittura diventa intellettuale

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«La voce perde la sua origine, l’autore entra nella propria morte, la scrittura comincia» è una delle affermazioni più lucide di Roland Barthes. È tratta da La morte dell’autore, un saggio breve che pubblicò nel 1967. Per introdurre l’argomento, Barthes cita una novella di Balzac e si (ci) domanda: chi parla in questo brano? È il protagonista? È l’uomo Balzac? È l’autore Balzac? È la “saggezza universale”? Secondo Barthes, nessuna di queste voci esiste perché «la scrittura è la distruzione di ogni voce, di ogni origine». L’autore è il passato del testo e attribuirgli il senso primo di quello che ha scritto vuol dire concepire la fine della scrittura. L’abitudine di far coincidere la scrittura con l’autore appartiene alla critica letteraria perché è una semplificazione molto utile: svelato l’autore, spiegata la sua visione, si ha la chiave d’accesso al testo. Invece, scrive Barthes, è nel lettore che il processo si conclude: il lettore è la destinazione ultima della scrittura. Lo spiega ancora meglio Compagnon, in Il demone della teoria: «La letteratura [...] esiste indipendentemente dalla lettura, nei testi e nelle biblioteche, ma si concretizza soltanto attraverso la lettura. L’autentico oggetto letterario è la stessa interazione tra testo e lettore».

Ma se l’autore non è nient’altro che “colui che scrive”, cos’è la scrittura?

Barthes prova a rispondere alla domanda in un altro saggio, contenuto in Il grado zero della scrittura. Innanzitutto distingue la lingua dallo stile e i due dalla scrittura. La lingua è l’area di azione dell’autore ma non è una diretta conseguenza di sua una scelta. Come sistema di comunicazione, la lingua è un oggetto sociale; in questo senso, appartiene più alla storia che alla letteratura. Lo stile è il “prodotto di un impulso”, è il risultato di un’esperienza. Anche lo stile non è una scelta; è il modo che ha lo scrittore di esprimere se stesso che è «splendore e prigione, è la sua solitudine». La scrittura nasce quando l’autore, entro i limiti della lingua e con la profondità dello stile, fa del suo scrivere un’azione “viva”.

William Faulkner diceva che: «Il dovere di un poeta, di uno scrittore, è di aiutare l’uomo a sopravvivere, sollevandogli il cuore». Per Barthes, la scrittura «è un atto di solidarietà storica». La scrittura ha un compito politico: attraverso l’analisi dell’evoluzione della scrittura (dal prodotto della rivoluzione francese fino al grado zero, alla sovversiva neutralità di alcuni autori del Novecento), Barthes fa notare come scrivere sia sempre stato anche un modo per affermare una certa posizione rispetto alla storia. Scrivere, quindi, è una libertà e una costrizione insieme, perché il numero di scritture possibili è definito dal periodo storico a cui l’autore appartiene.

Ma il tentativo d’interpretare la storia non fa della scrittura uno strumento politico, né intellettuale in senso più ampio. La scrittura, sottolinea Barthes, ha una precisa responsabilità letteraria: «Quando l’intellettuale si sostituisce allo scrittore, nelle riviste e nei saggi nasce una scrittura militante pienamente affrancata dallo stile e che è come un linguaggio professionale della “presenza”». Se la scrittura è una scelta, la scrittura intellettuale è l’ostentazione di una scelta; diventa un mezzo per diffondere alcune idee, una «firma in calce a una dichiarazione collettiva». La scrittura intellettuale comincia e finisce nell’autore perché contiene già prescrizioni e giudizi (Barthes ricorda che all’epoca del comunismo francese il termine “popolo” fu sostituito da “brava gente” e poi da “classe operaia”).

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Insomma, la scrittura intellettuale è para-letteratura, una pallida evocazione di una più pregevole suggestione. In una lettera dell’11 giugno del 1953, al giornalista Raffaele Brignetti, Italo Calvino scrisse:
Smetti subito di fare il giornalista, mestiere incompatibile con quello dello scrittore; o meglio in un giornale si può anche lavorare, a patto di non scriverci [...] il giornalista è un mestiere di enorme importanza sociale, e che richiede doti eccezionali, ma che non può essere coltivato a fianco della letteratura, perché non puoi nello stesso tempo usare lo stesso strumento: il linguaggio, la scrittura, in due modi completamente diversi.
Severo ma giusto.


***
Il grado zero della scrittura, Roland Barthes. Einaudi, 2002. Traduzione di Giuseppe Bartolucci.
Il demone della teoria, Andre Compagnon. Einaudi, 2000. Traduzione di Monica Guerra.
Il saggio La morte dell’autore è contenuto in Il brusio della lingua, che è fuori catalogo (ma si può recuperare qui).
La lettera di Italo Calvino fa parte della raccolta I libri degli altri (fuori catalogo, pure questa). 

Commenti

  1. Leggo questo post in astinenza dal podcast dell'Abisso. L'argomento "scrittura" è sempre affascinante, e sono d'accordo con Barthes, che sto leggendo proprio in questi giorni. Sono felice di averti (vi) trovate. Hooked ^.^

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