Commonplace books: l’arte di collezionare i passi dei libri

commonplace-books

È capitato anche a te, almeno una volta: hai letto un brano che ti ha colpito e hai sentito il bisogno di appuntarlo da qualche parte. Io l’ho fatto per parecchi anni. Volevo raggiungere una dimensione più evoluta del periodo in cui riportavo i testi delle canzoni di Kurt Cobain sul diario di scuola, così comprai un quaderno con una copertina azzurra e cominciai a copiare i passi dei libri. Mi era sempre piaciuto scrivere a mano, lo facevo anche per questo, ma soprattutto perché sentivo la necessità di dare un certo ordine ai miei appunti (poi ho aperto un blog, hai presente?).

I quaderni di lettura hanno origini appena più datate della mia esperienza e si chiamano commonplace books. I primi commonplace books appartengono alla nostra tradizione per merito di Dante, ma per qualche secolo restarono una consuetudine di pochi intellettuali. Trovarono grande diffusione nell’Inghilterra del Seicento, distribuendosi in maniera trasversale tra lettori più modesti fino a scrittori come John Milton. Qualche decennio dopo, l’arte di tenere un quaderno di lettura diventò materia di studio nelle università di Oxford e Harvard. Un commonplace book è un libro che contiene una raccolta di passaggi significativi – citazioni, lettere, poemi, idee e ispirazioni – copiati da altri libri e organizzati in base a criteri precisi, spesso in relazione alle tematiche affrontate, che diventano appigli per la memoria del compilatore. La differenza con un diario personale è sostanziale: un diario è la sequenza cronologica di eventi che accadono nella vita del proprietario, in un commonplace book la maggior parte dei contenuti non è originale. “Common place” proprio perché concepiti a partire dalla definizione di luogo comune, un’affermazione che può essere utilizzata in diverse occasioni.

Uno dei più celebri commonplace book esistenti è quello di Erasmus Darwin (1731 – 1802), filosofo, poeta e medico britannico, nonno del più famoso Charles Darwin. «A fool, you know, is a man who never tried an experiment in his life» è la citazione che lo rappresentava. Erasmus scrisse il suo libro di appunti tra il 1776 e il 1787: 160 pagine di invenzioni (63), spunti di medicina (60), meteorologia (17) e chimica (7); le pagine restanti sono divise tra argomenti come la botanica e la musica. Il commonplace book di nonno Darwin si trova a Litchfield, all’Erasmus Darwin House.

Nel frontespizio del libro di Erasmus Darwin c’è scritto: «Bell’s Commonplace Book» perché fu pubblicato dall’editore John Bell, «Found generally on the principles, recommended and practised by Mr Locke». Mr Locke era quel Locke: John Locke. Nel 1706, Locke aveva scritto A new method of making a commonplace book, una guida per organizzare al meglio gli appunti di lettura. In una lettera a Monfieur Toinard, che può essere considerata la bozza di quello che diventò il suo manuale, Locke scrisse come doveva essere l’indice di un perfetto commonplace book: sulle prime due pagine affiancate di un quaderno nuovo bisognava tracciare due colonne e venticinque righe, poi segnare ogni riga con una vocale e ogni quinta riga con una lettera dell’alfabeto. E per risolvere uno dei classici problemi che sopraggiungevano durante la redazione di un commonplace book, ovvero “Quante pagine assegno a ogni categoria?”, il metodo Locke consigliava di evitare di stabilire gli spazi a priori per non costringere la fluidità delle ispirazioni in sezioni troppo ristrette.

Al di là dei suggerimenti pratici, Locke fu tra i primi a intuire il potenziale dei commonplace books, sottolineando che dalle abitudini di lettura si possono ricavare informazioni fondamentali sul carattere del compilatore; molto s’intuisce dalla tecnica utilizzata per aggregare i contenuti, ma anche dalla scelta delle citazioni da ricordare. Per esempio, nel 1928 fu pubblicato il commonplace book di Thomas Jefferson. Il curatore di quell’edizione, Gilbert Chinard, dichiarò che nel libro erano racchiusi tutti gli elementi atti a comprendere la personalità del terzo presidente degli Stati Uniti d’America. Scritti quando aveva tra i quindici e i trent’anni, gli appunti di Jefferson formano un fascicolo di 123 pagine: sono 407 citazioni, 399 di queste tratte da poesie. Alcuni storici hanno notato la mancanza di riflessioni filosofiche a vantaggio di diversi contenuti di stampo misogino, come il lamento di Adamo del Paradiso perduto:
… E perché mai
la gran mente di Dio, che nelle sue superne
regioni del cielo ha popolate
sol di maschie sostanze, un’opra tale,
una tal novità compose in terra?
Perché mai questo error nella natura?
Secondo Douglas Wilson, curatore dell’edizione più recente del libro di Jefferson, gli appunti apparterrebbero al periodo immediatamente successivo alla morte del padre, evento che Thomas visse con gran turbamento. Le citazioni sulle donne, invece, corrisponderebbero agli anni del celibato, prima dell’incontro con Martha Wayles Skelton che diventò sua moglie nel 1772. Di tutt’altro parere Kenneth Lockridge, che definì il commonplace book di Jefferson una testimonianza dell’egemonia degli uomini nelle colonie della Virginia, insieme al quaderno di appunti di William Byrd II. Lockridge affiancò l’analisi dei due testi in un libro dal titolo: On the Sources of Patriarchal Rage: The Commonplace Books of William Byrd and Thomas Jefferson and the Gendering of Power in the Eighteenth Century.

Secondo Robert Darnton, storico statunitense, i commonplace books non sono solo strumenti per approfondire la conoscenza della psiche del compilatore, ma uno studio comparato può evidenziare il “quadro della cultura” di un’intera popolazione. In Il futuro del libro, Darnton ripropone alcune delle riflessioni di Kevin Sharpe contenute nel suo Reading Revolution: The politics of Reading in Early Modern England e afferma che:
Scegliendo e riordinando passi stralciati da una riserva illimitata di letteratura, gli inglesi della prima età moderna mettevano in atto quasi inconsciamente un processo volto a dare ordine all’esperienza. [...] essi leggevano tutti alla stessa maniera: per segmenti, concentrandosi su piccoli blocchi di testo e saltando da un libro all’altro, anziché in maniera sequenziale, come faranno i lettori del secolo successivo, quando la nascita del romanzo favorirà l’abitudine di sfogliare i libri dall’inizio alla fine. La lettura segmentale induceva i lettori ad assumere un ruolo attivo, a esercitare un giudizio critico e a imporre uno schema al materiale che leggevano.
Se Sara Coleridge, la figlia di Samuel Taylor Coleridge, riempiva il suo quaderno con schizzi ad acquerello, Lewis Carroll riportava labirinti e anagrammi, in Italia Giacomo Leopardi compilava il suo Zibaldone, la raccolta di appunti scritti tra il 1817 e il 1832 (4526 pagine, circa 4000 pensieri). L’abitudine di utilizzare quaderni di lettura resse fino al XX secolo e coinvolse diversi esponenti del panorama culturale internazionale come Thomas Hardy, Henry David Thoreau e Francis Bacon. Mark Twain tenne tra i quaranta e i cinquanta quaderni sui quali appuntava citazioni inframmezzate da aforismi intrisi della sua classica ironia («Clothes make the man. Naked people have little or no influence in society»).

Con l’avvento di internet i commonplace books hanno lasciato il posto alle pagine virtuali ma le abitudini dei lettori non sono così diverse. Nel 2013 Tom Standage, autore e giornalista inglese, ha scritto How commonplace books were like Tumblr and Pinterest, un articolo nel quale nota che, al pari di un quaderno di lettura, i nostri account sono animati per la maggior parte da citazioni.
[...] posting links and snippets found elsewhere is standard practice on blogs, Facebook and Twitter, and on some platforms, such as Pinterest and Tumblr, more than 80% of items shared are “repins” or “reblogs” of items previously posted by other users. 
Nei secoli scorsi, tenere un commonplace book era anche un modo per dare un’immagine più interessante di sé e questo è lo stesso meccanismo che alimenta i moderni sistemi di social media: attraverso la selezione degli elementi che offriamo ai nostri lettori, rielaborando in modo creativo contenuti già prodotti da altri, inviamo un messaggio preciso di noi stessi. La somma dei nostri frammenti di lettura si ricompone nel riflesso di quello che vogliamo rappresentare. Ancora una volta, a distanza di anni, “siamo quello che leggiamo”, ma con un aggravante: quello che leggiamo, così come lo condividiamo.


***
Il futuro del libro, Robert Darnton. Adelphi, 2011. Traduzione di Anna Bottini.
Sui commonplace books
Sul manuale di John Locke
Commonplace books di gente famosa.

Commenti