L’amante di Wittgenstein di David Markson

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Ogni volta che leggo un libro difficile penso a un episodio che raccontò Julio Cortázar. In Argentina, quand'era giovane, partecipò a un evento con alcuni scrittori e un gruppo di contadini. Qualcuno lesse un racconto sulla guerra d'indipendenza, una storia scritta affinché fosse comprensibile dalla maggior parte dei presenti. A lettura conclusa, il pubblico applaudì senza troppo entusiasmo. Era evidente che il racconto «non aveva toccato il fondo». Un altro scrittore prese la parola e lesse La zampa della scimmia, un famoso racconto di William Waymark Jacobs, un horror che si regge su equilibri più complessi, scritto utilizzando un linguaggio un po' meno accessibile. Quello che accadde fu che: «l'interesse, l'emozione, lo spavento e, infine, l'entusiasmo furono straordinari». Julio e gli altri scrittori restarono tutta la notte con i contadini a discutere di quel racconto e delle sensazioni che aveva suscitato. Come questo sia stato possibile, Cortázar lo spiega così:
Ho visto l'emozione che presso la gente semplice provoca una rappresentazione di Amleto, opera difficile e sottile come poche (...) cosa che dimostra che Shakespeare scriveva veramente per il popolo, nel senso che il suo tema era profondamente significativo per chiunque – a diversi livelli, sì, ma raggiungendo un po' ognuno.
Nel libro L'amante di Wittgenstein, David Markson dà voce a una donna che crede di essere l'unica superstite sulla terra. Il lettore non sa se sia una condizione vera o falsa perché il romanzo è scritto in forma di monologo e la protagonista, per sua stessa ammissione, non è una fonte attendibile. È una lunga lettera, una sorta di cantilena filosofica, che si esercita a interpretare le teorie di Wittgenstein. Ludwig Wittgenstein è stato un filosofo austriaco, pioniere nello studio della filosofia del linguaggio. Scrisse un solo libro nella sua vita, il Tractatus logico-philosophicus, considerato tra le opere filosofiche più importanti del Novecento. Una delle proposizioni del Tractatus è che «Il mondo è la totalità dei fatti non delle cose» e su questo principio si fonda il libro di Markson, che si sviluppa su digressioni, aneddoti storici e paradossi letterari. È una doppia sfida, giocata sul linguaggio e sul pensiero. Di fatto, se niente esiste se non ciò che accade, è probabile (quantomeno possibile) che tutta la storia raccontata da Kate non sia mai avvenuta se non nella sua mente.
Non c'è dubbio che queste siano perplessità ininfluenti. Tuttavia è noto che le perplessità ininfluenti, di tanto in tanto, diventano lo stato emotivo fondamentale dell'esistenza, si potrebbe pensare.
Anche se la spiegazione facilita il passaggio tra i vari livelli del romanzo, L'amante resta un libro difficile. La chiave di lettura è semplice: Kate ripercorre ossessivamente i fatti, fatti in apparenza poco importanti, perché rifugge dal dolore. Il problema è che durante queste ripetizioni compulsive, Markson non sembra rivolgersi al lettore, troppo preso dall'intento di riuscire a dare alla teoria di Wittgenstein una connotazione romanzesca. Il racconto di Kate appare perciò un elenco sconnesso di aforismi che svela appena e non abbastanza un significato più profondo. Ma a poco meno di un centinaio di pagine dalla fine Markson cambia registro e se non fosse stato così presente a se stesso nella prima parte si potrebbe addirittura pensare che abbia provato a rimediare: quello che sembrava un esercizio di stile si trasforma in una confessione più intima e coinvolgente. Kate rivela qualcosa di sé, qualcosa che giustifica la sua dissociazione. Non è più un ragionamento astratto ma diventa un essere umano con tutte le imperfezioni del caso. È la parte che ho preferito, la ricompensa che stavo aspettando. È lo stesso punto in cui, secondo David Foster Wallace, il romanzo fallisce.

Nel suo saggio, Wallace suggerisce che cadendo nella convenzione di una trama, Markson si discosta dalla sua missione principale, ossia rappresentare «a livello immaginario e concreto quel cupo mondo matematico che il rivoluzionario Tractatus di Wittgenstein evocava tramite un'argomentazione astratta». Quello che non capisco è come uno scrittore possa prescindere l'umanità scrivendo narrativa, o perché debba farlo. È stato proprio David Foster Wallace a insegnarci che la scrittura può essere cerebrale ma anche generosa, aperta, comunicativa. Che si può scrivere di massimi sistemi e raggiungere il lettore meno esperto. Soprattutto, ci ha insegnato che la narrativa dovrebbe occuparsi di spiegare cosa vuol dire essere un «fottuto essere umano». O almeno dovrebbe provarci.

L'amante di Wittgenstein è un libro interessante, stimolante sotto diversi punti di vista, ma cavalcando l'ambizione di un'opera sperimentale, Markson perde un po' di vista il vero destinatario del suo messaggio e la richiesta d'aiuto di Kate è un appello che rischia di raggiungere solo pochi eletti.



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L'amante di Wittgenstein, David Markson (questa edizione contiene il saggio critico di David Foster Wallace). Edizioni Clichy, 2016. Traduzione di Sara Reggiani.
Da Alcuni aspetti del racconto, in Bestiario. Einaudi, 2014. 

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