Una volta ho ricevuto la lettera di una vecchia signora della California, la quale mi informava che quando il lettore, stanco, torna a casa la sera, desidera leggere qualcosa che gli sollevi lo spirito. A quanto pare il suo spirito non era mai stato sollevato da niente di mio che avesse letto; secondo me, però, se ne avesse avuto uno, si sarebbe sollevato. Si potrebbe obiettare che non sta allo scrittore serio preoccuparsi del lettore stanco, ma lui se ne preoccupa eccome, perché i lettori sono tutti stanchi. Una vecchia signora che vuole sollevarsi lo spirito non sarebbe poi tanto grave, ma moltiplicatela per duecentocinquantamila e avrete un bel club del libro. Un tempo pensavo fosse possibile scrivere per una cosiddetta élite, per quelli che frequentano l’università e dovrebbero sapere come si legge, ma poi ho constatato che puoi anche pubblicare i tuoi racconti su “Botteghe Oscure”, ammesso che siano abbastanza buoni; ma alla fine riceverai comunque una lettera da una vecchia signora della California o da un ospite del Penitenziario Federale, del manicomio di Stato o del locale ospizio dei poveri, che ti dice dove hai mancato nel soddisfare le sue esigenze. E la sua esigenza, ovviamente, è di sentirsi sollevato.
C’è qualcosa in noi, sia come narratori che come ascoltatori, che richiede l’atto di redenzione, che richiede se non altro di offrire a chi cade la possibilità di risorgere. Il lettore di oggi, anche giustamente, cerca questo processo, ma ne ha dimenticato il prezzo. Il suo senso del male è diluito o manca completamente, e così ha dimenticato il prezzo del riscatto. Quando legge un romanzo vuole il tormento dei sensi o l’elevazione dello spirito. Vuole essere trasportato all'istante in una finta dannazione o una finta innocenza.
Mi dicono spesso che come modello di equilibrio il romanziere dovrebbe avere Dante, il quale divise equamente il suo territorio tra Inferno, Purgatorio e Paradiso. Nessuna obiezione, ma siamo certi che facendo lo stesso ai nostri giorni otterremo la medesima immagine equilibrata che si aveva al tempo di Dante? [...] Invece di rispecchiare l'equilibrio del mondo che lo circonda, il romanziere ora deve trovarne uno partendo dall'equilibrio che sente dentro di sé. [...] Ma una cosa si può affermare: in futuro avremo dei grandi romanzi, e non saranno quelli che il pubblico pensa di volere o quelli auspicati dai critici. Saranno romanzi del tipo che interessa al romanziere. E i romanzi che interessano al romanziere sono quelli che ancora non sono stati scritti. Quelli che pretendono il meglio da lui, che esigono che operi al massimo della sua intelligenza e del suo talento, e sia fedele alle particolarità della sua vocazione.
(da Nel territorio del diavolo di Flannery O'Connor. Minimum fax, 2010. pp. 133-134. Trad. O. Fatica)
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