Carne Viva di Merritt Tierce: un dolore che brucia

Avete mai provato a chiamarvi per nome? Provateci. Vi renderete conto che alla quarta, quinta, sesta volta, vi apparirà sempre più estraneo. E quanto più lo ripeterete, tanto più vi allontanerete. Il nome nel quale vi siete riconosciuti per venti, trent’anni, diventa qualcosa di così lontano che non sembra possibile vi sia mai appartenuto. Si svuota del suo significato. Può essere una sensazione strana, ma anche piacevole, elettrizzante; non essere più noi, intendo, non avere più la responsabilità di noi stessi. Ma questo è un gioco che dura meno di un attimo, e allora non vi fa così paura. Provate però a pensare a quel distacco come se non dovesse finire mai; accaduto da qualche parte nel vostro passato, quando quel nome significava ancora qualcosa (un futuro, per esempio), e poi più niente. Cosa succede quando la pelle che abitiamo non risponde più al nostro nome?

Il distacco di Marie avviene qualche giorno dopo aver tenuto il discorso di fine anno, quando è già stata ammessa a Yale ma ancora non sa di essere incinta. Era successo in Messico, in una missione di volontariato. Lui le piaceva; non si era mai sentita – e mai più si sarebbe sentita, da allora – così al sicuro con qualcuno, e questo fu abbastanza. A tutto quello che sarebbe potuto accadere, dopo, non ci aveva pensato. In quell’aula, nove professori giudicano il suo comportamento perché «alla fine siete voi ragazze a dover decidere». Ma lei non aveva deciso proprio niente. Eppure non riesce a fare a meno di pensare che c’è sempre una scelta, in ogni caso, anche in quel momento; l’unica cosa che può fare è scivolare via da se stessa e lasciare che Marie si prenda tutte le colpe.
Chiedo alla mia memoria: perché ho fatto ciascuno di quei passi? Una volta un uomo mi ha detto che sono una che vuole saltare le tappe e invece no, i passi li ho fatti uno per uno. Prima quello, poi quell’altro, poi un altro ancora, e tutti volontariamente. 
Marie è costretta a sposare il padre di sua figlia, ma lo tradisce, e i due si lasciano poco dopo. Non ancora maggiorenne, trova impiego in un ristorante di Dallas; essere una cameriera nei locali dove lavora Marie vuol dire servire clienti più o meno rispettosi, sempre con lo stesso sorriso, e barattare la dignità con la speranza di una mancia più generosa. Vuol dire saziare ogni giorno gli appetiti degli altri trattenendo i propri fino allo stremo. Ma la fame di Marie non si placa perché non ha a che fare soltanto col cibo: Marie fa sesso (meglio: subisce il sesso) con uno, due, tre uomini, spesso contemporaneamente, si stordisce con l’alcol e si abbatte con la droga. Marie brucia la sua pelle, perché quel «dolore è reale e sincronizza tutto il dolore che ho nel resto di me stessa». È come versare dell’acqua in un bicchiere pieno di crepe, che più provi a riempire e più si svuota. Ma Marie non è mai una vittima: la sua è una lucida, e irrimediabile, discesa all’inferno.

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“Dirty and sad”: così Merritt Tierce definisce Carne Viva, con due aggettivi che in questo caso appaiono complementari. Io ho avuto qualche difficoltà a empatizzare con alcune scene (soprattutto quando il linguaggio diventava più esplicito), ma allo stesso tempo ho seguito la storia con un coinvolgimento sempre crescente. Ho apprezzato l’intelligenza con la quale è stata concepita la struttura narrativa, e la voce dell’autrice che, sebbene sia al suo esordo, è sicura e già consapevole. Ce ne rendiamo conto anche solo osservando il cambio di registro che avviene quando Marie è con i suoi uomini e quando Marie è con sua figlia, caratteristica che alimenta nell’inconscio di chi legge lo scontro tra sporcizia e tenerezza, tra disgusto e compassione. Quindi: allontanamento e avvicinamento. Certe volte anche nel tempo di una sola frase: «Mi versò altra birra addosso e mi mollò uno schiaffo in faccia e mi diede della troia e un altro schiaffo in faccia, e io pensai a lei che dormiva nel salotto del papà a mezz’ora da lì». La bolla emotiva che intrappola il lettore è la stessa vertigine che avverte Marie quando si trova accanto ad Ana, la sua bambina: «Provo un senso di beatitudine che mi manda al settimo cielo – ti adoro – poi un senso di orrido risentimento che mi trascina giù».
Io non permettevo a me stessa di distogliere gli occhi dalla mia vita e per punirmi del fatto che la vedevo benissimo non permettevo a me stessa di rimetterla in sesto.
Merritt Tierce ha lavorato come cameriera, ha divorziato a ventitré anni, ha avuto due bambini e tre aborti, soltanto uno avvenuto in maniera spontanea. È cresciuta in una famiglia cristiana, appartenente alla chiesa battista del Sud, e perciò ha avuto un’educazione molto rigida. A diciannove anni resta incinta “per sbaglio”. Meritt porta avanti la gravidanza e abbandona l’università; all’epoca era antiabortista, nessun’altra opzione sembrava anche solo ipotizzabile. Ma accettando di diventare madre si allontana dalla religione, quasi come se la sua fede avesse richiesto un sacrificio troppo grande. Inizia a porsi domande sulla liceità dell’aborto, sulla possibilità di considerarlo come la facoltà di scelta di una donna che non vuole rinunciare alla sua vita e non come un omicidio. È un momento che identifica come anti-conversione. Seguendo le sue nuove inclinazioni, Merritt si avvicina sempre più all’attivismo femminista e nel 2004 fonda, insieme ad altri soci, la TEA Fund, un’organizzazione che supporta finanziariamente le donne che vogliono abortire ma non posso permetterselo.

I punti di contatto tra Merritt e Marie sono evidenti, ma non si deve far l’errore di leggere nell’una la storia dell’altra. La stessa autrice, in un’intervista rilasciata al Midnight Breakfast, afferma:
[...] the distance between Merritt and Marie is really significant. I feel like she’s not me and she is me. We have a lot of mutual respect for each other, if that makes any sense. I know she’s not real… but she feels like that. She’s a real creation of mine, and we have a relationship. The book is about that relationship as much as it is about anything – it’s about how you tell your own story to yourself.


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Carne Viva, Merritt Tierce. Sur edizioni, 2015. Traduzione di Martina Testa.

Commenti

  1. Gran bella recensione, complimenti! Ho amato/odiato questo libro. Mi ha suscitato una tale mambassa di emozioni, che ho fatto molta fatica a districare. Ne ho scritto una recensione sul mio blog se ti va di dare un'occhiata.
    Buona giornata :)

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  2. A quanto sembra è una storia molto forte, torbida, intensa e sofferta. Mi piace come sei riuscita a parlarne in modo equilibrato e anche con sottile delicatezza.

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    1. Sì, l'hai riassunta bene anche senza averla letta. Sono contenta di essere riuscita a rendere l'idea.

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  3. Sempre appassionante. Perdona la sintesi.

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