Don Carpenter, Richard Brautigan e i venerdì da Enrico’s

C’è sempre un punto dal quale si dovrebbe partire per iniziare a raccontare una storia. Il principio, per esempio, o la fine, qualcosa che sia in grado di spiegare il resto. Il problema è che quel punto io non lo vedo mai perché tutto mi sembra importante. E allora comincio dal centro, vado avanti, indietro, mi sposto di nuovo, seguendo le connessioni. Come questa volta, per questo libro. Qual è il punto nella vita di Charlie Monel, il protagonista del romanzo I venerdì da Enrico’s? Non è Hollywood; finire a scrivere per il cinema è solo una delle tante conseguenze. Sua figlia Kira? Potrebbe essere sua moglie, Jamie; averla amata, nonostante lei fosse una scrittrice come lui, poi averla tradita, quando si è reso conto di non riuscire a sopportare che fosse una scrittrice migliore di lui. Prima ancora? Anche solo averla conosciuta. Scrivere un libro, la presunzione del Grande Romanzo. Ma non ci sarebbe stato nessun libro se non avesse partecipato alla guerra di Corea. Allora la guerra? Sua madre, la madre di Charlie. Il gruppo di Portland, gli amici scrittori. La scrittura, uno stillicidio regolare. E se il punto non fosse Charlie, né il suo libro? Se il punto del romanzo non fosse dentro la storia, ma fuori, nella vita dell'autore. Se il punto di Charlie fosse Don Carpenter?
I venerdì da Enrico’s è un libro che parla di scrittori, di molti scrittori. Eppure il suo non sembra mai un mondo chiuso, perché nessuno dei personaggi, perfino quelli i cui libri vengono pubblicati, riesce a inserirsi in questo o quell’ambiente “letterario”. Rimangono tutti degli emarginati e degli aspiranti, caratterizzati dalle loro difficoltà anche soltanto a credere di poter aspirare alla vocazione letteraria, men che meno di poterla rendere una carriera. ¹ 
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Don Carpenter nacque in California, nel 1931. A sedici anni si trasferì con la famiglia a Portland e nel 1951 si arruolò nell’aviazione per combattere la guerra in Giappone. All’epoca, scriveva per la rivista Stars and Stripes. Nel 1955 tornò in Oregon, si sposò, e dopo qualche anno andò a vivere con sua moglie Martha in California: era il periodo in cui i reduci della beat generation sbarcavano a North Beach, era la San Francisco dei primi anni sessanta, quella che spalancò le porte alla Summer of Love. Il primo romanzo che scrisse fu Hard Rain Falling (1966), basato sulle avventure di un orfano di nome Jack Leavitt. Altri libri, dopo, ma nessun successo: apprezzato dalla critica, non ebbe mai grosso riscontro dal pubblico. Don Carpenter non era particolarmente stravagante, non così eccentrico. Non era un personaggio come Kerouac o Ferlinghetti. Neanche tanto hippy come il suo amico Richard Brautigan. Ma con Richard, Carpenter condivideva l’alienazione da ogni contesto letterario; Brautigan parlava addirittura di “Mafia Letteraria dell’East Coast”, cercando di giustificare il fatto che i suoi libri fossero così diffusi in altre parti del mondo, ma non in America. Questi erano alcuni degli argomenti su cui si discuteva ai tavoli dell’Enrico’s, un locale aperto da Enrico Banducci nel 1958 che divenne subito uno dei punto di riferimento di tutta la gioventù di San Francisco; artisti come Barbra Streisand e Bill Cosby iniziarono lì la loro carriera.

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Don Carpenter, Richard Brautigan and Enrico Banducci, Enrico's Cafe, 1981. By Roger Ressmeyer.

I venerdì da Enrico’s è tutto questo: un insieme di punti che formano una storia. La storia di un gruppo di scrittori: Charlie Monel, sua moglie Jamie, Stan Winger, Dick Dubonet e Kenny Goss. Jamie scriverà un paio di libri fortunati, ma questo non le impedirà di sentirsi fuori contesto come gli altri.

Il libro nasce da una collaborazione “a distanza”. Don Carpenter scrisse il romanzo ma non riuscì mai a completarlo. Qualche tempo fa, sua figlia Bonnie riconsidera l’idea di pubblicare il manoscritto e l’editor Jack Shoemaker affida la revisione a Jonathan Lethem. Lethem era un grande ammiratore di Carpenter, fin dal giorno in cui lesse il suo primo libro, al quale arrivò per caso quando, negli anni Novanta, lavorava in una libreria dell’usato. Lethem ha dato maggior organicità al testo, assecondando il ritmo e rispettando la struttura già concepita da Carpenter. Molto di quello che c’è scritto è vero (nel libro compare anche Richard Brautigan, col suo vero nome. Qualcuno pensa che Carpenter abbia iniziato a scrivere con l’idea di raccontare della loro amicizia).

La frustrazione, frutto dell’eterno conflitto tra vita e scrittura, inspessì le sbarre di una prigione che, secondo Carpenter, è propria della condizione umana: «Voglio dire, siamo tutti prigionieri. Ci svegliamo tutti alle tre del mattino dicendoci “Come faccio a uscirne? Posso ricominciare da capo? Posso fare qualcosa per essere un altro?”». Nel 1984, Brautigan decise che l’unico modo per uscire dalla sua gabbia fosse quello di togliersi la vita con un colpo di fucile. Carpenter resisterà altri dieci anni dalla morte del suo amico, prima di arrivare a scegliere per sé la stessa conclusione.
Nulla è puro come credevi che fosse da bambino. La scrittura, per esempio. O l’amore.


***
I venerdì da Enrico’s, Don Carpenter. Frassinelli, 2015. A cura di Jonathan Lethem.
Traduzione di Stefano Bortolussi.

¹ Dalla postfazione di Jonathan Lethem.

Commenti

  1. Ehhh... È strano: comunque parta, la storia, va sempre a finire così. Ci dev'essere una specie di imbuto, nascosto da qualche parte.

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    1. Quello che non avevo mai considerato è lo scrittore in coppia con un altro scrittore. Contenere l'egoismo nelle relazioni "normali" è già difficile. Non è neanche una questione di guadagni (per Charlie e Jamie non lo è: i soldi arrivano comunque in casa. È proprio il rapporto con la scrittura il problema: anche volendo, non c'è spazio per l'altro e, quando arriva, diventa difficile gestire il successo di uno dei due.

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    2. Non è la scrittura, è l'arte in generale. Funziona così in tutti i campi: di scrittura, teatro e danza ho esperienza diretta e posso testimoniarlo, ma so che è la stessa cosa anche in altre discipline, avendo parlato con gente che vi opera.
      Non ho (quasi) mai visto amicizia, e il maggior godimento non viene dal proprio successo ma dall'altrui disgrazia.

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