I limiti della critica letteraria. Il parere di Emanuele Trevi

Tracciare i confini di un’ombra: è questa la missione impossibile che affronta Emanuele Trevi nel suo Istruzioni per l’uso del lupo, una riflessione sul senso della critica letteraria scritta in forma di lettera per l’amico Marco Lodoli. È una sfida persa in partenza, come egli stesso ammette, ma è qualcosa su cui val la pena soffermarsi, al di là delle conclusioni.

Il senso della vita si nasconde nella zona indefinita in cui s’incontrano le cose che si scrivono e le cose che accadono. Ma, se a livello emotivo riusciamo a percepire questo spazio, tradurlo in parole non è altrettanto semplice; il linguaggio non è sempre in grado di esprimere, con una definizione istituzionale, ogni sensazione. «Là dove fallisce, la lingua perde la sua naturale arroganza»: questo è il punto da cui partire. Le parole sono maschere: quando proviamo a definire un concetto, stiamo già restringendo il campo delle possibilità, ancor più se ci affidiamo all’uso di termini convenzionali.

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Abbiamo imparato a osservare ogni cosa da una distanza di sicurezza, allontanando ogni reazione emotiva perché abbiamo capito che «l’unica arma di difesa è la giusta indifferenza». Analizziamo le storie come se non ci appartenessero, come se non fosse anche la nostra vita, quella che stiamo leggendo. Termini precisi e appropriati, lingue affilate e nessun dubbio: il critico letterario diventa un chirurgo del testo. I libri possono essere letti “con la saggezza”, a differenza delle “letture col batticuore”, ma relegando la letteratura a un esercizio di scrittura, azzardando anche un voto (una stella? due stelle?), noi allontaniamo l’arte dal contesto, la esiliamo dal mondo, e a questo atteggiamento diffuso possiamo dare anche una spiegazione psicologica: definire, in un certo senso, è controllare.

Il lupo è il morso della verità che si svela, «l’esperienza del bello e del panico».
Ogni volta che un uomo ha pensato “adesso quella cosa mi annienta” stava già facendo letteratura, senza saperlo, come il famoso prosatore di Molière. Stava facendo qualcosa, insomma, che nasce dall’incontro fra la scoperta di essere minacciati e la necessità di continuare, in ogni modo, a respirare.
Ecco perché ai critici piacciono tanto le etichette, per lo stesso motivo per il quale gli scrittori le odiano: perché il lupo è in trappola. 

C’è tutta una zona oscura che non potrà mai essere individuata perché la bellezza è inafferrabile, ed è proprio il suo carattere effimero a renderla così preziosa. Questo potrebbe essere il primo passo verso una riflessione più autentica perché, forte di questa nuova consapevolezza, la critica potrebbe smetterla di rilasciare sentenze da quarta di copertina e provare a spiegarci, per esempio, perché il lupo ci fa così paura.
Ciò che avviene nella letteratura è il miracolo di un inchino reciproco, di uno sfiorarsi di labbra tra l’anima e il mondo. Dentro questo incontro (...) ci sono tutti i sentimenti del mondo.


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Istruzioni per l’uso del lupo, Emanuele Trevi. Elliot edizioni, 2012.

Commenti

  1. Così, alla fine, anche la letteratura si è dovuta inchinare a Gödel e ai suoi teoremi di incompletezza. Il che forse era anche preventivabile. A questo punto la domanda sorge spontanea: ma DFW, che di queste cose ne sapeva "a pacchi", non ha mai detto nulla in proposito?

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    1. Dave ("il caro vecchio Dave") odiava la critica, o meglio, odiava l'effetto che i giudizi dei critici avevano su di lui. Se ne teneva alla larga. Forse non è un atteggiamento così sbagliato.

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  2. Emanuele Trevi lo conosco per quella stupenda introduzione al romanzo di Zola "Roma", e leggere questo tuo post mi ha fatto riflettere quanto sia vero il fatto che l'uomo abbia sempre dovuto etichettare, suddividere, catalogare ogni sentimento, ogni bellezza, per mascherare la propria paura di essere semplicemente vivo. Grazie.

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    1. "Queste Istruzioni sono dedicate a tutte le persone abbastanza disturbate da proseguire il gioco per conto loro: spiando l'ombra dei lupi, delle vecchie orse, di tutte le altre bestie dalle unghie infuocate talmente rapide, talmente invisibili che se dovessimo descriverle a parole potremmo solo dire che assomigliano alla felicità e alla paura di essere vivi".

      Questo è il pensiero col quale Emanuele Trevi termina la prefazione delle sue Istruzioni. La tua intuizione non poteva essere più attinente.
      Grazie Michela!

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