L’algebra e il fuoco nella scrittura di John Barth

Quando, nel 1947, John Barth lasciò il Maryland per trasferirsi a New York, aveva intenzione di diventare un famoso arrangiatore di musica jazz. Cercò un appartamento senza troppi scarafaggi e seguì un corso di orchestrazione alla Juilliard School of Music. In quel periodo incontrò giovani artisti, misurò il loro talento, e si rese conto — senza falsa modestia, ammette — che il suo, a confronto, non era niente di più che un «entusiasmo amatoriale improvvisato». Tornò a casa, vinse una borsa di studio per la Johns Hopskins University e scelse, senza convinzione, una laurea in giornalismo. Il percorso prevedeva una serie di lezioni di scrittura: durante gli anni all'università, John scoprì la letteratura, si perse tra i volumi della biblioteca di facoltà, e diventò John Barth, un famoso romanziere.

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Anche se i due artisti operano con strumenti differenti, a Barth piace pensare di essere rimasto un arrangiatore. Da jazzista, John si esprimeva utilizzando i codici di un linguaggio criptato, un ritmo esclusivo che intonava per sentirsi parte di un gruppo; si trovava a suo agio in quella situazione perché fin dalla nascita si era servito della comunicazione non verbale per rapportarsi con l'altro: l'altro era sua sorella gemella, Jill. Suonare il jazz era bello per gli stessi motivi per cui era bello avere un fratello gemello: la comunicazione era perfetta, basata su gesti che assumevano un significato privato; le parole servivano per comunicare con Altri. È come, ci suggerisce Barth, il dialetto e la lingua ufficiale. Ma i gemelli crescono, ed è sempre meno ciò che riescono a dirsi senza bisogno delle parole. Il linguaggio non verbale diventa inadeguato, la trasmissione si interrompe. Scrivere, allora, diventa un modo per dare forma a quello che non si è in grado di dire, è provare a riempire di parole il vuoto lasciato dalla comunicazione imperfetta. Ecco perché il linguaggio, per Barth, è sempre stato oggetto di uno studio approfondito, quasi maniacale; il suo scopo, da scrittore, è: «arrangiare parole non più per Altri ma per gli altri». Questo è uno dei motivi di Alcuni motivi per cui racconto le storie che racconto nel modo in cui le racconto invece che un altro tipo di storie in un altro modo, un testo contenuto in L'algebra e il fuoco, una raccolta di nove saggi che mettono in evidenza, ancora una volta e mai abbastanza, quanto la scrittura sia attività d'artigianato, un combo tra tecnica e passione.

Sulla comunicazione imperfetta si basa l'intera vicenda di Todd Andrews, il protagonista del romanzo L'opera galleggiante. Nel 1930, Todd scopre che suo padre si è suicidato senza lasciare alcuna spiegazione. Questo gesto, in apparenza ingiustificato, diventa il motivo per avviare un'Indagine sul senso della vita che condurrà Todd, qualche tempo dopo, a una conclusione parecchio interessante:
La mattina del 21 giugno 1937 Todd Andrews (un'avviatissima carriera di avvocato, una sobria vita borghese in una cittadina di mare del New England, un improbabile menage a trois con l'amico Harrison, erede di un impero dei sottaceti, e la graziosissima moglie di lui) si sveglia, si alza dal letto e guardandosi allo specchio scopre che la risposta a ogni suo problema è il suicidio.
Ma Todd si rivolge al lettore in un tempo in cui sono passati vent'anni da quel giorno di giugno. Di fatto, non ha portato a termine i suoi propositi. Perché?

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L'opera galleggiante è il primo romanzo scritto da un Barth poco più che ventenne. Venne pubblicato nel 1955 da un editore che apportò parecchie modifiche al testo, soprattutto nel finale. La stampa criticò il romanzo, soprattutto nel finale. Ed ecco che Barth ci rimette mano, nel 1967, per offrirlo al pubblico nella versione originaria. È un romanzo sperimentale, innovativo nella struttura e nel linguaggio, un emblema della narrativa postmoderna. Barth richiama l'attenzione del lettore in ogni momento: lo seduce, in un piacevolissimo giro di giostra fatto di picchi di euforia e bassi di dramma spirituale.
Riderete insieme:
Non riesco a terminare, lettori, non riesco a tenere la penna sino alla fine della riga: mi contorco e piango lacrime di risa sulla pagina stessa!
E lo sosterrete, quando deciderà di aprirsi a voi:
Il mio cuore, lettori! Il mio cuore! Bisogna che comprendiate rapidamente, sempre che riusciate a comprenderlo, che quelle maschere non furono assunte per nascondermi il viso, ma per nascondere il mio cuore alla mia mente, e la mia mente al mio cuore.
«La letteratura di John Barth — come buona parte della letteratura postmoderna, dagli anni Sessanta ai suoi eredi massimalisti di oggi — parla espressamente di se stessa. È autoreferenziale. È metanarrativa» scrive Martina Testa nell'introduzione. Autoreferenziale, nell'accezione più positiva del termine: non è una letteratura piena di sé, ma che riguarda, di fatto, anche se stessa. 
È un'opera galleggiante, amici, piena zeppa di curiosità, di melodramma, di spettacolo, di istruzione e di divertimento, ma scorre via volente o dolente secondo la marea della mia prosa vagante: l'avvisterete, poi la perderete di vista, poi la rivederete; e senza dubbio vi ci vorranno grandissimi sforzi di attenzione e di fantasia — insieme a non poca pazienza, se siete lettori comuni — per non perdere di vista la trama mentre vi naviga sotto gli occhi e poi vi sfugge alla vista.


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L'opera galleggiante. Minimum fax, 2003. Traduzione di Henry Furst e Martina Testa.
L'algebra e il fuoco. Minimum fax, 2013. A cura di Martina Testa. Traduzioni di Damiano Abeni.

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