Questa nostra età della febbre

La casa editrice minimum fax ha chiamato a raccolta, come fece dieci anni fa per La qualità dell'aria, un esercito di scrittori tra i trenta e i quarant'anni, esordienti o poco più. L'idea era quella di seguire l'esempio del New Yorker, per gli Stati Uniti, e del Granta per il Regno Unito: due riviste che, a cadenza decennale, dedicano una loro uscita ai racconti dei migliori scrittori under 40 (nel numero del New Yorker del 1999 c'era The Asset, il racconto di David Foster Wallace contenuto in Brevi interviste con uomini schifosi, per esempio). La mia idea, invece, era di leggere scrittori italiani, esordienti o poco più, che è una cosa che faccio sempre meno. I due curatori, Christian Raimo e Alessandro Gazoia, dicono di aver risposto alla domanda sollevata dagli scrittori, che tipo di racconto volete, con "vogliamo un racconto bellissimo". Il sottotitolo dell'antologia L'età della febbre è: Storie di questo tempo. Ma perché Storie di questo tempo? Il sottotitolo è nato prima o dopo? Come hanno fatto gli autori de L'età della febbre, undici voci così diverse, a dare una misura degli anni che stiamo vivendo? Quello che ho fatto io è stato cercare un sentimento condiviso, un sorta di sentire comune che avvicinasse i protagonisti: tra loro, e a me, che vivo il mio tempo nel tempo di adesso. E credo di esserci riuscita, in qualche modo, credo di aver trovato un legame tra tutte queste storie. Una diagnosi, e anche una terapia. Ho riconosciuto l'ombra della precarietà dell'esistenza, l'ansia di vivere una vita che sfugge, e ho scoperto la resa, anche come possibilità di salvezza.

Il racconto di Vanni Santoni, Emma & Cleo, è una storia corrotta dal senso del tempo che passa. Emma è innamorata di Cleo tanto quanto Cleo è presa da Emma. Ma Cleo è vittima di quel disagio che nasce dalla consapevolezza di avere una sola vita a disposizione, e che, perciò, deve essere vissuta nel miglior modo possibile. Cleo sceglie di ottimizzarsi, che vuol dire razionalizzare i processi (sentimentali) e ridurre gli sprechi.
Quando sei venuta qui l'ultima volta, e ho evocato quel periodo — va bene: annaspavo. Meglio annaspare che fare schifo, che dici? — ricordi cos'hai detto? Hai detto solo, Avevamo un sacco di tempo. La tua mania del tempo. Di non perdere tempo. Di mettere a frutto il tempo. Pensare di aver buttato otto anni sarà la tua condanna.
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Il peso della precarietà (e della brevità) della vita è un sentimento che non nasce oggi. Quelli prima di noi, e anche quelli prima di quelli prima di noi, sentivano di essere alla ricerca di un tempo perduto ma sapevano, anche, di combattere una guerra persa in partenza. Perché l'oggi è già intriso di ieri, e il futuro è un presente contaminato. Quello che è cambiato, negli anni, è il nostro modo di gestire la sconfitta. Oggi portiamo sulle spalle gli strascichi di una tragedia che appare sempre imminente, sempre irreversibile. Io ho ventinove anni e non riesco a capire se nella crisi ci sono nata, quando e se è accaduta, se è cresciuta con me, o se il peggio deve ancora venire. Sento, però, uno stato di continuo allarme: i muscoli contratti, la mascella serrata. L'orecchio teso, l'occhio vigile. Beep, beep, beep. Il problema è che la tensione affatica il corpo, e il corpo non regge. Il rischio, e la voglia, è cedere, lasciarsi andare a quello che verrà. Ho capito che è la conclusione a cui si arriva comunque, la resa. Inevitabilmente, prima o poi, ci arrendiamo: alle nostre ossessioni, alle nostre paure, al nostro tempo perduto. Però un'altra cosa che ho capito, e che ho capito attraverso questi racconti, è che ci sono due modi di cedere: resa come abbandono, e fallimento, o come fine, e nuovo inizio. Il fallimento è nello scetticismo in cui cade la protagonista di Altamarea, di Emmanuela Carbé:
Io non ricordo esattamente il giorno in cui passai al disincanto più totale. Forse non ci fu mai una fase di incanto. Forse avevo trovato l'habitat naturale nel mio Istituto, dove ora sopravvivevo con otto mesi senza stipendio e otto mesi con. Nessuna sconfitta mi avrebbe mai deluso. Avevo fatto la mia parte, ora bastava andare avanti e fare il mio dovere senza aspirazioni. Non provavo odio se qualcuno non era corretto, non mi sconcertava nessun tipo di regolamento, le idiozie del governo, non mi facevo più nemmeno una domanda. Se arrivavano meno fondi mi pareva normale, c'era la crisi. (...) Facevo come tutti, stavo zitta: lamentarsi era inelegante per chi come me apparteneva alla terribile generazione del lamento.
Il nuovo inizio è nella storia di Nicola, di Violetta Bellocchio. Il titolo, rivelatore, è Le cose che lui ha fatto per arrivare a te:
La resa era una chiave che entrava nella serratura. Avrebbe dovuto essere una brutta sensazione, come una caduta o un braccio rotto, ma Nicola si sentiva solido, e calmo. Le sue ossa stavano ritrovando un posto all'interno del suo scheletro dopo molto tempo.
Ma ancora, forse anche meglio, tutto questo l'ha scritto Chiara Valerio nel suo Fare due passi. È un racconto delizioso: è la voce di un bugiardo, un bugiardo molto accurato, che ci porta a spasso nella sua vita sentimentale, che lui chiama, appunto, Fare due passi (nelle giornate di sole). Il racconto finisce così, con una conclusione che sembra il problema, ma che un po' richiama anche la soluzione:
Ecco, le bugie vere, quelle perfette, quelle che potrebbero sostituire la realtà, le bugie impegnate, accurate, sono verità fuori tempo massimo, E quindi?, Quindi preferirei che ci chiudessimo in una stanza a fare l'amore perché la nostra adolescenza è finita, e stanno finendo anche i nostri pomeriggi, te l'ho detto quando ci siamo incontrati la prima volta che le persone per la strada avevano cominciato a darmi del lei, e questo fare due passi adesso è solo una bugia. Ne sei certo?, Non sarà che le giornate si stanno già accorciando?


***
L'età della febbre. Minimum fax, 2015. A cura di Christian Raimo e Alessandro Gazoia.
Gli autori: Violetta Bellocchio • Emmanuela Carbé • Claudia Durastanti • Manuele Fior • Vincenzo Latronico • Antonella Lattanzi • Rossella Milone • Vanni Santoni • Paolo Sortino • Chiara Valerio • Giuseppe Zucco

Commenti

  1. Faccio una domanda che potrebbe sembrare provocatoria, e invece non lo è perché vorrei capire. Davvero, mi piacerebbe tanto, capire.
    Si parla di DFW e ci sono 6 commenti, si parla degli emergenti italiani e non c'è nessuno. Magari è un caso, e tra un po' qui fioccheranno commenti pur di smentirmi. Te lo auguro e me lo auguro.
    Voglio dire: si parla di precariato, di sconfitta, di fallimento, perché oggi, in Italia, sono questi i temi. Sono temi forti, che dovrebbero alzare una discussione forte. Eppure... nulla. Allora io mi domando: perché? L'impressione è che le cose di casa nostra, specialmente se raccontate da noi, siano meno vere; come se sopra ci fosse una patina di non-so-cosa che rende tutto più sciapo e che alla fine ci prende meno, anche solo parlando di pura letteratura. O sono io che non capisco?

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    1. I commenti non arriveranno. Metti in conto che è un libro appena pubblicato, e i lettori sono più scettici di quello che vogliono far credere. E poi sono racconti, racconti di scrittori più o meno esordienti, comunque giovani: un libro molto ambizioso, e interessante, ma anti-commerciale.

      Quello che dici ha un senso, e lo comprendo, e mi dispiace. Perché non posso fare a meno di ammettere che anch'io cado in questa trappola: tendenzialmente, quando leggo italiano sento di leggere "meno vero". È un pregiudizio, perché poi, come in questo caso, qualcosa di quello che leggo mi piace. Ma faccio fatica, e non so dirti perché. Paradossalmente quello che vedo lontano riesco a collegarlo alla mia vita, mentre quello che più dovrebbe riguardarmi mi tiene a distanza. Non voglio dire - perché mi stona anche un po' - che tendiamo ad allontanarci per pensare di meno, anzi. Però forse viene meglio immaginarsi in un altrove distante.
      Penso che gli scrittori italiani, gli esordienti soprattutto, siano vittime dello snobismo di alcuni lettori ma penso anche che quegli stessi lettori si sono fatti delle idee anche (spero) leggendo. Penso a una tendenza, tutta italiana, a rimestare nelle tragedie, a scrivere "con la punta del cuore", ed è una tecnica (?) che alla lunga stanca. Wallace li chiamava i "giramanovella", quelli che venivano dopo un grande scrittore che aveva portato un'innovazione nella letteratura e si occupavano di registrare e riprodurre lo stesso meccanismo fino a logorarlo. Ecco, purtroppo, secondo me, in Italia ci sono parecchi giramanovella. E se qualcuno, perché qualcuno ci dev'essere per forza, ha un qualche talento, deve prima scrollarsi di dosso tutto quel non-so-cosa che neanche gli appartiene.

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  2. Be un po' è normale che un romanzone alla Infinite Jest suscitasse più commenti. È un po' come recensire l'ultima puntata di game of thrones piuttosto che di broadcity - un'evidente differenza di notorietà,prescindendo dalla qualità. Io ho atteso con interesse la recensione di Wallace,dal momento che è uno degli scrittori che ho più amato negli ultimi anni, però ero incuriosita anche da questa raccolta (prima ancora di leggere la recensione),probabilmente perché in realtà la minimum fax le ha fatto una certa pubblicità e secondo me è riuscita a confezionarla in modo accattivante . Ciò detto,è anche vero che un po' si tende a buttarsi di più sulla narrativa straniera che su quella italiana,che sicuramente avrà i suoi autori di qualità,io stessa ho provato a cimentarmi con alcuni autori abbastanza contemporanei - Cognetti per esempio o Missiroli - ma non mi è bastato a decidermi a dare più spazio alla narrativa italiana. Non so perché :(. Forse siamo talmente influenzati dalla cultura straniera (nel mio caso anglofona),quanto anche a cinema e serie TV ecc,da aver plasmato il nostro gusto su di essa? Ora termino il polpettone. :). Marta

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    1. Il paragone di IJ con le serie televisive è perfetto (ed è anche in tema col libro, se proprio vogliamo dirla tutta). Ed è vero che la minimum ha fatto (e fa) un ottimo lavoro di propaganda. Però è anche vero che tendiamo a leggere letteratura straniera, tendenzialmente americana (io, per esempio). Un po' è che quello che dici anche tu: subiamo un condizionamento sempre più sbilanciato. Il problema, per me, è anche doversi porre il problema. Nel senso, tu dici "ho provato anche a", io dico "cerco di", quando invece dovremmo arrivare al punto di leggere un libro perché ci sembra interessante, a prescindere dalla lingua in cui è stato scritto. Mi sono confrontata proprio oggi, con alcuni amici, che leggono tanto ma non leggono italiani. È una tendenza molto forte quella di allontanarsi, culturalmente, da qui. Ed è tutta nostra, perché gli americani leggono americano.

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  3. Ansia. Scusa non sei tu Maria (adoro leggere le tue recensioni). Però questi stralci di racconti che ci hai riportato mi hanno messo in uno stato d'angoscia. Non si può vivere in attesa che arrivi la sera. Leggiucchiando i commenti qui sopra mi vien da dire che io in questo periodo ho letto più narrativa italiana (anche soprattutto per lo Strega) e non mi è dispiaciuto affatto. Anzi.

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    1. L'ansia è uno stato (anche) positivo, tendenzialmente costruttivo. Fa parte di questi racconti tanto quanto appartiene alle nostre vite. È la segnalazione di un "guasto". Il problema è capire da dove viene quel disagio e, ancora più difficile, accogliere la soluzione. Questa è la teoria :)

      Ho seguito i vostri aggiornamenti Strega ed è stato bello vedere che avete dato un'opportunità a tutti i candidati, a prescindere da cinquine e classifiche varie.

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  4. Dai due brani che hai riportato, scrivono troppo "all'americana" per i miei gusti. Sulla lunga misura non riesco a reggere le frasi troppo frammentarie.

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    1. A me piacciono, se usate con moderazione, nei momenti giusti. E mi piace anche che l'autori giochi con la sintassi in relazione alle situazioni/stati d'animo dei personaggi (ma questa è una cosa che va fatta con stile).

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  5. Grazie per il tuo post perché la raccolta mi ispira molto. anche se ho talmente tanta roba da leggere che:
    a. cedo tutti i miei denari alla libreria e vado sotto un ponte
    b. mi licenzio e sto a leggere tutto il tempo
    Però prima o poi la leggo.

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    1. Sei fantastico Andrè, veramente. Ogni volta che dici queste cose (cioè, che dici: questo lo leggo) e ci aggiungi quel "prima o poi" io lo che tu ci credi! ;)
      Però, piano piano, vedi che leggiamo tutto? Speriamo solo che la prossima traduzione di Dubus venga pubblicata più in là!

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    2. Ahahah, il problema è che io intanto compro, quindi che riesca a leggerlo o no... alla fine sotto il ponte ci finisco comunque! XD

      Per Dubus... sì, meglio, tanto io ne ho tre da recuperare, prima. XD

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  6. Sarei curiosa di sapere che ne pensi del racconto di Chiara Valeri. Sono circa a metà raccolta e per ora posso dire di riconoscere abbastanza quello che dici ma il racconto di Chiara Valeri è una creatura bizzarra, non lo capisco. Marta

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    1. A me è piaciuto moltissimo. L'ho riletto un paio di volte, perché alla prima mi sono distratta a seguire il ritmo delle parole e non ho prestato attenzione al significato. Però è uno dei miei racconti preferiti. Diverso da tutti gli altri, questo è sicuro. A te non convince?

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  7. Non so,forse devo rileggerlo con più attenzione. L'ho trovato curioso,piacevole di per sé, però ho avuto difficoltà a coglierne il senso rispetto agli altri, essendo (fin'ora)quello dalla struttura meno lineare e soprattutto con cui racconti quando mi trovo di fronte a qualcosa a cui non riesco a dare dei contorni relativamente definiti entro un po' in crisi. Sto lì a dirmi "che avrà voluto significare?",anche se a ben vedere questo dovrebbe essere prova del fatto che il racconto sia riuscita. Sarà che mi fa sentire un po' stupida e la mia vanità ne è un po' ferita :D - tu comunque sempre gentile a rispondere a tutti i commenti :)

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    1. Ma figurati! Anzi, quello che io scrivo è di poco conto; è nei commenti che viene fuori "la roba vera" che, ti dirò, mi serve molto di più di quando faccio monologo.

      Quel racconto non ha una struttura lineare e la Valerio, per complicarcela, usa uno stile particolare: ti distrae con l'ironia e ti colpisce con la sensibilità. Prova a leggerlo una seconda volta, ma non farti troppe domande, non pensare alla crisi, al collegamento con gli altri racconti o a seguire un filo conduttore che dovrebbe portarti chissà dove. Vai a far due passi col bugiardo professionista, e vedi cosa succede.
      Se non funziona... non siete fatte l'uno per l'altra :)

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