SPOON RIVER | La collina

Pivano: «Hai voglia di raccontarci come ti è venuto in mente di fare questo disco?».
De André: «Spoon River l’ho letto da ragazzo, avrò avuto 18 anni. Mi era piaciuto, e non so perché mi fosse piaciuto, forse perché in questi personaggi si trovava qualcosa di me. Poi mi è capitato di rileggerlo, due anni fa, e mi sono reso conto che non era invecchiato per niente. Soprattutto mi ha colpito un fatto: nella vita, si è costretti alla competizione, magari si è costretti a pensare il falso o a non essere sinceri, nella morte, invece, i personaggi di Spoon River si esprimono con estrema sincerità, perché non hanno più da aspettarsi niente, non hanno più niente da pensare. Così parlano come da vivi non sono mai stati capaci di fare».


La collina, E. L. Masters

Dove sono Elmer, Herman, Bert, Tom e Charley,
l’abulico, l’atletico, il buffone, l’ubriacone, il rissoso?
Tutti, tutti, dormono sulla collina.
Uno trapassò in una febbre,
uno fu arso nella miniera,
uno fu ucciso in rissa,
uno morì in prigione,
uno cadde da un ponte lavorando per i suoi cari –
tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina.


Dove sono Ella, Kate, Mag, Edith e Lizzie,
la tenera, la semplice, la vociona, l’orgogliosa, la felice?
Tutte, tutte dormono sulla collina.
Una morì di un parto illecito,
una di un amore contrastato,
una sotto le mani di un bruto in un bordello,
una di orgoglio spezzato, mentre anelava al suo ideale,
una inseguendo la vita, lontano, in Londra e Parigi,
ma fu riportata nel piccolo spazio con Ella, con Kate, con Mag –
tutte, tutte dormono, dormono, dormono sulla collina.


Dove sono zio Isaac e la zia Emily,
e il vecchio Towny Kincaid e Sevigne Houghton,
e il maggiore Walker che aveva conosciuto
uomini venerabili della Rivoluzione?
Tutti, tutti, dormono sulla collina.
Li riportarono, figlioli morti, dalla guerra,
e figlie infrante dalla vita,
e i loro bimbi orfani, piangenti –
tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina.


Dov’è quel vecchio suonatore Jones
che giocò con la vita per tutti i novant’anni,
fronteggiando il nevischio a petto nudo,
bevendo, facendo chiasso, non pensando né a moglie né a parenti,
né al denaro, né all’amore, né al cielo?
Eccolo! Ciancia delle fritture di tanti anni fa,
delle corse di tanti anni fa nel Boschetto di Clary,
di ciò che Abe Lincoln
disse una volta a Springfield.



Quello che non vi ho detto è che, durante il nostro viaggio, io parlerò il meno possibile. Ci sono già due voci, quella di Masters e quella di De André, che si accordano in una sinfonia perfetta, nella quale io non saprei come intromettermi senza stonare. E poi a De André le chiacchiere non sono mai piaciute. A Masters forse sì: lui era un avvocato. Fernanda Pivano sarà la nostra guida: è la congiunzione, colei che ha reso possibile l’incontro tra quella poesia e quella musica, l’unica che può accompagnarci tra le anime di Spoon River. 
L’intervista di Nanda a Fabrizio De André del 25 ottobre 1971 – di cui vi proporrò alcuni passaggi in ogni articolo – compare nel retro di copertina dell’album Non al denaro, non all’amore né al cielo e nasconde una storia particolare: quel giorno Fabrizio prese appuntamento con Nanda per discutere dell’album. Lei, prima che lui arrivasse, posizionò un registratore sotto il letto. I due parlarono a lungo e lui si lasciò guidare nella conversazione, così come chiunque farebbe se si trovasse a discutere con un amico di un nuovo progetto. Quando Nanda svelò il trucco, pare che Fabrizio rimase divertito dello stratagemma e acconsentì, lui che era sempre stato restio a concedersi al pubblico, a divulgare l’intervista. Non potevamo capitare in mani migliori.
Pivano: «Hai sentito in queste poesie che nella vita non si riesce a comunicare? Quella che a me pare la denuncia più precorritrice di Masters, la ragione per la quale queste poesie sono ancora attuali, specialmente tra i giovani?».
De André: «Sì, decisamente sì. A questo punto ho pensato che valesse la pena ricavarne temi che si adattassero ai tempi nostri, e siccome nei dischi racconto sempre le cose che faccio, racconto la mia vita, certo di esprimere i miei malumori, le mie magagne [...]. Perché ho scelto Spoon River e non le ho addirittura inventate io, queste storie? Dal punto di vista creativo, visto che c’era stato questo Signor Lee Masters che era riuscito a penetrare così bene nell’animo umano, non vedo perché avrei dovuto riprovarmici io».
Pivano: «Sicché le grosse manipolazioni che hai fatto sui testi sono state come delle operazioni chirurgiche per rendere il libro attuale, contemporaneo?».
De André: «Sì. Addirittura per rendere più attuali i personaggi, per strapparli alla piccola borghesia della piccola America del 1919 ed inserirli nel nostro tipo di vita sociale. Quando dico borghesia non dico babau, dico la classe che detiene il potere e ha bisogno di conservarselo, no? il suo potere. Ma anche nel nostro tipo di vita sociale abbiamo dei giudici che fanno i giudici per un senso di rivalsa, abbiamo uno scemo di turno di cui la gente si serve per scaricare le sue frustrazioni (è tanto comodo a tutti, uno scemo...)».



***
Antologia di Spoon River
E. L. Masters, 1915.
Non al denaro, non all’amore né al cielo. Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio, 1971.

Commenti

  1. Quasi quasi azzardo a dire che questa è la canzone dell'album che preferisco. Rievoca i tempi gloriosi di quando leggevo i fumetti western ed ero incuriosito dalla cosiddetta "collina degli stivali", luogo dove trovavano sepoltura i protagonisti delle vicende che tanto mi appassionavano. La lettura di De Andrè rielabora in un certo qual modo il concetto della "livella" tanto caro al principe De Curtis....

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    1. Vero. La collina non è un pezzo molto conosciuto, non come gli altri, ma è molto importante per il significato che ha, sia nel disco che nell'antologia.

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