Aspiranti scrittori: artisti o affamati?

http://
Al giorno d’oggi l’aspirante autore, o meglio l’aspirante autore-artista, o meglio l’aspirante autore-artista con lo stomaco funzionante e il portafogli vuoto, si trova faccia a faccia con un paradosso madornale. Trattandosi di un aspirante, è ovvio che non sia ancora affermato, e chi non è ancora affermato non gode di nessun tipo di popolarità. In quanto essere umano, ed essere umano col portafogli vuoto, deve mangiare. In quanto artista, dotato di un autentico animo d’artista, il suo diletto consiste nel riversare sulla carta stampata l’esultanza del suo cuore. E questo è il paradosso che si trova davanti e che deve risolvere: come e in quale modo deve cantare l’esultanza del suo cuore in modo che la carta stampata su cui l’ha riversata possa servire a procurargli il pane?
Di questo libro vi ho già parlato qualche tempo fa. È Pronto soccorso per scrittori esordienti, una raccolta di testi firmati da Jack London. Mi era piaciuto molto perché, per la prima volta, non avevo letto di scrittura in termini di esigenza personale fine a se stessa ma anche, e soprattutto, come attività finalizzata al guadagno. Un mestiere, appunto. Ai tempi di London di scrittura si poteva vivere, oggi non è proprio così, ma i concetti sono più o meno gli stessi. Mi preme ritornare sullargomento perché rovistando tra i miei appunti ho trovato qualche citazione che potrebbe interessare a molti, più o meno esordienti.

La citazione con cui ho aperto l’articolo è l’annosa questione che incombe sullo scrittore nel momento in cui si trova a dover bilanciare l’estro creativo con la sopravvivenza, che London identifica col “procurarsi il pane”. È una questione di difficile risoluzione perché:
[...] il vasto pubblico gli dà da mangiare, e chiunque dà da mangiare a un uomo ne diventa padrone. E in quanto padrone, poiché deve dare una valutazione immediata della letteratura, il vasto pubblico esige una letteratura che sia immediata. [...] Però, mentre il vasto pubblico la fa da padrone per quanto riguarda la valutazione immediata, a effettuare la valutazione sostanziale è un numero diverso e molto minore di persone. Queste persone, in senso figurato, si reggono sulle spalle e sulle teste degli altri. Questi arbitri finali, adoperando il termine nel suo senso finale, si possono chiamare “critici”. Non bisogna confonderli con quelli che recensiscono i libri, un certo numero di libri a settimana, per le riviste in cui gli stessi libri appaiono nelle pagine pubblicitarie. Né sono necessariamente quelli che parlano da un punto di vista professionale, e non devono per forza parlare attraverso la stampa. Ma sono quelli che, a dispetto delle orecchie sorde, hanno una buona parola per ciò che merita e stroncano le stupidaggini, e continuano ad avere buone parole e a stroncare stupidaggini finché non riescono ad attrarre una folla.
Per lo scrittore, che è il protagonista della nostra riflessione, il problema è evidente: «[...] là dove lui sognava di servire un padrone ne trova due. Deve servire il primo padrone per poter vivere, il secondo per far vivere il proprio lavoro, e quello che l’uno richiede sopra ogni altra cosa è ciò che all’altro serve poco o nulla». E come si risolve? «Questo, caro lettore, è affar suo (...). Tu devi solo essere grato che ci sia riuscito».

È una conclusione, ammiccante e impertinente, che tanto diverte ma poco chiarisce. Dobbiamo sfogliare qualche pagina in più per trarre una sorta di decalogo del perfetto esordiente: un elenco di consigli pratici, indicazioni che lasciano poco spazio alla scrittura intesa soltanto come espressione artistica. Scrivere è un compito da assolvere con professionalità perché ci consente di sopravvivere, e dunque:
  1. Non lasciate il vostro lavoro per mettervi a scrivere, a meno che non abbiate nessuno a carico.
  2. La narrativa rende meglio di tutto, e quando è di buona qualità si vende più facilmente.
  3. Una storiella umoristica ben scritta si vende meglio di una poesia ben scritta, e, se la si misura in sudore e sangue, viene remunerata meglio.
  4. Evitate i finali tristi, tutto ciò che è sgradevole, brutale, tragico, orribile... se ci tenete a vedere pubblicato quello che scrivete.
  5. L’umorismo è la cosa più difficile da scrivere, più facile da vendere e meglio compensata. [...] Guardate Mark Twain. 
  6. Non precipitatevi a buttar giù un racconto di seimila parole prima di colazione. Non scrivete troppo. Concentrate il sudore della vostra fronte su un solo racconto, piuttosto che disperderlo su una decina di storie. 
  7. Non statevene in ozio per attirare l’ispirazione; corretele dietro con una mazza, e se non riuscite a raggiungerla, cionondimeno raggiungete qualcosa che le somiglia in modo considerevole. 
  8. Prefiggetevi una quantità di lavoro da fare ogni giorno; alla fine dell’anno avrete più parole accreditate a vostro nome. 
  9. Studiate i trucchi degli scrittori arrivati. Loro sono riusciti a padroneggiare gli stessi strumenti con cui voi vi ammaccate ancora le dita. Loro realizzano opere che recano all’interno le tracce di come sono state realizzate. Non aspettate che qualche buon samaritano venga a indicarvele; scovatele da voi. 
  10. Badate che i vostri pori siano liberi e che la vostra digestione sia buona. Questa, ne sono convinto, è la regola più importante di tutte.
Jack London è un mercenario nel suo approccio con la carta, oppure è soltanto quello che vuole farci credere, ma non è così importante perché quello che dice ci cattura a prescindere. È una visione più o meno condivisibile, ma fondata: a questo mercato pieno di scrittori che riversano le emozioni su carta, che non conoscono altro modo di esprimersi se non attraverso la scrittura, che lasciano fluire le sensazioni senza controllarle io rispondo che scrivere è prima di tutto un atto di verità verso se stessi. Perché scrivi? Qual è il vero motivo?

Utilizzare la scrittura come valvola di sfogo è lecito, ma lo scrittore che scrive, che lo fa per essere pubblicato, deve dar conto del suo lavoro e fornire un prodotto di qualità. Il talento, come la passione, sono attributi necessari ma non sufficienti. Sempre più spesso leggiamo pagine colme di tragedie personali, di elaborazioni esistenziali, di conquiste e di sconfitte che lasciano poco o nulla. Sono testi egocentrici, asettici nelle loro drammaticità. Se la scrittura è un atto di verità verso se stessi, la pubblicazione è un atto di responsabilità verso gli altri
 
Affidare il proprio lavoro a qualcuno vuol dire confidare nell’altro, sperare che chi ci accoglierà si occuperà di noi nel migliore dei modi. Ma, per far sì che ciò accada, dobbiamo essere in grado di garantire, con umiltà, che il nostro sia un lavoro complesso, ponderato. Che non sia un semplice riflusso emozionale. Non è mia intenzione relegare la scrittura a un esercizio svolto per assecondare i gusti del pubblico, ma dico di scrivere tenendo conto che il lettore esiste; dico di bilanciare l’estro con la tecnica, e dico anche di essere consapevoli che la scrittura è comunicazione. È un dialogo. È questa la strada giusta, l’unica possibile, per mitigare la fame con l’esaltazione del cuore.


Commenti

  1. Quanta verità in un post solo... Eppure in tanti sono convinti che lo scrittore debba scrivere solo quello che gli va, nella convinzione che sia anche la cosa che gli riesce meglio. Così come si affannano a pubblicare su una qualche piattaforma digitale, a caccia di numeri che non verranno. Fare lo scrittore è un lavoro; come tutti i lavori è faticoso. Farlo come secondo lavoro significa sobbarcarsi la fatica di due lavori, uno in cui sopravvivi perché ti pagano e l'altro in cui sopravvivi perché ti paghino. Ma è una fatica che sembra valere la pena di essere fatta: in mezzo alle parole che il pubblico vuole, se sei bravo abbastanza, può anche scapparci l'ombra di un pensiero tuo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. La verità è abbastanza intuitiva, sebbene non sia sempre zucchero e canditi: pubblicare un libro presuppone l'intenzione di coinvolgere un pubblico (da questo punto di vista un romanzo può essere equiparato a un prodotto commerciale) e non ammetterlo è un atteggiamento ipocrita e buonista. Il fine non è necessariamente economico: c'è la popolarità, per dire, o un bisogno di accettazione trasversale. Zio Jack afferma che si pubblica per ambizione , e ognuno se la gioca come preferisce.

      Ora, io compro un prodotto se mi può essere utile, se ne traggo qualche beneficio, se riesco a soddisfare un bisogno (primario o secondario, fisico o emozionale). Va da sé che, per vendere, tu devi scrivere pensando anche a me, che faccio parte del target che hai deciso di raggiungere (e anche qui, a proposito di target, ci sarebbe un grandissimo discorso da fare, di qualità e quantità, ma questo è tutto nelle mani dello scrittore).

      Quindi: scrivere è esprimere se stessi? Certo, ma se vuoi vendere c'è, da lì, altro (e parecchio) lavoro da fare.

      Elimina
  2. Hera
    non sono molto d'accordo con tutti i punti:
    1Non lasceri mai il lavoro per scrivere perché la fortuna non è duratura. Oggi sei sulla cresta dell'onda, domani sei sotto un ponte.
    2Ma anche no. Spesso mi sono ritrovata tra le mani libri acclamati che non mi son piaciuti per niente.
    3Sono abbastanza d'accordo ma è pure una questione di gusti.
    4Non è detto: avere sempre finali allegri, sereni e gioiosi annoiano. Anche finali tristi possono appassionare.
    5Ho letto qualche libro di Mark Twain, l'umorismo c'è ma non lo prenderei come esempio eccellente.
    6Su questa son d'accordo, scrivere troppe cose, infarcire la storia d troppi elementi stanca, persino i lettori più accaniti.
    7A volte, l'ispirazione arriva proprio quando meno te lo aspetti, o si sta oziando.
    8Sono d'accordo anche su questo punto, non strafare.
    9Non tutti gli scrittori "arrivati" hanno dei trucchi che possano andare bene per un esordiente. Non imiterei ma uno stile già visto.
    10L'ultima regola non ha senso.
    Ciao

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Le regole, di per sé, sono sbagliate: lasciano poca marginalità. Nella scrittura, che è un'attività di "creazione", le regole sono solo un orientamento, un indirizzo. Ovvio che, nello specifico, ogni indicazione di London è discutibile ma, sinceramente, degli scrittori tutto cuore e niente tecnica si siamo un po' stancati.

      Elimina
  3. Proprio vero che la scrittura è comunicazione e dialogo. Lo scrittore costruisce un ponte con un miscuglio di emozione (sua e degli altri), tecnica e lavoro, mosso dal desiderio di incontrare i suoi lettori. Da qui nasce l'esigenza della verità verso se stessi e della responsabilità verso gli altri. Purtroppo durante il tragitto è impossibile scordarsi che lo stomaco brontola e le regole di London possono essere interpretate anche in maniera positiva. Ad esempio la prima suggerisce di dipendere dal tuo lavoro quotidiano così da poter scrivere al meglio senza l'apprensione economica. Questa regola può sembrare un po' cinica, ma paradossalmente se si vuole guardare alla scrittura come un'attività professionale e non un mero flusso emozionale allora bisogna scrivere come il professionista che ama il suo lavoro e quindi non gli appare tale. I professionisti guadagnano poco dalla loro passione finché non sono affermati e anche allora potrebbero guadagnare giusto lo stretto indispensabile. Gli scrittori non fanno eccezione.

    RispondiElimina

Posta un commento