Le braci di Sándor Márai

«Eccessivamente romantico» si giudicò l'autore. Se avessi letto prima questa sorta di autocritica, non l'avrei preso in considerazione: il romanticismo fine a se stesso è una cosa dalla quale rifuggo con orrore. Per fortuna me ne sono accorta solo ieri, quando Le braci si erano spente da tempo, lasciandomi un flebile ma persistente sentore di fumo. Non ho pensato per un solo momento che fosse un libro romantico. È che forse io non ci ho capito niente ma, più che sentimentale, mi è sembrato un romanzo intenso, addirittura feroce nell'ultima parte. Questo mi ha fatto riflettere sul concetto di letteratura come esperienza. È un fatto, una situazione che osserviamo con una lente distorta dal nostro vissuto. Ognuno di noi legge quello che più gli assomiglia.

Sebbene sia un romanzo pubblicato per la prima volta nel 1942, io l'ho trovato attuale nei temi, nelle riflessioni e in ogni collegamento azione-pensiero. Meno nello stile che, in alcuni tratti, dimostra a pieno la maturità che ha. Ma quest'aspetto non mi ha infastidito, anzi: la scrittura di Sándor Márai, gravata dal quel peso di leggero dramma che contraddistingue le opere d'altri tempi, mi è sembrata perfetta. Azzeccata, come se la storia di Henrik e Konrad non si potesse raccontare in nessun altro modo.
Vissero insieme sin dal primo istante, come gemelli nell'utero materno. Non ebbero bisogno di stringere patti di amicizia come fanno di solito i ragazzi della loro età, che indulgono con passionalità enfatica a rituali ridicoli e solenni, nella forma inconsapevole e grottesca in cui il desiderio si manifesta tra gli uomini quando decide per la prima volta di strappare il corpo e l'anima di un'altra persona al resto del mondo per possederla in maniera esclusiva. Il senso dell'amore e dell'amicizia è tutto qui. La loro amicizia era seria e silenziosa come tutti i grandi sentimenti destinati a durare una vita intera. E come tutti i grandi sentimenti anche questo conteneva una certa dose di pudore e di senso di colpa. Non ci si può appropriare impunemente di una persona, sottraendola a tutti gli altri.
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Una luce mansueta è tipo di rapporto che lega i due protagonisti. Henrik è sempre stato un uomo espansivo, dinamico e divertente. Ma era anche un soldato – alcuni di loro lo sono davvero, nell'anima – e non sentiva il peso di allinearsi alla dottrina militare. Era un onore. In fondo, era tutta la sua vita. Era ricco, di quella ricchezza congenita che non ti lascia immaginare che, forse, non tutti hanno le tue stesse possibilità. Era buono, generoso. Il suo denaro sarebbe stato il denaro di Konrad, se solo quest'ultimo avesse voluto. Konrad era un diverso. Nascondeva la sua sensibilità alla maggior parte della gente, scrutando il mondo dalla feritoia di quel possente muro d'orgoglio che si era costruito in tanti anni di sofferenza. Era povero, di quella povertà dignitosa che ti spezza il cuore. Disdegnava il modo di vivere di Henrik, le sue occasioni, i suoi vestiti e le sue donne. Ma quanto avrebbe voluto essere lui. Non erano fratelli: loro si erano scelti.
Non c'è nulla di più delicato di una relazione come questa. Tutto ciò che la vita darà più tardi sentimenti teneri o desideri brutali, passioni impetuose e vincoli fatali sarà più rozzo e più disumano.
Il 15 agosto del 1940, Konrad invia una lettera a Henrik per informarlo di essere giunto in paese. Non si vedevano da quarantun'anni. Il generale ordina di preparare la cena, premurandosi che tutto sia acconciato come l'ultima sera in cui erano ancora tutti insieme. Lui, Konrad e Krisztina. Ogni persona, ogni stanza, ogni singolo respiro era rimasto sospeso, in attesa di quell'incontro.
Le maniglie delle porte conservavano il tremito di una mano, l'emozione dell'attimo in cui essa aveva esitato a completare il suo gesto.
Vi dicevo di quanto io l'abbia trovato attuale. La questione che si sviluppa tra le pieghe della storia è basata su una serie di domande che hanno a che fare con la verità, con il ruolo che essa assume nei rapporti e con il valore che detiene nel tempo. Una, in realtà, potrebbe contenerle tutte: quanto è importante la verità? Davvero, quanto è importante? Esula da ogni contesto? Dopo quarant'anni, è fondamentale sapere quello che è accaduto? Nonostante il tempo? Nonostante l'amore? È importante sapere che i nostri dubbi erano fondati? Che le persone a cui eravamo più legati ci avevano effettivamente tradito? Vince la verità, nonostante tutto? Cosa ci resta, dopo? La certezza di aver avuto ragione. E poi? Cos'altro?
Sei tornato perché non potevi fare diversamente. E io ti ho aspettato perché nemmeno io potevo fare diversamente. E sapevamo entrambi che ci saremmo incontrati ancora una volta, e che poi sarebbe stata la fine. Della vita, e naturalmente di tutto ciò che ha dato un senso alle nostre vite e le ha mantenute in tensione fino a questo momento. Perché un segreto come quello che esiste fra te e me possiede una forza singolare. Una forza che brucia il tessuto della vita come una radiazione maligna, ma al tempo stesso dà calore alla vita e la mantiene in tensione. Ti costringe a vivere.
La forza di guardare l'altro negli occhi, di leggere le sue colpe. La forza di chiedere perdono, senza doverlo dire a parole. Sentirsi ancora parte di quello è stato, per un attimo soltanto. Forse è questo il momento più importante, anche più della verità.
Le finestre come braci, prendevano ancora a prestito la vampa del tramonto.


***
Le braci, Sándor Márai. Adelphi, 2008. A cura di Marinella D'Alessandro.
(l'autocritica, nel caso, potete leggerla qui)

Commenti

  1. Emotivamente intenso e feroce, hai detto bene. Certamente attuale, visto che tira in ballo tematiche sempre vive e presenti, e molto introspettivo, per quel suo scavare dentro in modo quasi estenuante. Mi fa piacere che l’hai apprezzato anche a te.

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    1. Mi è piaciuto davvero tanto e mi dispiace che non riscuota molto successo nei lettori di oggi.

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  2. Mi affascina! E poi è Adelphi, fiducia a priori ;)

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  3. Davvero un gran bel libro. L'ho letto ormai anni fa, ma è una di quelle letture che rimangono sotto pelle, e ogni tanto spuntano e pretendono qualche pensiero.
    L'ho ritrovato nelle tue parole, e sono felice che abbia colpito anche te: è un libro che merita e che vorrei fosse ancora più noto.

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    1. Hai ragione. È un po' sottovalutato secondo me.
      Sembra innocuo, ma io l'ho trovato davvero potente, e bello.

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