#SalTo14: Adelphi, 50 anni (di editoria) e non sentirli

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Altre dal Salone del libro di Torino.
Quando il programma si è palesato, un paio di mesi fa, io ne ho approfittato per segnare gli eventi ai quali avrei voluto assolutamente partecipare. Mi avevano detto che sarebbero stato difficile conquistare un posto in sala;  ho preferito focalizzarmi su un paio di pochi ma buoni. Un appuntamento a cui non volevo mancare era una festa di compleanno: i 50 anni della casa editrice Adelphi. Durante l'incontro, condotto da Teresa Cremisi (editrice Garzanti ieri, Gallimard e Flammarion oggi), si è parlato di rischio, di gusto e di Nietzsche. Ma, soprattutto, si è parlato di editoria. Ospite della conferenza: il direttore editoriale di Adelphi, Roberto Calasso.

Lui, Calasso, è una di quelle persone che mi ispira fiducia, a priori; al di là delle scelte editoriali che ha affrontato in questi anni, i libri che lui stesso ha scritto hanno un sapore diverso, un sapore culturale. Uno dei due volumi oggetto dell'incontro è stato proprio il suo L'impronta dell'editore, un approfondimento sulla storia dell'editoria che ho intenzione di recuperare al più presto. L'altro protagonista, Adelphiana, è una sorta di antologia, un catalogo che ripropone il percorso editoriale della casa e gli autori che, per un motivo o per un altro, hanno rappresentato un tassello importante nella costruzione dell'immagine che oggi ha l'Adelphi. 


Sono emersi argomenti sui quali noi lettori abbiamo dibattuto spesso: il ruolo dell'editore e i modi attraverso i quali lo stesso può presentarsi sul mercato. Si è discusso di mercenari e di volontari, di scelte qualitative e di strategie di vendita. Alla domanda di Teresa Cremisi, "Avresti potuto essere uno che si adatta?", Roberto Calasso sceglie di essere sincero, e ammette che sì, si sarebbe anche potuto adattare perché "il demone editoriale è difficile da estirpare, ma sarebbe stato meno divertente". Calasso si sofferma sul significato del termine editore, un titolo usato - e abusato - da tantissime realtà che con il concetto primo di editoria c'entrano poco o niente.


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Esiste il bello, esiste il brutto. In rispetto di ciò, la Cremisi si domanda se non sia rischioso prendere delle decisioni affidandosi al gusto dei lettori che è uno degli elementi più impalpabili ma, allo stesso tempo, più insindacabili che esistano. Calasso conferma il pericolo insito nell'effettuare scelte di nicchia, ma ammette di riporre fiducia in quel lettore, uno in mezzo a tanti, che sicuramente sarà in grado di percepire il valore di un libro. Anche se, continua, il mercato è tirato dalla massa, e alla massa piace il brutto. Ecco perché in libreria si trovano tanti testi "molto brutti, spesso repellenti, ma che hanno ottime ragioni economiche per star lì". Alcune case editrici, continua il direttore, puntano soltanto a saziare la fetta di mercato più grossa, confezionando su misura i prodotti così come vengono richiesti. E questo è sbagliato: una casa editrice è un'impresa ed è ovvio che debba cercare di percepire - e soddisfare - i bisogni dei lettori, ma un editore, prima di tutto, deve amare quello che fa e deve saper rinunciare alle occasioni di guadagno facile, se queste non sono coerenti con l'idea editoriale con la quale il progetto è partito.

Un libro può essere considerato un prodotto editoriale, ma non tutti i prodotti editoriali possono essere considerati libri. Questo ce lo aggiungo io. 

L'editore deve aver il coraggio di pubblicare gli autori in cui crede anche se il mercato non è ancora pronto ad accoglierli. Gli esempi adelphiani che ha riportato Calasso a tal proposito sono Ian Fleming e George Simenon, due scrittori che hanno faticato a trovare consensi presso il pubblico leggente. Simenon, soprattutto, supportato solo dai seguaci di Magrait, era inizialmente considerato un autore di poco conto, un giallista mediocre; è stato il tempo a conferire a Simenon il valore che ora gli viene riconosciuto.

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Parlare di scelte è semplice, prendere decisioni è tutt'altro conto: ogni alternativa che viene scartata, ogni conclusione a cui si arriva, è frutto di un processo difficile e inteso, pieno di ripensamenti e perplessità che permangono anche dopo che il libro viene messo in stampa. Si è parlato di copertine, di quanto indicare un'immagine da associare a un libro sia "una scelta lacerante, accompagnata da dubbi e cambiamenti". E noi, che siamo un po' dei feticisti in materia, possiamo capire il perché.


Un incontro piacevole, che mi ha chiarito alcune idee e me ne ha smosse molte altre.
Un appunto: ho aspettato fino all'ultimo, ma della torta neanche l'ombra.



Commenti

  1. Fattelo dire hai sempre un punto di vista tutto particolare riguardo ogni cosa, è sempre un piacere leggere i tuoi originali pareri. ;)

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  2. Se Simenon all'inizio veniva considerato mediocre, comprendo perché alla massa sia necessario dare in pasto il "brutto"... :(

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  3. Non ringrazierò mai abbastanza l'Adelphi (e Calasso, per proprietà transitiva) per la riproposizione di Simenon.
    Ti invidio un sacco, avrei tanto voluto vedere di persona questo incontro... Per fortuna, perlomeno, c'è il tuo resoconto :)

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  4. il mio sogno è avere in casa una mega libreria solo di Adelphi! Li amo sempre, nell'estetica e nel contenuto!

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  5. E dire che oggi, forse, Simenon è più apprezzato per gli altri da Magrait!

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