Lezioni americane di Italo Calvino #3: esattezza



A differenza di quel che accade nelle prime lezioni, Italo Calvino chiarisce quasi subito l’argomento che occuperà il terzo intervento. Non a caso, il tema affrontato è l’esattezza.
Esattezza vuol dire per me soprattutto tre cose:
1. un disegno dell’opera ben definito e ben calcolato;
2. l’evocazione d'immagini visuali nitide, incisive, memorabili;
3. un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione.
L’esigenza di sottolineare concetti in apparenza così ovvi nasce per una presa di coscienza: l’essere umano si esprime in modo sempre più approssimativo e casuale. È come se la parola avesse perso peso e misura; spogliata del suo primordiale significato, non riesce più a imporsi con la stessa forza. 
Allo stesso tempo, le immagini non hanno più dimensione; forma e contenuto sfumano in una nuvola incolore che si dissolve lasciando una sensazione di distacco e alienazione.
Il mio disagio è per la perdita di forma che constato nella vita, e a cui cerco d'opporre l’unica difesa che riesco a concepire: la letteratura.
Per difendere l’esattezza, Calvino richiama il suo contrario, l’indefinito, e cita un poeta che su questo principio ha basato tutta la vita: Giacomo Leopardi. Nei primi passi dello Zibaldone, lo scrittore si lascia andare a un vero elogio del vago, sostenendo che il linguaggio è tanto più poetico quanto più è impreciso. 
Continuando a sfogliare le pagine di quest’opera, Calvino inciampa in un’altra nota, appunti presi dal poeta per provare a circoscrivere lo stato d’animo dell’indefinito, e si rende conto di una cosa alquanto bizzarra. Ne riporto solo una parte, per darvi un’idea:
[...] la luce del sole o della luna, veduta in luogo dov’essi vedano e non si scopra sorgente della luce; un luogo solamente in parte illuminato da essa luce; il riflesso di detta luce, e i vari effetti materiali che ne derivano; il penetrare di detta luce in luoghi dov’ella divenga incerta e impedita, e non bene si distingua, come attraverso un canneto, in una selva, per li balconi socchiusi ec. ec.; la detta luce veduta in luogo, oggetto ec. dov’ella non entri e non percota dirittamente, ma vi sia ribattuta e diffusa da qualche altro luogo od oggetto ec. dov’ella venga a battere.
Notate qualcosa? Il vago di Leopardi è in realtà una descrizione accurata e precisa; l’autore non può fare a meno di avvalersi dell’esattezza per delineare un’immagine astratta.
Il poeta del vago può essere solo il poeta della precisione, che sa cogliere la sensazione più sottile con occhio, orecchio, mano pronti e sicuri.
Come possiamo concludere la discussione senza nominare la lirica più celebre sull’argomento? L’infinito è il componimento nel quale la poetica del vago raggiunge la massima espressione: il poeta, immaginando spazi infiniti, al di là della siepe, è emozionato. Ma l’essere umano non riesce a concepire l’infinito e si spaventa; se ne discosta, rifugiandosi in un’idea in apparenza più accessibile, più esatta, di indefinito. E in quel mare, come sappiamo, il naufragar gli è più dolce.
La parola collega la traccia visibile alla cosa invisibile, alla cosa assente, alla cosa desiderata o temuta, come un fragile ponte di fortuna gettato sul vuoto.
Non me ne voglia la leggerezza, ma non ho potuto sgravare la lezione più di così. E non voglio aggiungere altro, nel rispetto della precisione che s’impone. La visibilità ci attende.


 Lezioni americane, Italo Calvino. Mondadori, 2010.

Commenti

  1. Brava, che bello venire a... lezione da te!

    RispondiElimina
  2. Io mi sa che sono per il vago. Mai stato preciso.

    RispondiElimina
  3. Che belle queste "lezioni" Maria, quando leggerò il libro sarò prontissima grazie a te! :)

    Volevo informarti che ti ho menzionata in un tag, spero ti faccia piacere ^_^

    http://www.peekabook.it/2014/01/thank-you-tag.html

    A presto!

    Valentina
    www.peekabook.it

    RispondiElimina
  4. Bravissima Maria, molto interessante la lezione


    RispondiElimina

Posta un commento