Peter Cameron: una diversa concezione del dolore

Se seguite questo blog da un po' di tempo, avete imparato a capire quello che mi piace. Alcune cose, almeno. Quello che non sapete è cosa mi infastidisce, cosa mi mette a disagio, ed è giusto che conosciate anche questo lato del mio carattere. Una cosa che detesto è non poter esprimere un parere su un argomento perché non ne so abbastanza; non riesco a perdonarmi di non aver approfondito in precedenza. E, trasferendo il concetto al nostro campo di interesse, è difficile che io parli serenamente di un libro se non sento di aver acquisito una conoscenza, seppur minima, dell'autore e della sua scrittura, della sua storia. Mi sembrerebbe, nel caso, di non avere i dati per sostenere l'opinione, come se non conoscessi tutte le variabili per risolvere un problema. Detto ciò, Peter Cameron mi ha messo veramente in crisi.

Qualche giorno fa ho terminato il suo ultimo romanzo: il weekendIn realtà The Weekend è il secondo libro scritto dall'autore ed è stato pubblicato nel 1994 da Farrar, Straus & Giroux, ma è giunto a noi solo nel marzo del 2013. Leggendolo ho avvertito una sorta di dissonanza cognitiva che non avevo mai provato prima. La scrittura di Cameron è bella, proprio nel senso estetico del termine: belle sono le parole che utilizza, gli aggettivi, le pause; i dialoghi sono brillanti e lo stile è raffinato, elegante, ricercato ma semplice. Bello. 

C'è anche da dire che, e qui sono costretta ad aprire una parentesi, io ho un debole per la narrativa americana contemporanea. Mi piace saggiare sempre nuove influenze e, in alcuni casi, ricevo anche diverse risposte positive, come dalla letteratura africana, ma anche la narrativa islandese, che pensavo non fosse nelle mie corde e invece mi ha piacevolmente sorpreso. Però. Però. Però la letteratura america è la mia isola felice. È il mio porto sicuro. So che, nel caso stessi attraversando un periodo di inappetenza letteraria, mi basterebbe allungare la mano, afferrare dalla libreria quei due o tre titoli che tengo a riserva e sono sicura che tornerei rapidamente in carreggiata. È una questione di affinità, non c'è molto da spiegare, è empatia pura e semplice. 

Peter Cameron appartiene, di fatto e di diritto, a questa categoria. Qual è il problema allora? Il problema è la trama, o meglio, il tema celato all'interno di essa e, soprattutto, il modo in cui l'autore ha scelto di parlarcene. A fine lettura non mi sono sentita del tutto soddisfatta. Pensavo però, ed è qui che si sostanzia la questione, che fosse una mia mancanza, che io, non avendo letto nulla di suo prima di questo libro, non fossi in grado di formulare un'opinione globale e concreta, un giudizio pieno e consapevole. Le variabili del problema.

Placati i primi slanci di autocommiserazione, sono corsa a recuperare Un giorno questo dolore ti sarà utilePerché dovevo capire, perché dovevo sapere. Anche qui però ho avvertito la stessa sensazione, la stessa dissociazione. Ecco perché adesso, a cuor più leggero, posso parlare di entrambi i libri, perché sento di aver acquisito una maggiore consapevolezza.

Il tema che accomuna i due li è il dolore ma la traccia che approfondisce l'argomento si basa su due diverse situazioni. Il primo romanzo si svolge in un arco di tempo abbastanza ristretto, un weekend appunto, nel quale i personaggi manifestano ed elaborano a proprio modo una sofferenza comune:
weekend-Cameron-cover
John e Marian, coppia di facoltosi quarantenni, attendono nella loro villa di campagna l'arrivo di Lyle, critico d'arte di New York, nell'anniversario della morte di Tony, fratello di John e compagno di Lyle per nove anni. Quest'ultimo si presenta però insieme a Robert, ventiquattrenne pittore di origini indiane: circostanza fatalmente destinata a trasformare il placido soggiorno che i tre avevano programmato in una sequenza di momenti imbarazzanti e carichi di tensione.
Ma se l'ansiosa Marian sem­bra essere l'unica ad accorgersene e John si chiude in un laconico riserbo, Lyle fa di tutto per apparire disinvolto. 
In questa vicenda, il peso di cui si fanno carico i protagonisti è doppio perché le emozioni che vivono sono articolate e contrastanti: da un lato c'è la perdita, il vuoto, ma dall'altra c'è la vita che preme, il nuovo che si fa spazio. C'è la voglia di tornare a respirare e c'è il senso di colpa solo per aver pensato di volerlo fare. È un dolore maturo, complesso. Adulto. 

Il secondo libro credo si possa definire un vero e proprio romanzo di formazione
un-giorno-questo-dolore-Cameron-coverJames ha 18 anni e vive a New York. Finita la scuola, lavoricchia nella galleria d’arte della madre, dove non entra mai nessuno. [...]
Per ingannare il tempo, e nella speranza di trovare un'alternativa all'università («Ho passato tutta la vita con i miei coetanei e non mi piacciono granché»), James cerca in rete una casa nel Midwest dove coltivare in pace le sue attività preferite – la lettura e la solitudine –, ma per sua fortuna gli incauti agenti immobiliari gli riveleranno alcuni allarmanti inconvenienti della vita di provincia. Finché un giorno James entra in una chat di cuori solitari e, sotto falso nome, propone a John, il gestore della galleria che ne è un utente compulsivo, un appuntamento al buio...
Strano che si tratti di una pubblicazione più recente perché sembra quasi che i due testi siano uno il seguito dell'altro. In entrambi i casi il protagonista è un omosessuale, però, al contrario di Lyle che è un uomo con un orientamento preciso e definito, James è un ragazzo ancora in piena fase evolutiva; la sua angoscia è correlata all'incompatibilità che avverte rispetto ai suoi coetanei, all'incapacità di saper adattare la sua vita al modello al quale ogni persona "normale" dovrebbe aspirare. Da questo grumo di emozioni, esce fuori un personaggio sensibile e intelligente. Speciale, se volessimo banalizzare.

Ancora. Qual è il problema? Il problema è proprio il doloreÈ difficile attuare un'immedesimazione completa, proprio a causa della complessità delle circostanze nelle quali si trovano i due protagonisti, però, da lettrice, lamento il fatto di non essere riuscita ad entrare completamente nella loro sofferenza. È questo che mi ha messo in crisi: l'amore che ho provato per la sua scrittura e il distacco emotivo che ho avvertito per le sue storie. Il tocco di Cameron è garbato, ed è un pregio che solitamente apprezzo in un autore, ma forse l'eccessiva delicatezza ha reso alcuni passaggi meno incisivi. 

È impensabile, una volta iniziato un suo libro, pensare di fermarsi e fare altro; durante la lettura sembra quasi di sentirla, la sua sensibilità, come fosse palpabile, ed è un richiamo al quale non si può resistere. Ma io ho un'idea del dolore più esplicita, più disperataCiò non vuol dire che creda che le emozioni palesate siano più profonde, anzi, però in questo caso avrei preferito un approccio più diretto ed efficace.

È ovvio che qui entriamo in quella grossa e indefinita zona delle preferenze personali nella quale ogni soggettività è concessa. Io probabilmente mi sento più vicina a Il weekend ma, ripeto, non c'è nessuna base oggettiva che mi spinge a suggerirne uno e a scartare l'altro. È un autore che consiglio, a prescindereIo intanto aspetto la prossima storia, quella che forse sentirò davvero mia.
Ci sono cose che si perdono e non tornano indietro; non si possono riavere mai più, se non nella copia carbone della memoria. Ci sono cose a cui sembra impossibile rassegnarsi ma a cui rassegnarsi è inevitabile. Lo scorrere dei giorni leviga il dolore ma non lo consuma: quello che il tempo si porta via è andato, e poi si resta con un qualcosa di freddo e duro, un souvenir che non si perde mai. Un piccolo bassotto di porcellana delle White Mountains. Una marionetta del teatro delle ombre di Bali. E guarda: un calzascarpe d'avorio di un hotel a quattro stelle di Zurigo. E qua, come un sasso che porto ovunque, c'è un pezzetto di cuore altrui che ho conservato da un vecchio viaggio.


Traduzione di Giuseppina Oneto
Adelphi
2010 (XII edizione)
pp. 206
ISBN 9788845925023
                        Il weekend
Traduzione di Giuseppina Oneto
Adelphi
2013
pp. 176
ISBN 9788845927768

Commenti

  1. "Un giorno questo dolore ti sarà utile" l'ho letto e la mia recensione uscirà sul prossimo numero di Eclettica. A me è piaciuto, moltissimo, ho sentito tutto ciò che il protagonista sentiva. Mi somiglia in molti suoi pensieri.
    Non so se ne "Il weekend" il tema sia più calcato, ma qui non credo che l'omosessualità sia rilevante, anzi.
    E, forse al contrario di te, ritengo il dolore dato da una condizione esistenziale molto più vero e reale di quello pungente dovuto a una contingenza della vita.

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    1. Infatti no, il tema non è affatto l'omosessualità. Però è vero, i due libri, in senso lato, potrebbero essere l'uno il continuo dell'altro, ma questa era solo una mia considerazione. Niente di rilevante.

      Per quanto riguarda il dolore, potremmo parlarne all'infinito e dubito che si possa giungere ad una soluzione unica per entrambe. Noi due e, in generale, ogni persona, legge e assimila i libri soprattutto in base alle esperienze che ha vissuto ed è ovvio che il mio concetto di dolore è diverso da quello di qualcun'altro. Questo non vuol dire che sia meno intenso: è diverso. Così come la gioia, l'amore, l'amicizia, e ogni sentimento che possiamo di volta in volta rintracciare nelle nostre letture. Le esperienze vissute ti portano proprio a concepire le cose in modo differente, quindi paragonare le sensazioni provate è sempre un azzardo.

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    2. Sì, hai ragione, credo sia una cosa estremamente legata all'esperienza personale.
      Io ad esempio non ho mai tollerato le storie d'amore come vengono descritte in alcuni libri (classici soprattutto) con questo dolore dilaniante da strapparsi i capelli o buttarsi da un ponte. Però anche lì, io non sono nessuno per negare che possa succedere, o che qualcuno abbia dei sentimenti così forti e controversi, è solo che c'è una difficoltà di fondo nell'immedesimazione.

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  2. Adoro questo tuo spirito critico e la capacità analitica che hai verso ciò che leggi; sei una delle lettrici più sensibili che io conosca!
    Di Cameron ho letto solo Quella sera dorata e me ne sono innamorata (ti allego il mio parere). Mi è piaciuto così tanto che non ho voluto leggere nient'altro di suo, ma ammetto che dopo aver letto il tuo post mi è venuta voglia di recuperare Un giorno questo dolore ti sarà utile (che da tempo mi attrae, ma che non ho mai voluto comprare!)

    http://margherita-nulladipreciso.blogspot.it/2012/01/i-love-feltrinelli-22-quella-sera.html

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    1. Io ti adoro, e va bé, ma capiterà il giorno che ci scontreremo su un libro, e allora lì sgorgheranno sangue e lacrime! ;)
      Ma poi, secondo te... io la tua recensione non l'avevo letta? Non so perché poi ho optato per "Un giorno questo dolore ti sarà utile". Forse perché è più rinomato? Neanche in realtà. Non lo so. So che "Quella sera dorata" è nella mia lista e prima o poi lo leggerò. Sicuro!

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  3. Io sono una grandissima ammiratrice di Peter Cameron. Ho letto proprio questi due romanzi, ma in ordine inverso. Prima "Un giorno questo dolore ti sarà utile", per un'empatia improvvisa che mi ha reso impossibile non leggerlo in quel preciso momento della mia vita. Ed è stato amore. A parte l'eleganza dello stile, che rende la sua scrittura una di quelle che davvero possono considerarsi balsamo per le ferite, quella bellezza che è un rifugio; con me l'immedesimazione c'è stata eccome, mi sento estremamente simile a James Sveck, ancor più quando avevo la sua età. Le idee espresse, il modo di vivere e sentire... Leggere quel romanzo è stata un'esperienza rassicurante, un modo per sentirsi meno soli e meno sbagliati.
    Per quanto riguarda "Il weekend" invece, forse la storia ha fatto meno presa, eppure mi ha riportato ancora in quella dimensione di sospesa bellezza, e già per questo è valsa la pena acquistarlo e leggerlo. Inoltre, a lettura conclusa, metabolizzando un attimo, ho capito che i personaggi erano riusciti comunque a lasciarmi qualcosa.
    Nel caso t'interessasse, ho ampiamente scritto di entrambi i romanzi su anobii :)

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  4. Mi hai incuriosito e credo lo leggerò. Il tema del dolore è assai complicato. Posso dire di non avvilirti perché il dolore è talmente soggettivo, ha radici talmente radicate in noi (e nella nostra percezione) che difficilmente trova collocazione all'esterno o somiglianze. Non è come l'amore (che ha comunque molte sfumature) ma il dolore è più personale. Un libro che narra di dolore va incontro al rischio di non arrivare a tutti (per la maggior parte dei casi) proprio perché può essere troppo delicato o disperato (come lo percepisci tu), quindi in ogni caso non è importante essere entrato o meno nella condizione dolorosa del protagonista, ma basta rispettarlo così come si rispetta ogni persona che, a modo suo, esprime il suo dolore.

    Stefano

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    1. È vero, e ne è palese dimostrazione il fatto che i "romanzi d'amore" siano più comunemente apprezzati, più compresi forse, rispetto a quelli che affrontano altre tematiche. A me personalmente piace assorbire tutte le emozioni quando leggo, quindi anche al dolore concedo il giusto spazio.
      Grazie per essere passato.

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    2. Maria hai mai letto "I dolori del giovane Werther"? Quanto mi piacque...

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    3. Sì, parecchio tempo fa, ma purtroppo non ne ho un bel ricordo.
      So che a molti è piaciuto tanto, ma a me risultò un po' pesante.

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  5. Ciao! Io ho letto "Un giorno questo dolore ti sarà utile" e come te sono d'accordo sulla bellezza dello stile di Cameron.. L'unica cosa che in realtà mi ha parecchio infastidita è che questo libro sembra un po' una versione moderna de " Il Giovane Holden" ci hai mai pensato?

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    1. Caio. Sai che non ci avevo mai pensato? Ma non credo che il paragone regga più di tanto. Sono due ragazzi particolari, due personalità importanti, però non possiamo accomunarli solo per questo. Caratterialmente mi sembrano molto diversi. James è più introspettivo, più riflessivo, più pacato anche, rispetto ad Holden. No?

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