Julian Barnes è un bravo scrittore. Ma questo lo pensavo ancor prima che leggessi qualcosa di suo. Mi sembrava strano riporre tanta fiducia in qualcuno che non conoscevo affatto, eppure era così. Questo è il motivo per il quale ho scelto di fare un passo indietro e prima di leggere il suo nuovo libro, Livelli di vita, ho deciso di provare a conoscerlo partendo dal passato, da un testo che mi è stato consigliato più e più volte: Il senso di una fine. Di solito diffido dai consigli perché suggerire un libro è complicato; io stessa mi trovo in grande difficoltà quando mi calo dei panni del "consulente letterario" perché le emozioni che suscita la lettura sono così soggettive che, pur conoscendo bene la persona che ho di fronte, non riesco a prevedere se quel romanzo, quel racconto, possa coinvolgere qualcuno come ha colpito me.
Il senso di una fine è un titolo che riassume, anticipa e svela quello che il libro racchiude: la spiegazione, il senso, di una morte, di una fine. È la storia di un ragazzo che cresce, che si innamora, che si disinnamora, che si innamora di nuovo, che cresce ancora, che invecchia. Ma allo stesso tempo è la storia di un uomo che ha bisogno di tornare indietro, nel proprio passato, per cercare di capire cosa sia successo veramente, perché quel che si finisce per ricordare non sempre corrisponde a ciò di cui siamo stati testimoni, e se questo è vero c'è una doppia verità con la quale dovrà fare i conti. E dobbiamo farci i conti anche noi, con i nostri ricordi, pochi secondi dopo aver terminato la lettura perché questo è un romanzo di quelli che riescono a smuovere qualche piccola sicurezza, quelli che rilasciano un'emozione precisa, ruvida, che un po' è disagio e un po' è malinconia: l'amaro in bocca.
Il senso di una fine è un titolo che riassume, anticipa e svela quello che il libro racchiude: la spiegazione, il senso, di una morte, di una fine. È la storia di un ragazzo che cresce, che si innamora, che si disinnamora, che si innamora di nuovo, che cresce ancora, che invecchia. Ma allo stesso tempo è la storia di un uomo che ha bisogno di tornare indietro, nel proprio passato, per cercare di capire cosa sia successo veramente, perché quel che si finisce per ricordare non sempre corrisponde a ciò di cui siamo stati testimoni, e se questo è vero c'è una doppia verità con la quale dovrà fare i conti. E dobbiamo farci i conti anche noi, con i nostri ricordi, pochi secondi dopo aver terminato la lettura perché questo è un romanzo di quelli che riescono a smuovere qualche piccola sicurezza, quelli che rilasciano un'emozione precisa, ruvida, che un po' è disagio e un po' è malinconia: l'amaro in bocca.
Viviamo nel tempo; il tempo ci forgia e ci contiene, eppure non ho mai avuto la sensazione di capirlo fino in fondo. Non mi riferisco alle varie teorie su curvature e accelerazioni né all'eventuale esistenza di dimensioni parallele in un altrove qualsiasi. No, sto parlando del tempo comune, quotidiano, quello che orologi e cronometri ci assicurano scorra regolarmente: tic tac, tic toc. Esiste al mondo una cosa più ragionevole di una lancetta dei secondi?
Il finale, forse un po' troppo frettoloso rispetto all'impronta narrativa delle pagine precedenti, non spicca certo per originalità ma questo non pregiudica affatto la qualità del testo perché la scrittura di Barnes conquista a prescindere; il suo stile soprattutto, il suo morso, non ha lasciato la presa se non alla fine. Ancor più carica da tutto questo, nutro sempre più quella sensazione di cui vi parlavo, che nelle pieghe di Livelli di vita ci sia qualcosa che valga davvero la pena di essere scoperto. Nell'attesa, continuo a espandere le mie aspettative.
C'è l'accumulo. C'è la responsabilità.E al di là di questo, c'è il tempo inquieto.Il tempo molto inquieto.
Julian Barnes
Il senso di una fine
Traduzione di Susanna Basso
Einaudi
2012
pp. 150
ISBN 9788806211561
Io ho iniziato giusto ieri "Amore,ecc" di Barnes, dopo averlo scoperto con "il Senso di una Fine"... non so ancora dire cosa ne penso, però lo stile di Barnes è davvero incredibile!
RispondiEliminaLetto l'articolo di Christian Raimo dell'anno scorso proprio su "Il senso di una fine"? Non è che ci sia andato poi così leggero.
EliminaLeggilo (qui) e dimmi cosa ne pensi.
Ho letto ora... secondo me ha un tantino esagerato (ma trovo che Raimo, per quanto bravo, tenda sempre a esagerare un po'). Poi certo, è un suo punto di vista e sicuramente è ben capace di esprimerlo. Però boh, letto così mi sorge spontaneo chiedermi se avrebbe scritto le stesse cose se D'Orrico non ne avesse parlato...
EliminaStessa domanda che mi sono fatta anch'io. Ho avuto l'impressione di leggere più una forzata contrapposizione che una vera e propria recensione; ammesso che il libro di Barnes non è un capolavoro e credo che su questo siamo tutti d'accordo, non mi è piaciuto il modo in cui ha espresso le sue opinioni perchè si è preoccupato più di smentire le parole di D'Orrico che di analizzare il testo per quello che è. Però, come ha detto anche te, Raimo tende ad esagerare molto spesso.
EliminaQuesto "Il senso di una fine" è sicuramente un libro particolare, mi è piaciuto e rimasto impresso per alcuni aspetti, deluso per altri, non primo il finale decisamente stringato e buttato lì, quasi per caso, nelle due ultime pagine.
RispondiEliminaBarnes, che è uno scrittore capace di strizzare l'occhio al lettore occasionale tanto quanto a quello più assiduo, ha voluto mettere in piedi questo romanzo inserendo ora aspetti filosofici ora di pura narrazione, mescolandoli insieme non proprio a meraviglia (si vedano certi passaggi in cui ora ci fa una dissertazione profonda, ora si mette a parlare della mail inviata alla ex, praticamente spezzando tutta la profondità della narrazione) ma alla fin fine dandoci in mano un libro tutt'altro che disprezzabile. Ci sono infatti molti punti interessanti, che a mio parere vanno anche al di là della trama in sé, ovvero quelli in cui si scende nella caratterizzazione dei personaggi e nel racconto di tutti i loro pensieri, centro del libro stesso. Non a caso quest'ultimo non lo consiglierei mai a chi cerca un libro di "azione", quanto piuttosto un libro in cui approfondire certi aspetti propri delle persone.
E l'articolo di Raimo su Minima&Moralia posso capirlo, ma fino ad un certo punto, nel senso che si è buttato molto su "quello che il libro non è" invece di vedere "quello che il libro ci lascia". Sempre su Minima&Moralia, visto che ci siamo, trovate anche un altro bell'articolo incentrato sul senso aristotelico del tempo espresso ne "Il senso di una fine".
Concludendo: è un capolavoro? No, ma è un bel libro, e sicuramente una lettura io la consiglierei.
Per quanto riguarda "Livelli di vita" l'ho già aggiunto in wishlist, ispira molto anche a me :)
Sottoscrivo ogni tua parola; anch'io penso che non sia un capolavoro ma è comunque una lettura piacevole; ha qualche pecca (il finale non ha impressionato un bel po' di persone in realtà) ma ci si può passare sopra.
EliminaNe ho parlato proprio perché rispetta il mio "vale la pena di", che è un po' il criterio con il quale scelgo, trai libri che leggo, quelli di cui scrivere gli articoli sul blog.
Per quanto riguarda Raimo credo anch'io, come ha detto Elisa nel commento precedente, che abbia esagerato anche se, è evidente, l'articolo ha un'impronta volutamente provocatoria (cosa che, sinceramente, quando è troppo forzata non mi piace più di tanto).
Ti saluto e aspetto le tue impressioni su "Livelli di vita", mi raccomando! ;)
E dire che, così, a istinto, ispira anche me.
RispondiEliminaLo tengo lì, tra quei libri che prima o poi mi farò capitare tra le mani.
Ispira un sacco di persone in effetti. Speriamo solo che sia fiducia ben riposta! Tu hai letto "Il senso di una fine"?
EliminaNo, per il momento non ho ancora letto nulla di Barnes, ma i titoli dei suoi romanzi hanno quel qualcosa che a pelle mi attira.
EliminaFinito da pochissimo.
RispondiEliminaSono d'accordo con quanto hai detto, soprattutto per quanto riguarda il finale sbrigativo: ma credo anche che il senso di una fine sia anche il senso della vita e nessuno scrittore potrebbe avere la presunzione di spiegarlo chiaramente. Abbiamo solo percezioni e - da non scrittrice - posso solo immaginare quale responsabilità comporterebbe prendere una decisione così importante a tal proposito: l'unica soluzione è un finale vago, o aperto.
Mi ha ricordato un po' "Nemesi" di Philip Roth, anche se ritengo che quest'ultimo abbia un'incisività maggiore di Barnes: fino a che punto si può parlare di responsabilità individuale in un'esistenza in cui tutto sfugge al nostro controllo e dove il tempo non chiarifica ma fa solo da solvente a quel poco che pare evidente nel momento in cui lo viviamo?
Roth ci gode a scartavetrare l'anima dei propri lettori mentre Barnes ha un'impronta più delicata, un po' più filosofeggiante forse.
Eliminaps: qualche impressione in più e la tua sarebbe stata una recensione perfetta. Facci un pensiero e torna tra noi. ;)