La traccia insidiosa nella quale il tempo si allontana da noi.Voi, predecessori, sangue nella scarpa. Sguardi senza occhi, parole senza bocca. Forme, prive di corpo. Discesi al cielo, dispersi in tombe lontane, resuscitati dai morti, ancora, sempre rimettendo ai nostri debitori, triste pazienza d'angeli.E noi, ancora, sempre avidi del sapore di cenere delle parole.Non ancora, come dovremmo, muti.Di' per favore, grazie.
Per favore. Grazie.Risa antiche, di secoli. L'eco, immane, più volte spezzata. E il sospetto che nulla più verrà all'infuori di questa risonanza.
Ma solo la Grandezza giustifica la mancanza contro la legge e riconcilia il colpevole con se stesso.Uno di loro, Kleist, colpito da quest'udito troppo sensibile fugge con pretesti che non gli è concesso penetrare fino in fondo. Senza meta, sembra, segna la lacerata carta d'Europa con la sua traccia bizzarra. Dove io non sono, lì c'è la felicità. La donna, Günderrode, confinata in quel cerchio ristretto, meditativa, perspicace, integra, risoluta a vivere per l'immortalità, a sacrificare il visibile all'invisibile.
Che si siano incontrati: vagheggiata leggenda.Winkel sul Reno, noi l'abbiamo visto. Un luogo adatto. Giugno 1804.
Dio solo sa quanto io desiderassi leggere questo libro. Ho provato a ordinare la versione cartacea pur sapendo che fosse di difficile reperibilità e, dopo quasi un mese di attesa, il responsabile del sito mi disse di non essere riuscito a trovarne una copia quindi ho ripiegato, poco tempo fa, sull'edizione digitale. Quest'attesa forzata non ha fatto altro che gonfiare spropositatamente le mie aspettative che già erano assestate ad un livello abbastanza elevato. Mi ha spiazzato, mi aspettavo qualcosa di totalmente diverso. Il brano che apre l'articolo è l'incipit del libro ed ho voluto mostrarvelo proprio per farvi rendere conto di quanta bellezza, quanta grazia, collega lettera a lettera; sembra (forse lo è) una poesia.
Il libro di Christa Wolf è incantevole: la ricercatezza dei termini è assoluta e, di conseguenza, estremamente evocativa. Ma, allo stesso tempo, la lettura pecca di scorrevolezza; ammetto di essere tornata più volte al punto e di aver dovuto rileggere anche un intero paragrafo. È tutto così impalpabile, un intreccio al tal punto sottile e leggero, che sembra sfuggire.
La trama, innanzitutto, responsabile di aver nutrito il mio desiderio in tutti quei giorni d'attesa. I protagonisti di Nessun luogo, da nessuna parte sono due personaggi, due poeti, realmente esistiti: Karoline von Günderrode e Heinrich von Kleist. Soffocati, nel talento e nell'anima, dalle costrizioni borghesi della propria epoca, decisero entrambi di togliersi la vita; Karoline nel 1806, Kleist nel 1811. Christa Wolf ipotizza e ci racconta un incontro tra i due, mai avvenuto in realtà, collocabile orientativamente nel Giugno del 1804. Karoline è accanto alla finestra; le sue dita scivolano fugacemente sulla tenda che lei scosta appena per poter guardare fuori e respirare un po' di altrove. Personaggi dalle più svariate sfumature le siedono piacevolmente accanto, eppure lei non riesce ad immaginare di poter avvertire sulla pelle più solitudine di quella che prova in quel momento. Joseph Merten, il padrone di casa, accudisce i propri ospiti con estrema cordialità. Uomini con uomini, donne con donne. Non c'è conversazione che riesca a tirar fuori Karoline da se stessa, nessuna di quelle persone così apparentemente amabili, cattura la sua attenzione. Nessuno, tranne Kleist.
Se le relazioni tra le persone presenti in quella stanza si potessero rappresentare graficamente su un foglio bianco, tutte le linee eviterebbero un punto, intorno al quale si formerebbe uno spazio libero. Quel punto è Heinrich von Kleist.
Heinrich è diverso dagli altri; i suoi movimenti tradiscono un disagio, impercettibile, un malessere che a Karoline appare ancor più abbagliante del sole a mezzogiorno. Una forma di irrequietezza che le è tanto cara quanto grave; familiare e, proprio per questo motivo, ancora più angosciante. A un certo punto, per attimo solo, Kleist si abbandona ad un peso invisibile e si prende la testa tra le mani. Karoline quasi si commuove: non ricorda di essersi mai sentita così vicina ad un essere umano.
Questo è il disegno che si intravede, in controluce, nelle pagine del libro. In realtà l'autrice ci consegna frasi sospese, riflessioni accennate, mozziconi di pensieri di Karoline, di Heinrich, di Karoline su Heinrich, di Heinrich su Karoline. Qui nascono le difficoltà di cui vi parlavo inizialmente; è evidente quanto l'essenza dei personaggi scorra, volutamente, incontrollata e pura: Karoline e Kleist sono due fonti di acqua viva che affluiscono violentemente l'una nell'altra. Non c'è alcun appiglio grammaticale al quale però possiamo aggrapparci per riuscire a guadare queste due personalità senza rischiare di annegarci dentro; questa irruenza di stile, a volte, grava così tanto sulla linearità narrativa del testo che occorre uno sforzo in più per capire il chi, il come, il dove.
Conto di rileggerlo perché sono sicura che saprei apprezzarlo ancora di più. Anzi, forse questo è proprio uno di quei libri che ha bisogno di essere sfogliato una volta in più per essere compreso pienamente. Tornerò a rifugiarmi, in nessun luogo, prima possibile.
Christa Wolf
Nessun luogo. Da nessuna parte
Traduzione di Maria Grazia Cocconi e Jan-Michael Sobottka
Edizioni e/o
pp. 118
2009
ISBN 9788876418853
Che sorpresa. Molteplice. Sorpresa perché scopro che Christa Wolf ha scritto un libro così allettante come questo (me l'hanno presentata come un'autrice pallosa all'Università), e perché si parla nientemeno di Heinrich von Kleist, che avrei voluto sposare, da giovane studentessa senza cervello.
RispondiEliminaCredo che ti farò compagnia, quando ritornerai in "nessun luogo". :-)
Ti aspetto! ;)
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