Il mio tempo libero, con l'incedere delle vacanze, si è dilatato. Ho recuperato alcune letture, per lo più libri che mi erano stati consigliati ma che non mi hanno entusiasmato come speravo. La scopa del sistema è un'altra cosa. Questo romanzo faceva parte di una lista di libri che ho intitolato "su ispirazione"; lista dalla quale sono solita attingere soprattutto quando sono in cerca di qualcosa di veramente speciale. Dopo aver letto una raccolta di racconti (Questa è l'acqua) e un reportage sulle navi da crociera in chiave ironica (Una cosa divertente che non farò mai più), ne volevo ancora: ancora un po' di David Foster Wallace. Un Wallace diverso, questa volta cercavo il romanziere; avevo come l'impressione che solo attraverso un testo più corposo sarei riuscita a comprendere davvero un talento che fino a quel momento avevo solo intravisto.
Quando un autore mi colpisce mi piace andare a scovare alcune note biografiche sul suo conto in modo da poter dare più definizione all'idea che mi sono fatta della mano dietro la penna. E così feci, non appena terminai di leggere i racconti. David Foster Wallace, per chi non lo sapesse, è morto suicida il 12 settembre del 2008. Non è il primo autore che decide di togliersi la vita: Hemingway, Pavese e Sylvia Plath sono solo i primi tre che mi vengono in mente, ma è la prima volta che quest'informazione condiziona così tanto la mia lettura. Per una serie innumerevole di motivi. Innanzitutto per le avvisaglie e i messaggi subliminali, per gli avvertimenti, che lo stesso Wallace sembra celare nelle sue storie. Attraverso i personaggi, David comunica il suo malessere in modo così chiaro e preciso che, a posteriori, la decisione di porre fine alla sua vita appare solo l'epilogo naturale, l'unico possibile, di un percorso psicologico già annunciato. Stefano Bartezzaghi, nella prefazione, ammette:
Quando un autore mi colpisce mi piace andare a scovare alcune note biografiche sul suo conto in modo da poter dare più definizione all'idea che mi sono fatta della mano dietro la penna. E così feci, non appena terminai di leggere i racconti. David Foster Wallace, per chi non lo sapesse, è morto suicida il 12 settembre del 2008. Non è il primo autore che decide di togliersi la vita: Hemingway, Pavese e Sylvia Plath sono solo i primi tre che mi vengono in mente, ma è la prima volta che quest'informazione condiziona così tanto la mia lettura. Per una serie innumerevole di motivi. Innanzitutto per le avvisaglie e i messaggi subliminali, per gli avvertimenti, che lo stesso Wallace sembra celare nelle sue storie. Attraverso i personaggi, David comunica il suo malessere in modo così chiaro e preciso che, a posteriori, la decisione di porre fine alla sua vita appare solo l'epilogo naturale, l'unico possibile, di un percorso psicologico già annunciato. Stefano Bartezzaghi, nella prefazione, ammette:
[...] è probabilmente per questo che la notizia del suo suicidio ha percosso i suoi lettori con la forza di uno staffilante dolore personale, diretto: cosa avesse in testa quell'uomo non era più una questione letteraria, era diventata una questione esistenziale senza vie di scampo. E in tanti ci si è chiesti quando sarà possibile tornare a leggere le sue opere senza pensarci, senza dare troppo peso ai presagi di cui ora sembrano pullulare.
Il secondo motivo, più sottile e profondo, risiede nella malinconia che mi prende ogni volta che Wallace mi trascina in uno dei suoi rovesciamenti emotivi. Dave è uno spasso, davvero. Per quanto ci siano evidenti riferimenti a stati depressivi e disagi affini, lo stile di Wallace non è angoscioso, anzi, è brillante, è vivo. Io ho riso, ma proprio tanto. È divertente, nella sua tristezza; qualunque situazione acquisisce, attraverso la sua voce, una connotazione particolare. Che più il momento è tragico, più lui te lo rigira in un modo irresistibile. Paradossi narrativi che spiazzano e conquistano.
È mancanza, quella che sento, per i libri che non ci saranno.
Riassumerne la trama è un'impresa. Tipo che c'è questa ragazza, Lenore Beadsman, e la sua bisnonna, Lenore Beadsman. Lenore senior è scappata dalla casa di riposo nella quale risiedeva da un po' di anni trascinando con se alcuni pazienti, qualche inserviente e un'altra manciata di persone. E non si sa dove sia. Lenore junior si mette a cercarla insieme a Rick, il suo fidanzato, che non è proprio un fidanzato, almeno non come lui vorrebbe. Poi c'è suo fratello, il fratello di Lenore, LaVache, che quando più gli aggrada avvia lunghe e complesse conversazioni con la protesi che ha al posto della gamba. E Vlad l'impalatore, il pappagallo, che per una serie intricata di eventi diventa il personaggio di punta di una trasmissione religiosa. Ah, e c'è anche quel Norman Bombardini e la sua stramba teoria dell'espansione cosmica, ma lui l'avete già conosciuto qui. Si vocifera che Lenore senior sia nel D.I.O., (Deserto Incommensurabile dell'Ohio) ed è lì che si concentreranno le ricerche di bisnonna e seguito.
Questo è. E questo è niente. Ma, vi dirò, non mi sono focalizzata tanto sulla storia. A prescindere dalle vicende, io mi sono innamorata di ogni singolo personaggio: che fosse un uomo, una donna, un animale, un deambulatore; ognuno di essi ha un carattere così definito, un'impronta così personale, che ho avuto l'impressione che rimbalzassero a turno fuori dalle pagine. Wallace cambia addirittura stile, modulando frasi e atteggiamenti a seconda dei protagonisti, in modo così radicale che si ha come l'impressione il libro sia il risultato di una cooperazione a più mani. Scritto a ventiquattro anni, nel 1987, La scopa del sistema non è un romanzo perfetto. C'è un entusiasmo indisciplinato nel raccontare, una furia, quasi, che inevitabilmente conduce a qualche sbavatura. Lo stesso Wallace ammetterà di non essere pienamente soddisfatto di questo romanzo; idee, centinaia di idee, migliaia di concetti interessanti, ma non c'è la maturità stilistica per indirizzare l'esplosione creativa nel modo giusto. Queste piccole imperfezioni, tuttavia, non scalfiscono affatto la genialità celata dietro l'opera ed il talento, che volevo scovare, a me è arrivato, acuto, prepotente e abbagliante.
Non mi resta che tuffarmi nella prossima lettura, Infinite Jest, perché Wallace è uno di quegli autori che non riesce mai a saziarti. Che più ne divori, e più ne hai bisogno.
David Foster Wallace Allora, chi è questa ragazza che mi possiede, che tanto amo? Rifiuto sia di pormi domande sia di dare risposte riguardo al chi è. Cosa è? È una ragazza dalle spalle esili, dalle braccia esili, dal seno gagliardo, una ragazza dalle lunghe gambe e dai piedi più lunghi della media, piedi che quando cammina puntano un po' all'infuori... cinti dalle immancabili e immancabilmente nere Converse modello alto. Ho parlato di tenuta conturbante? Macché: quelle sono scarpe che amo. Vi confesso che una volta, in un momento di indubbiamente irresponsabile degenerazione e mentre Lenore era in bagno a farsi la doccia, io tentai di fare l'amore con una delle suddette scarpe, una All-Star 1989 modello alto, ma, per ragioni private, non riuscii a portare a termine l'operazione.
Che dire, dunque, di Lenore, dei capelli di Lenore? Sono capelli che in sé e di per sé sono di tutti i colori - biondi e rossi e corvini e ramati - ma che determinano un compromesso ottico esteriore tale da farli risultare complessivamente, e tranne per fulminei bagliori registrabili solo mediante coda dell'occhio, banalmente castani. Capelli che vengono giù lisci seguendo la dolce curva delle guance di Lenore fin sotto il mento, dove quasi si ricongiungono, come fragili mandibole di insetto rapace. Oh, se quei capelli sanno mordere. Di quei capelli io conosco il morso.
La scopa del sistema
Prefazione di Stefano Bartezzaghi
Traduzione di Sergio Claudio Perroni
Einaudi
2012
pp. 560
ISBN 9788806211974
Bonus track:
— Rick, come puoi pretendere che io capisca se qualcosa è caustico, o stolido? Io di letteratura non me ne intendo.— A, la maggior parte del materiale che arriva in questo ufficio non è neanche potenzialmente letteratura, e b, benone!— Benone cosa?— Benone che tu non te ne intenda di letteratura, o almeno che tu ritenga di non intendertene. Significa che sei perfetta: fresca, spontanea, libera di mondare la tua testolina dalle doppie punte dell'estetica...— I miei capelli non hanno doppie punte.— È proprio quando ci si illude di cominciare a capire qualcosa di letteratura, che si cessa di essere letterariamente interessanti, o comunque utili a chi lo sia. Credimi, tu sei assolutamente perfetta.
E con questo brano, che non ha bisogno di aggiunte e spiegazioni, io vi saluto. Da venerdì sarò effettivamente, psicologicamente e fisicamente, in vacanza. Una settimana, poi torno. Nell'attesa, un abbraccio collettivo pieno zeppo di calura estiva.
Vi bacio tutti.
Prima di tutto ti auguro buone vacanze :)
RispondiEliminaPassando al libro ti dico questo: l'ho iniziato quattro volte, e sempre mi colpisce l'incipit, inaspettato, insolito, in grado di incuriosirmi e di farmi continuare nella lettura, ma, come sempre mi capita con Wallace (sarà un mio limite, sarà che non è uno scrittore per tutti, sarà che non lo so), mi sono addormentato subito dopo aver girato la prima pagina. Così ci ho rinunciato. E mi capita lo stesso con i racconti. Il suo stile mi annoia terribilmente, lo ripeto: sarà un mio limite.
Ma una cosa è certa: Wallace è dieci volte meglio di quell'insulso politically correct di Franzen, suo amico.
Non è autore che consiglierei a tutti.
EliminaSe non si riesce ad entrare nel Wallace-pensiero mi rendo conto che potrebbe risultare uno stile po' contorto.
Io sto leggendo IJ. Lui in Persona è lo scrittore che rimpiango di più al mondo, è quello che vorrei ascoltare sempre. E' più di tutto, per me. A leggere il commento sopra, secondo me il Franzen delle Correzioni non è politicamente corretto. Forse nemmeno in Freedom (però un po' di più), ma magari non ho capito nulla.
RispondiEliminaHo alcune letture da terminare ma sicuramente IJ sarà tra le prossime. Su Franzen non posso espormi perchè, mea cupla, ancora non ho letto nulla di lui. Me ne hanno parlato molto bene però, proprio tanto. Da quel che mi par di capire i due erano molto amici, e chissà che forse fossero affini anche di stile.
EliminaNo, come stile erano davvero molto diversi, anche se c'è sicuramente una "comunanza" di vedute, declinate però in modo completamente differente.
EliminaWallace è uno di quegli scrittori che ho sempre guardato da lontano. Al Salone del libro ho poi comprato "Una cosa divertente che non farò mai più" ma non l'ho ancora letto e il giudizio del mio ragazzo che invece lo ha letto, è stato così negativo che ora ho paura di intraprendere la lettura. Ma tu mi rincuori...
RispondiEliminaBuone vacanze!
Io non mi sento di dare torto al tuo ragazzo perchè "Una cosa divertente che non farò mai più" è un testo un particolare, strutturalmente intendo, non è un romanzo e non è un racconto. Anch'io, se avessi letto solo quello, avrei avuto tentennamenti ad approfondire.
EliminaCondivido ogni tua parola. DFW ha una scrittura coinvolgente, magnetica. Questo romanzo è davvero bellissimo e se non hai ancora affrontato Infinite Jest (ti confesso che la mia copia mi guarda minacciosa da un paio di mesi) ti consiglio la raccolta di reportage Tennis, Tv, Trigonometria, Tornado :) E' davvero spassosissima e, anche se non l'ho ancora letto, mi sembra in linea con Una cosa divertente ;)
RispondiEliminaAncora non ci riesco con IJ, ho una sorta di timore reverenziale.
EliminaSegno il titolo che mi hai suggerito! Grazie mille :)