Mi corteggiava da mesi. Io continuavo a ripetergli i motivi per i quali non saremmo mai potuti andare d’accordo: «Non sei il mio tipo», cercavo di fargli capire, «Mi conosco: io ho bisogno di altro. Mi dispiace». Non mi dava tregua, stava lì a guardarmi. Sorrideva, quasi fosse una sfida. «Lasciami provare. Se le cose non andranno come credo sparirò per sempre dalla tua vita». Non sopportavo più quel silenzio paziente e granitico. Fino all’altro giorno: «Un’unica possibilità, solo per dimostrarti che ho ragione». Mi arresi: «Andiamo». Un sorriso diverso questa volta, pieno e raggiante.
José Arcadio parlava velocemente, non riuscivo a stargli dietro. Mi raccontò di come lui e Ursula avevano fondato Macondo, degli zingari e delle loro invenzioni straordinarie. Mi parlò della sua curiosità morbosa, del bisogno viscerale di vedere, di sapere. Le sue pupille erano ardenti, ogni parte del suo corpo bruciava. Era impossibile staccargli gli occhi di dosso. Mi presentò i suoi figli: erano tre, quattro in realtà; mi spiegò che Rebeca era una Buendía a tutti gli effetti; era diventata sua figlia prima ancora che arrivasse al villaggio, piccola e sola, con la sua scatola di legno stretta tra le braccia. Non capii sul momento cosa significasse “essere un Buendía”. «Sembra un concetto molto affascinante» mi limitai a dire.
Lui continua a guardarmi, anche adesso. Sorride: ha vinto e lo sa. Non è il mio tipo, questo non è cambiato e probabilmente non cambierà. Ma quello che mi ha fatto provare, tutto ciò che ho vissuto, anche quello non cambierà mai.
(Recensione tanto poco convenzionale di Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez).
***
Mi portò a Macondo, un strano villaggio immerso nella foresta colombiana. «Vedi?», gli dissi «Già non andiamo d’accordo. Io odio questi luoghi! A me piacciono le città fredde e caotiche. Adoro lo smog, le luci a led e i palazzoni di sessanta piani. Hai già perso». Niente, non voleva lasciarmi andare. Mi indicò una casa, la nostra destinazione. Conobbi i suoi amici: José Arcadio Buendía e Ursula Iguarán. José Arcadio Buendía. Ripetevo quel nome continuamente; mi sembrava che ogni sillaba fosse una nota musicale. José Arcadio Buendía. José. Arcadio. Buendía. Non lo dissi a Gabriel, sapevo che si sarebbe preso gioco di me.
José Arcadio era il maggiore, bello e fiero. Un uomo vero, come amava definirsi. Ma, come spesso accade, la mia attenzione non si fermò sui muscoli di Arcadio ma proseguì oltre, su Aureliano, il secondogenito. Scorgevo nei suoi occhi sfuggenti una tale passione per la vita che mi paralizzò. Aveva la frenesia della ricerca nel sangue, come suo padre. Amaranta ci fissava da lontano. Non si avvicinò neanche una volta. Ma non riuscì a trattenersi quando entrando in casa le dissi che secondo me aveva il nome più bello di tutta Macondo. «Forse anche più di Rebeca» aggiunsi. Le si spalancò un sorriso sul viso che neanche la luna poté eguagliare.
Restai a cena. Una tavola stracolma di cibo come non ne avevo mai viste prima. Voci su voci, e urla, e grida si sovrapponevano incessantemente; una tale baraonda in quella stanza che ebbi l’impressione di aver cenato insieme a un intero reggimento di soldati. Uscii un attimo sul portico, avevo bisogno d’aria. Macondo di notte era qualcosa di spettacolare. La vegetazione indisciplinata rivestiva il paesaggio di profumi intensi e selvaggi. Primitivi. Unici. Gabriel mi raggiunse e mi chiese cosa ne pensassi di quel mondo abbandonato dal tempo. «Non so cosa dire» risposi. Era vero, non sapevo cosa stessi provando; non riuscivo a comprendere quei personaggi così bizzarri, chiassosi e grossolani. Che si amavano forte, che si amavano rumorosamente. «Vuoi andare via?» mi sussurrò. «Vorrei andare. E vorrei restare. Non riesco a capire. Aspettiamo ancora un po’».
Rimasi a Macondo altri cento anni. Mi persi nei tatuaggi di Arcadio e passai ore a studiare le pergamene di Melquíades, avvolta dalla costanza di Fernanda e dalla dedizione di Santa Sofia de la Piedad. Mi innamorai della fierezza del colonnello Aureliano, del suo cuore di ghiaccio, della sua anima di fuoco. Mi incantai a guardare la purezza di Remedios la bella, la ragazza che andò in cielo senza passare dalla terra. E seppi delle farfalle gialle, di quell’amore consumato appena. Lessi il destino della famiglia nei tarocchi di Pilar Ternera.
Non c’erano misteri nel cuore di un Buendía che le fossero impenetrabili, perché un secolo di cartomanzia e di esperienza le avevano insegnato che la storia della famiglia era un ingranaggio di ripetizioni irreparabili.Vidi uomini e donne nascere e morire, negli stessi occhi, nella stessa carne, e capii quanto fossi stata fortunata. Compresi che tutto quello a cui avevo assistito: «[...] era irripetibile da sempre e per sempre, perché le stirpi condannate a cent’anni di solitudine non avevano una seconda opportunità sulla terra».
Lui continua a guardarmi, anche adesso. Sorride: ha vinto e lo sa. Non è il mio tipo, questo non è cambiato e probabilmente non cambierà. Ma quello che mi ha fatto provare, tutto ciò che ho vissuto, anche quello non cambierà mai.
Stupenda!
RispondiEliminaMa quant'è meraviglioso questo post???
RispondiEliminaMa Grazie! Sono contenta che vi piaccia!
RispondiEliminaNon credo di sbagliare nel dire che questa è la recensione più originale e più bella che abbia mai letto! Complimenti!
RispondiEliminaUna recensione estrosa e bellissima di un libro che io amo e adoro. Dopo aver letto il libro, tra le altre cose, i Modena City Ramblers li ho adorati ancora di più...;)
RispondiEliminaBravissima!!
RispondiEliminaLibro immenso.
RispondiEliminaComplimenti per il post :)
Mi unisco al coro qui sopra: quello che hai scritto è meraviglioso, poi te lo dice una che non ha ancora letto il libro. Non ce l'ho nemmeno nel mucchio di quelli comprati e lasciati lì ad aspettare. La tua originale recensione certo mi tenterà un sacco la prossima volta che vedrò il libro sullo scaffale della libreria!
RispondiElimina:D
Li hanno detti tutti, i complimenti, o almeno tanti! :D E' magnifico questo post...per un attimo non ero più nel letto di casa mia, ma in un posto molto lontano da qui, eppure tanto vicino e reale da poterne sentire le voci e gli odori. Bello bello BELLO!
RispondiEliminaGrazie a tutti, davvero!
RispondiEliminaMarquez e' molto bravo ad impossesserai dei cuori dei propri lettori, stracciarli in piccoli pezzi e poi gettarli nel vento. Io ho letto questo libro e un suo altro ("l'amore ai tempi del colera") in un momento particolare della mia vita. Mi sono entrati dentro e non se ne sono più andati. Sei stata davvero brava a riraccontarmelo.
RispondiEliminaSpettacolo di una recensione! Io non ho ancora letto il libro, ma lo farò con occhi diversi, da quando ne hai scritto in questo modo così tuo.
RispondiEliminaGrazie!
Meraviglia
RispondiEliminaGrazie a tutti ancora. E' un libro davvero fantastico, io ho solo seguito l'emozione che mi ha lasciato.
RispondiEliminaHo avuto un'esperienza simile con Marquez, anche se con altri libri. E' proprio vero, ti richiama e ti seduce, anche se non è il tuo tipo, anche quando non te lo aspetti.
RispondiEliminaDavvero un bel post :)
Grazie! :)
Eliminache recensione stupenda, complimenti!!
RispondiEliminaDavvero molto originale!
Ho letto il libro e l'ho davvero amato, ho sentito quasi un vuoto quando sono arrivata all'ultima parola.
Vero, l'ultima pagina lascia l'amaro in bocca.
EliminaUn po' come svegliarsi da un sogno.
Gentilissima, come sempre!
RispondiEliminaGrazie mille.
ciao ti ho conosciuta grazie alla community bloggiamo new followers per te ciaoooo ;-) rosa di kreattiva
RispondiEliminaGrazie di esser passata e buona giornata!
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