Con riconoscenza: Jane Eyre di Charlotte Brontë

La prima volta che cominciai Jane Eyre l’abbandonai dopo qualche pagina. Mi annoio subito, questo è uno dei maggior difetti che mi riconosco. Lo ripresi dopo qualche mese perché la stessa persona che me ne consigliò la lettura mi obbligò a una seconda possibilità; mi sarebbe piaciuto, ne era sicura. Non mi avrebbe mai permesso di restituirglielo senza averlo letto. 
Allora ricominciai, lentamente. Un modo di leggere del tutto atipico per me che sono abituata a divorare i libri, a mandarli giù senza masticare. Ma è chiaro che quando Charlotte, la maggiore delle sorelle Brontë, scrisse Jane Eyre, decise che questa cosa non poteva accadere.


Sono cresciuta, pagina dopo pagina, insieme a Jane. Ero con lei, dopo il litigio furioso con John, quando la signora Reed intimò: «Portatela nella camera rossa e chiudetevela». Ricordo ancora quello spazio illusorio in cui tutto pareva più oscuro che nella realtà. Ho ancora in mente l’attimo della partenza, il viaggio estenuante verso l’istituto. Il primo trimestre a Lowood per Jane parve quasi un secolo: era poco più che una bambina e per la prima volta era costretta a sottomettersi a regole troppo rigide. Intere pagine trasmettono il disagio e l’angoscia di quei momenti.

Passarono anni da allora, anni di sacrifici e rinunce; Lowood cambiò Jane sia nell’aspetto che nel carattere. Poi, finalmente, la risposta all’annuncio: la certezza di un lavoro, la speranza di una vita. La signora Fairfax accolse Jane in modo distaccato ma garbato in quella che sarebbe stata la sua nuova casa e rispose pazientemente a tutte le domande della nuova insegnante. Tutto le faceva curiosità ma, più di ogni altra cosa, Jane chiedeva del padrone di casa; non l'aveva ancora visto eppure ne aveva sentito parlare così tanto.
– Allora dobbiamo salutarci per un po’ di tempo?
– Certo, signore.
– E come avviene questa cerimonia della separazione tra persone, Jane? Mi insegni, non me ne intendo.
– Si dice addio o qualche altra formula.
– Allora lo dica.
– Addio, signor Rochester, per il momento.
– Che cosa devo dire io?
– La stessa cosa, se crede.
– Addio, signorina Eyre, per il momento: tutto qui?
– Sì.
– Secondo me è arido e inamicale. Mi piacerebbe qualcos’altro; una piccola aggiunta al rito. Se ci si stringesse la mano, per esempio... ma, no, neanche questo mi accontenterebbe. Allora lei non mi dirà altro che addio, Jane?
– È abbastanza signore; si può mettere il cuore sia in una parola che in molte.
Sarebbe scorretto da parte mia continuare a raccontarvi quello che è accaduto in seguito perché questa è la mia Jane; ognuno di voi ha il diritto di vivere la propria, quindi mi fermo qui. 

Leggete Charlotte Brontë, leggete Jane Eyre: vi piacerà, ne sono sicura.


Commenti

  1. Bellissimo! Il mio libro preferito: eccola lì Jane esile impaurita ma forte forte come un giunco che sa tenere a bada Rochester un uomo di mondo che pende dalle sue labbra.

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  2. Adoro i classici, sopra ogni cosa.
    "Jane Eyre" l'ho letto giusto pochi mesi fa ed è piaciuto tantissimo anche a me, una ragazza così moderna Jane, così conscia di se stessa che potrebbe essere una di noi, ai giorni d'oggi.
    Incredibile come la Bronte abbia potuto creare un personaggio così moderno, in un'epoca così distante dalla nostra :)

    p.s. sono una nuova follower! (con il nome Justin Bologna)
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    A presto!

    Valentina
    www.peekabook.it

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  3. libro fondamentale anche per me, una di quelle letture che ti ricordi a vita, puro amore.

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  4. Le sorelle Bronte non potevano scrivere di ragazze convenzionali, pallide rose inglesi nella norma. Mi è sempre piaciuta Jane per la sua secchezza attiva. Niente fronzoli, niente tempestosità inutili: eppure, così sensibile.
    Riprenderò il libro, a breve.

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  5. Prima o poi (ma piuttosto prima) devo acquistare il libro e leggermelo in tutta tranquillità.
    Hera

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