“Morireste per me?” | Manuel Agnelli


Nelle notti di luna piena, quando c’era l’aria limpida, potevi vedere in lontananza al termine della pianura la raffineria di S.Martino. Tutta illuminata e cosi lontana sembrava una metropoli americana e le sue ciminiere altissime e fumanti la Los Angeles di Blade Runner. Avevamo questo maggiolone Volkswagen grigio e pesante che chiamavamo “la Bismarck” come la corazzata tedesca, e quando la notte era abbastanza luminosa prendevamo la statale da Magenta verso Novara larga, dritta, placida e leggermente in discesa, per poter vedere meglio l’orizzonte anche di notte. La pianura era immensa a destra e a sinistra e noi eravamo veramente dentro lo schermo di un cinema. All’inizio degli anni 80 c’erano solo dark e paninari. Esseri neri, malinconici, tristi e un po’ patetici ed imbecilli ormonali, allampadati e vestiti da paracadutisti in borghese. Noi non eravamo né gli uni né gli altri. Avevamo un nostro codice morale, un nostro linguaggio e un nostro abbigliamento. Ci eravamo volutamente chiamati fuori da quella mediocrità e ci crogiolavamo nel nostro eroico e volontario isolamento dalle leggi della società. Troppo giovani e buoni per essere dei reietti. Troppo veri, naturali e coerenti per essere solo degli adolescenti che giocano. Eravamo felici di vivere quella che si sarebbe poi trasformata nella tragedia della nostra vita: l’ebbrezza di essere dei diversi. Ma allora stavamo bene.Una volta ad Arona un poliziotto ci aveva fermati e guardando incredulo il modo indefinibile con il quale ci vestivamo aveva chiesto:
– Ma da dove venite? E Riccardo con un sorriso dolce aveva risposto:
– Bzzz Bzzz da Marte. Conosce?
E giù tutti a ridere, anche il poliziotto. Ma era una tragedia. Solo che non lo sapevamo ancora.Stefano era il più bello, aveva gli occhi azzurro trasparente, lo sguardo dolce e un’eleganza naturale. Poz era il più malinconico, ma qualsiasi cosa facesse gli riusciva bene. Riccardo era il più indipendente e furbo di tutti noi. E Roberto aveva un senso dello humour cosi sottile che ancora rimane la cosa che mi manca di più in assoluto. Poi c’ero io, il predicatore del gruppo, l’uomo che metteva sempre tutti alla prova per poterne rimanere deluso. Cinque giusti. Pigiati nel maggiolone con le bottiglie di birra vuote, “i cadaveri”, nel baule che suonavano una danza balinese ad ogni curva. E così, in una di queste notti mentre andavamo verso la raffineria ascoltando per lo più “Los Angeles’s stories” dei Gun Club o i Wall of woodoo, io ero solito domandare serio:
– Morireste per me? E tutti ridevano e mi pigliavano per il culo. Tutti tranne Roberto. Eravamo belli. Molto belli. Forse anche un po’ nazi a crederci e a determinare una razza superiore ed eletta. O forse eravamo solo un po’ froci e non lo sapevamo. Comunque la raffineria di S. Martino di notte era uno spettacolo anche da vicino. C’erano le case degli ingegneri e degli operai tutt’attorno che la facevano assomigliare ad un centro commerciale nella città del futuro. E noi percorrevamo lenti, in macchina, le stradine asfaltate e recintate che passavano attraverso i depositi e le ciminiere. Cosi, vivendo solo di quello, come quando uno rimane nell’abitacolo all'autolavaggio, sotto i rulli e gli spruzzi. Una giostra. Inebriante. Una sera d’inverno l’aria era particolarmente pulita e luminosa e decidemmo di andare dalla raffineria alla centrale idroelettrica di Bereguardo. Era appena nevicato e per il riflesso della luna sulla neve sembrava quasi giorno. Qualcuno doveva aver piazzato le luci di un set cinematografico lungo i cinquanta chilometri che stavamo percorrendo. Arrivammo alla centrale e rimanemmo senza fiato. Era ancora più bella della raffineria. La luce tendeva al blu, e la neve prendeva colori diversi a seconda di quello che le veniva proiettato sopra. Di fianco alla recinzione scorreva un canale coloratissimo e fumante. Sapevo che sarebbe successo ma rimasi zitto sino a che a qualcun altro non venne la stessa idea:
Facciamoci un bagno!
Naturalmente dissi subito:
– Siete pazzi! Coglioni! L’acqua è gelata e forse è anche radioattiva! Sicuramente è inquinatissima! Ci lasciamo le penne!
– E tutti risero e cominciarono e spogliarsi in mezzo alla neve. Ma io dovevo fare il guardiano del gregge e tentai di dissuaderli per dieci minuti buoni, poi finalmente Riccardo entrò per primo, seguito da tutti gli altri. Era un inferno dantesco e anch’io a tratti rimasi affascinato dalle luci, dall’atmosfera, dal silenzio e dal loro coraggio. Sguazzavano felici di quella coglionata, mentre io dalla sponda gridavo:
– Siete degli imbecilli! Andiamocene prima che ci scoprano! Vi prenderete tutte le malattie di questo pianeta! E forse anche altre sconosciute! E forse morirete! E fu allora che Riccardo mi disse piano, a bassa voce mentre nuotava nell'acqua radioattiva:
– Tu non sei libero se hai paura di morire. Stiamo facendo l'unica cosa che ci è permesso fare. Tu non sai fare neanche questo. lo morirei per questa coglionata... Poi si fermò aggrappandosi ai rami che sporgevano dalla sponda e aggiunse:
– Ma non morirei per te. Continuai a inveire come se non avessi sentito le sue parole ma non pensavo più a quello che dicevo. Stavo male. Di un dolore rabbioso e grottesco. Come quando scopri che gli altri avevano ragione e tu non ci avevi neanche pensato. Riccardo mi aveva dimostrato che il suo amore per me era vero, non un’amicizia post-adolescenziale idealizzata. Non la mediocrità che stavo sentendo io per loro. In Rumble fish di F.F. Coppola il padre di Mickey Rourke dice all’altro figlio, Matt Dillon:
– Tu non sei come tuo fratello. Tu non hai lo stesso tipo di sofferenza. Lui ha il talento per fare tutto e non ha le possibilità per fare niente. Per anni mi sono domandato se il mio senso di colpa nei loro confronti fosse dovuto al fatto di non averli amati in modo disinteressato, come loro facevano con me, oppure era perché ho sempre saputo che loro avevano un talento più grande del mio, ma ero io, solo io, ad avere le possibilità. Poi ho deciso di smettere di chiedermelo. Ma la loro maledizione aveva delle ali enormi. Veloci. Nere. Ho sempre fatto finta di niente ma le sento abbracciarmi affettuose e calde da dietro. Sono qui e vigilano perché io non m'innamori più di nessuno cosi profondamente.
(da Il meraviglioso tubetto di Manuel Agnelli. Mondadori, 2001)


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