Orrore e terrore: qual è la differenza?

orrore-terrore
Anche se in molti dei suoi aspetti questo mondo visibile sembra formato nell’amore, le sfere invisibili furono formate nella paura. (Moby Dick, Herman Melville)
Prima di scrivere questo articolo pensavo di avere le idee chiare, poi ho cominciato a fare qualche ricerca e tenere distinti i concetti è stato sempre più difficile. Questo perché il confine tra orrore e terrore non è così netto e spesso i due termini vengono utilizzati come sinonimi. La difficoltà sta nel cercare di confinare emozioni e reazioni, stati mentali che sono soggetti a tantissime variabili. Ma una differenza esiste, dobbiamo solo trovare il percorso giusto per arrivarci. Quello che può aiutare è sfruttare le definizioni, basare la ricerca su dati abbastanza oggettivi.
Partiamo dalla condizione di base: la paura.

PAURA (Treaccani.it) – Stato emotivo consistente in un senso d’insicurezza, di smarrimento e di ansia di fronte a un pericolo reale o immaginario o dinanzi a cosa o a fatto che sia o si creda dannoso. 

Ridotta ai minimi termini, la paura è lo stato d’ansia che si attiva quando siamo (o crediamo di essere) in pericolo. È un impulso che si scatena se qualcosa o qualcuno minaccia di danneggiare il nostro equilibrio o, nel peggiore dei casi, di mettere fine alla nostra esistenza. La paura è anche una risposta essenziale perché in alcuni casi mette in funzione i centri nervosi, spinge il soggetto all’azione e lo induce a superare il pericolo. Altre volte, invece, la paura paralizza e inibisce ogni capacità di raziocinio.

Due evoluzioni della paura
La paura è propria dell’istinto di conservazione e, in base al pericolo reale o presunto, può crescere d’intensità e suscitare reazioni differenti.

TERRORE – Stato psichico di forte paura o di vivo sgomento, in genere più intenso e di maggiore durata dello spavento.
ORRORE – Impressione violenta di ribrezzo, di repulsione, di spavento, provocata nell’animo da cose, avvenimenti, oggetti, persone che siano in sé brutti, crudeli, ripugnanti.

Se il terrore è uno stato abbastanza generico, l’orrore richiama una risposta fisiologica molto precisa. Il terrore si definisce nella nostra mente, è un allarme che ci mette in guardia. L’orrore provoca disgusto, è la reazione a qualcosa che ci repelle e c’impressiona. Impressionante è stupefacente, è eccezionale. Orrendo, quindi, è qualcosa che fa eccezione, che stride con il nostro modo di vedere la realtà.

L’orrore soprannaturale
In un saggio dal titolo L’orrore soprannaturale in letteratura (testo fondamentale per gli amanti del genere), H. P. Lovecraft esordisce scrivendo che: «L’emozione più vecchia e più forte del genere umano è la paura, e la paura più vecchia e più forte è la paura dell’ignoto». Soprannaturale è qualsiasi fenomeno che trascende i limiti della conoscenza umana. Per proseguire senza difficoltà, dobbiamo partire dal presupposto che il soprannaturale ha carattere relativo (se i fantasmi esistessero non potremmo affermare che sono creature innaturali perché qualunque cosa accade in natura fa parte della natura. Siamo finiti per sbaglio nella filosofia, meglio tirarcene fuori). Soprannaturale è ciò che noi consideriamo “oltre natura” perché lontano dal modo in cui siamo abituati a percepire il mondo. È una misura che varia in base alle differenze soggettive della rappresentazione del reale. Seguendo lo stesso principio, un atto di crudeltà immotivata può suscitare in noi orrore perché disumano secondo i nostri standard di umanità.

L’ignoto a cui si riferisce Lovecraft è spaventoso perché: «incertezza e pericolo sono sempre stati stretti alleati, facendo così di un mondo occulto un mondo di pericolo e di possibili malvagie». Quest’affermazione coincide con quello che abbiamo detto: ciò che non riusciamo a comprendere lo consideriamo innaturale e ci fa orrore perché le leggi della Natura sono l’unica certezza che possiamo opporre al Caos. Ecco perché in ogni film dell’orrore la prima reazione del protagonista alla vista di una creatura mostruosa è d’incredulità: “Non è possibile”, oppure, “Non è reale”; affermazioni che servono a dare l’illusione di poter gestire una situazione che è fuori da ogni schema conosciuto. Orrore e terrore non si escludono ma possono addirittura essere l’uno il principio dell’altro (per esempio: se per una serie sfortunata di eventi ci trovassimo in un cimitero a mezzanotte potremmo provare terrore. Saremmo condizionati dall’atmosfera – il buio, il silenzio – e ci spaventerebbe quello che possiamo immaginare. Ma se da una tomba spuntasse una mano, la situazione assumerebbe un risvolto non troppo piacevole, inaspettato e incredibile. Il cimitero ci terrorizza, la mano ci fa orrore).

L’orrore è scioccante: nella maggior parte dei casi il soggetto non è capace di reagire e si chiude in se stesso. Questa flessione verso l’interno può provocare danni irreversibili e complicarsi fino alla follia (siamo finiti per sbaglio nella psicologia, meglio tirarcene fuori). Scomodando Seneca, ricordiamo anche che: «Le nostre paure sono molto più numerose dei pericoli concreti che corriamo. Soffriamo molto di più per la nostra immaginazione che per la realtà». L’immaginazione è la porta che divide il nostro mondo dall’ignoto e da quello spazio inesplorato i più grandi scrittori dell’orrore hanno richiamato figure spaventose: fantasmi, demoni, vampiri, licantropi, mostri e stregoni.
Il vero racconto misterioso ha qualcosa di più del delitto segreto, delle ossa insanguinate o della sagoma vestita di un lenzuolo che fa risuonare le catene secondo le regole. Deve essere presente una certa atmosfera di terrore inesplicabile e mozzafiato verso forze esterne e ignote.
Perché leggiamo storie di paura?
Tutto ciò che è misterioso ci spaventa e ci attrae con la stessa forza perché siamo esseri razionali e spiegare l’inspiegabile è la nostra più grande ambizione. Uno dei luoghi che ancora non siamo riusciti a razionalizzare è l’inconscio. La letteratura dell’orrore sfrutta gli elementi del soprannaturale mentre le storie di terrore fanno leva su atmosfere disturbanti ma l’obiettivo di fondo è sempre lo stesso: raccontare le paure ancestrali radicate nell’inconscio collettivo; il dolore, l’isolamento, la perdita. La paura più comune è la paura della morte; dare un senso alla morte è ciò che abbiamo sempre provato a fare, dal momento in cui il primo uomo ha visto un compagno chiudere gli occhi e non riaprirli. Arrivare a capire la morte, scoprire quello che succede dopo, svelerebbe uno degli enigmi più grandi di sempre: il mistero dell’esistenza. Al momento, dato che la porta è ancora chiusa, non possiamo fare altro che avvicinarci al bordo conosciuto dell’universo e accostare l’orecchio, magari «captare il battere di ali nere o lo stridere di forme ed entità esterne», riempire con l’immaginazione la distanza che separa il reale dall’irreale. Per questo continuiamo a raccontarci la paura: per avere l’illusione di avere il controllo.



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La mia edizione di L’orrore soprannaturale in letteratura di H. P. Lovecraft è fuori catalogo ma gli stessi saggi si trovano si trovano nella raccolta Tutti i romanzi e i racconti pubblicata da Newton Compton. Oppure la Nuova Editrice Berti ha pubblicato I bambini avranno sempre paura del buio, una raccolta che contiene alcuni di quegli scritti, tradotti da Silvia Lumaca.

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