TI RACCONTO | La lotteria di Shirley Jackson


(Una rubrica che è un po’ una scusa per parlare delle mie storie preferite. Ti racconto un racconto, mi fermo a un certo punto. Lascio a te il compito di scoprire come va a finire.)

Era una mattina di giugno luminosa e calda; una tipica giornata estiva, di quelle coi prati verdi pieni di fiori. In altri villaggi la lotteria si prolungava per un paio di giorni, ma quel paese non contava più di trecento persone, così che tutto si risolse prima dell’ora di pranzo. Gli abitanti del villaggio si radunarono in piazza verso le dieci. I primi ad arrivare furono i bambini, che gridavano e correvano, lasciandosi dietro la fatica degli ultimi giorni di scuola. 
Bobby Martin cominciò a riempirsi le tasche di pietre, scegliendo con cura quelle più lisce e  tonde, e molti altri fecero lo stesso. Harry e Dickie ne raccolsero più che poterono, e crearono una grande pila in un angolo della piazza. Le bambine restavano in disparte, i più piccoli giocavano con la terra. Le donne si scambiavano pettegolezzi e cercavano di placare l’eccitazione dei figli con raccomandazioni e inutili ammonimenti. Il signor Summers arrivò con un po’ di ritardo, si scusò e si fece spazio tra la folla. Teneva tra le mani la cassetta nera di legno della lotteria, che appoggiò sullo sgabello posizionato dal signor Graves, il direttore dell’ufficio postale, al centro della piazza. La lotteria aveva perso le sue antiche tradizioni: i bastoncini di legno erano stati sostituiti da biglietti di carta e un fugace saluto aveva preso il posto del più solenne discorso d’apertura. Ma, come ogni anno, il signor Summers prestò giuramento nelle mani del signor Graves. I due erano stati svegli fino a tardi, la notte prima, per compilare la lista dei capifamiglia e l’elenco di tutti gli abitanti del villaggio. La signora Hutchinson arrivò di corsa, fermandosi all’estremità della piazza. Si rivolse alla signora Delacroix che le era accanto, giustificando il suo ritardo con un sorriso imbarazzato: «Mi ero proprio dimenticata di che giorno era». Tessie Hutchinson allungò il collo, scorse suo marito e suo figlio in prima fila e avanzò verso di loro. «Tutti pronti?» chiese il signor Summers. «Iniziamo a leggere i nomi. Per primi, i capifamiglia, e quando li chiamo vengano a estrarre un foglio. Tenete in mano il foglio, senza guardarlo, finché tutti non lo hanno preso. Chiaro?». Adams, Anderson, Bentham: in ordine alfabetico, gli uomini si avvicinarono alla scatola nera e presero un biglietto. Watson e Zanini furono gli ultimi, poi un lungo silenzio scese tra la folla. «Va bene amici, apriamo». Tutti lessero i fogli che avevano estratto, guardandosi intorno per capire chi fosse il vincitore: «Chi è? Chi lo ha trovato?». Gli sguardi si concentrarono nella direzione della famiglia Hutchinson. Terry gridò, rivolgendosi al signor Summers: «Non gli hai dato il tempo di scegliere il foglio che voleva. Ti ho visto. Non è giusto!». Bill zittì sua moglie, e si affrettò a rispondere al signor Summers, che gli aveva chiesto da quanti membri era composta la sua famiglia. «Billy Junior, Nancy e il piccolo Dave. Oltre a me e a Tessie». La signora Hutchinson continuava a protestare ma nessuno sembrava ascoltarla. Il signor Graves raccolse i biglietti, ne mise cinque nella cassetta e lasciò che il vento si portasse via tutti gli altri. «Sei pronto, Bill?» chiese il signor Summers. E Bill Hutchinson, pallidissimo, annuì.

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La lotteria è uno dei racconti più inquietanti mai scritti. Pubblicato sul New Yorker nel 1948, il testo sconvolse i lettori al punto che qualcuno decise di annullare l’abbonamento alla rivista. È un racconto semplice, molto breve, ma si basa su un meccanismo perfetto: quando scoprirete il trucco sarete già con le spalle al muro. Shirley Jackson è considerata una maestra del thriller nero, e i suoi romanzi, allusivi e mai espliciti, sembrano suggerirci quanto la realtà sia solo una questione di punti di vista; quanto, cambiando la prospettiva, ogni certezza può essere messa in discussione. La scrittura di Shirley Jackson è stata fonte d’ispirazione per moltissimi autori del genere, come Ray Bradbury e Stephen King. Questo racconto è tratto dalla raccolta omonima, pubblicata da Adelphi nella traduzione di Franco Salvatorelli. 


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