Eudora Welty e lo sguardo obliquo


«Una scrittrice di racconti del Sud è l’ultima cosa a cui qualcuno avrebbe mai pensato.» Nel 1988, durante una conferenza tenuta a Jackson, in Mississippi, Eudora Welty cercò di spiegare perché all’inizio fu così complicato trovare qualcuno che pubblicasse i suoi scritti (dal primo racconto, Morte di un commesso viaggiatore, alla pubblicazione della prima raccolta, Una coltre di verde, trascorsero cinque anni, periodo in cui il suo agente venne rimbalzato da una redazione all’altra). La difficoltà era legata a tre fattori: era una donna, era meridionale, scriveva racconti. Le riviste ci misero un po’ a capire che proprio quel tridente rendeva l’opera della Welty così rappresentativa, tanto da farne una figura fondamentale della southern literature. All’incontro partecipò anche Cleanth Brooks, critico letterario e co-fondatore, insieme allo scrittore Robert Penn Warren, del Southern Review, uno dei primi giornali locali a interessarsi ai racconti della Welty.

Eudora scrisse alcuni romanzi (vinse il Premio Pulitzer nel 1973 con La figlia dell’ottimista) ma preferiva la forma del racconto perché più adatta a raccogliere l’eredità della tradizione orale. «Sono una scrittrice di racconti che scrive romanzi suo malgrado» rivelò a Linda Kuehl in un’intervista rilasciata per il The Paris Review.
Scrivere è anche ascoltare, diceva Eudora, infatti non c’è modo migliore per capire le sue storie che leggerle ad alta voce. Come il racconto che s’intitola Com’è che abito all’ufficio postale, un monologo eccentrico di una ragazzina che, dopo una serie d’incomprensioni con alcuni membri della famiglia, decide di andare a vivere all’ufficio postale del paese («Ho scritto piuttosto spesso in forma di monologo che s’impossessa dell’io narrante. Quante più cose si riescono a dire!»).

I racconti di Eudora Welty assolvono tutti la stessa funzione, ossia mostrare una crepa: esiste una dissonanza tra la vita interiore dei protagonisti e il mondo esterno, e il mondo esterno a cui fare riferimento è la cultura del Sud degli Stati Uniti del Novecento, con tutto il bagaglio storico che ne consegue. Il conflitto è generato dalla contrapposizione di due forze che Eudora riconosceva anche in se stessa, come donna meridionale e come scrittrice: «desiderio d’indipendenza e senso di colpa». L’alienazione si manifesta in modo buffo, esagerato e grottesco perché non ha soluzione: la liberazione a cui tende lo spirito è contrastata dalle convenzioni sociali; la repressione degli istinti genera nuovi desideri e i desideri generano nuova colpa. A differenza dei romanzi di William Faulkner, però, in cui il conflitto si risolve con un atto di violenza, a differenza dei racconti di Flannery O’Connor, nei quali la violenza è la chiave per accedere alla grazia, le storie di Eudora Welty non si concludono in tragedia; l’obiettivo della sua scrittura non è trovare una soluzione al disagio ma dimostrare che esiste. Come accade nel racconto Un pezzo sul giornale: una donna legge un articolo sulla morte di Ruby Fisher, sua omonima, uccisa dal marito con un colpo di pistola. Comincia a pensare di essere quella donna, immaginando se stessa dal momento dello sparo fin dentro la bara il giorno del funerale. Suo marito torna a casa e lei gli mostra l’articolo: c’è un confronto tra i due, un attimo in cui si osservano pensando se quel fatto possa riguardarli davvero. Ma Eudora ha uno sguardo compassionevole e i suoi personaggi riescono sempre a superare la tensione; spesso subentra anche una certa tenerezza.

Com’è che una donna del Sud diventa scrittrice

Leggendo le prime pagine di Come sono diventata una scrittrice si resta un po’ interdetti perché, invece di un manuale di scrittura, è “semplicemente” la vita di Eudora Welty. Ma basta poco per entrare nella sua filosofia e capire che nel titolo c’è già il primo suggerimento: scrittori si diventa. Scrivere è scoprire «la sequenzialità dell’esperienza» e il libro contiene le relazioni di causa ed effetto che l’hanno resa una scrittrice. Eudora racconta che da bambina tendeva l’orecchio alle storie; tendere l’orecchio, precisa, è diverso da ascoltare: vuol dire sentirsi parte attiva di una narrazione, avere il bisogno di cogliere il collegamento tra un fatto e l’altro per scoprire come quella materia si connette al flusso della vita. Ascoltando i pettegolezzi della cameriera, le storie delle amiche della madre, i discorsi sussurrati dai fratelli, Eudora intuisce che una storia è fatta da una serie di scene e ogni scena è piena di «indizi, segnali, suggerimenti e promesse»; amare le storie vuol dire imparare a leggere i segnali, cercando la verità dietro la menzogna.

Eudora si laurea nel 1939 alla Columbia University e comincia a lavorare presso la stazione radio WJDX. Qualche tempo dopo diventa agente pubblicitario per la Works Progress Administration durante la presidenza di Franklin Roosevelt. Con le sue fotografie, Eudora documenta le condizioni delle città del Mississippi durante la Grande Depressione e alcuni scatti le serviranno da ispirazione per scrivere dei racconti, tra gli altri proprio Com’è che abito all’ufficio postale.

Imparare a guardare: l’occhio narrativo

La fotografia insegna a Eudora Welty due cose importanti. La prima, sulla distanza del narratore: «Inquadratura, proporzioni, prospettiva, quantità di luce e ombra, tutto è determinato dalla distanza dell’occhio che osserva», il punto dal quale si racconta una storia influisce sul contesto e scegliere di fare un passo indietro è comunque una posizione di potere. La seconda, sull’occhio dello scrittore: «Facendo foto di gente in circostanze di tutti i generi ho appreso che ogni sensazione è in attesa del suo gesto e che dovevo essere preparata a riconoscere quel momento, quando lo vedevo». Scrivere, ammette la Welty, nasce proprio dal desiderio di trattenere la fuggevolezza della vita con le parole e il modo giusto per farlo è avere uno sguardo obliquo per vedere «dentro, oltre, intorno a quel che esiste davvero».

Un racconto che è un inseguimento di quel desiderio è Un momento sospeso, titolo rivelatore di una storia che incrocia i destini di tre figure realmente esistite: Lorenzo Dow, un predicatore evangelico, James Murrell, un assassino, e John James Audubon, ornitologo e pittore statunitense, famoso per aver realizzato più di quattrocento illustrazioni di uccelli americani. I tre arrivano da strade diverse e si trovano all’ombra dello stesso albero. Nell’attimo in cui gli sguardi s’incrociano, un airone si ferma lì accanto e cattura la loro attenzione. Il narratore, esterno ma abbastanza vicino da poter osservare tutti i dettagli, fa il punto della situazione:
«Quello che avevano desiderato era semplicemente tutto: salvare tutte le anime, distruggere tutti gli uomini, osservare e registrare tutta la vita che riempiva il mondo».
La Welty dilata il momento fino al limite massimo, a renderlo infinito. Il narratore si avvicina ancora di più e ci trasporta nella mente di Audubon che, a seguito di un percorso interiore che lo porterà a una rivelazione, con un gesto che ai due ignari spettatori apparirà immotivato e violento, farà ripartire il tempo.

Il racconto è fortemente simbolico, non a caso lo stesso albero (l’albero della conoscenza?) accoglie il predicatore, il Bene, e l’assassino, il Male. Ma Audubon cosa rappresenta? Di lui sappiamo che ha l’abitudine di annotare tutto quello che vede per paura che non se ne abbia memoria e, tra le tante interpretazioni che possiamo dare al suo personaggio, a me ha fatto pensare alla figura del narratore, inteso così come la Welty lo intendeva: un osservatore naturale che racconta i dettagli per svelare la “tutta la vita che riempie il mondo”: «[...] il mondo esterno è l’elemento essenziale della mia vita interiore. La mia opera, per come posso valutarla io, è tanto intensamente legata al mondo quanto segretamente vi prende parte».



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Una coltre di verde. Racconti edizioni, 2017. Traduzione di Isabella Zani e Vincenzo Mantovani (la raccolta contiene i citati

Com’è che abito all’ufficio postale
e Un pezzo sul giornale).
Come sono diventata scrittrice. Minimum fax, 2011. Traduzione di Isabella Zani.

P.S. Nel 1948, a Parigi, il fotografo Robert Doisneau posizionò, nella vetrina di un negozio d'antiquariato, un quadro con una figura di una donna con le spalle nude e, nascondendo la sua Rolliflex in un punto strategico, riuscì a catturare le più spontanee reazioni dei passanti. Quella serie di scatti prese il nome di Le regard oblique.

Commenti

  1. Ciao! ho appena aperto il mio blog e sto cercando altri blog che parlino di libri. Il tuo mi interessa molto perchè oltre a scrivere di libri, fornisci consigli e riflessioni sulla scrittura!

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    1. Ciao Carlo, grazie per essere passato e in bocca al lupo per il tuo nuovo spazio. A presto!

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