Leggere Fabio Volo. E se poi te ne penti?

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La verità è che Fabio Volo mi piaceva. Mi piaceva quando, dal 1998 al 2001, era alla conduzione del programma Le Iene, con Simona Ventura e Andrea Pellizzari (il servizio in cui si presentò a casa di Alessia Marcuzzi completamente nudo è rimasto negli annali della storia della trasmissione). Mi piaceva come vj di MTV. Mi piaceva al timone di programmi come Il volo del mattino su Radio Deejay e se la cavava bene anche quando doveva reggere uno spettacolo intero, come Lo spaccanoci. Non lo conoscevo come attore, non l’avevo mai sentito cantare, ma Fabio Volo mi piaceva. Solo che, tra le altre cose, ha deciso di cominciare a scrivere.

Fabio Volo (nome d’arte di Fabio Bonetti) scrive il primo romanzo, Esco a fare due passi, nel 2001. La storia è quella di Nico, un dj radiofonico di ventotto anni con la sindrome di Peter Pan. Nico scrive una lettera a se stesso, immaginando di riceverla cinque anni dopo. È un romanzo abbastanza semplice, neanche tanto pretenzioso. Quando l’ho letto avevo quindici anni e mi piacque. In È una vita che ti aspetto, 2003, il tema si evolve: dalla difficoltà di un ragazzo di pensarsi intero da solo, al disagio di un uomo di pensarsi intero in una coppia. Anche questa prova, secondo me, raggiunge la sufficienza. Nel 2006 io compio vent’anni e Fabio Volo pubblica Un posto nel mondo. Quello è l’anno in cui le nostre strade si dividono. Io continuo a crescere ma i protagonisti dei suoi libri restano gli stessi: cambiano le dinamiche, le città, le donne, ma al centro del palco c’è sempre quel ragazzino del primo romanzo che, mentre gli altri sono alla ricerca dell’altra metà della mela, lui si sente ancora “uno spicchio di se stesso”.

QUANDO TUTTO INIZIA, IL NUOVO ROMANZO DI FABIO VOLO

Nel 2017 io ho trentun anni (!) e Fabio Volo pubblica un nuovo libro: Quando tutto inizia. Nel passato di una storia che non abbiamo condiviso ci sono cinque romanzi, qualche racconto, e l’ibrido A cosa servono i desideri. La domanda che mi sono posta, che mi ha spinto a intraprendere questo esperimento, è: come sarà leggere Fabio Volo dopo quindici anni dalla prima volta? Così l’ho fatto, l’ho comprato e l’ho letto. Senza scendere in tecnicismi, gli elementi che dobbiamo analizzare quando vogliamo valutare un libro sono due: la sostanza e la forma.

Cosa c’è scritto?, ovvero la sostanza

In Quando tutto inizia, Fabio racconta la storia di Gabriele, un pubblicitario quarantenne che, un po’ per caso, comincia una relazione con una donna sposata. I due si frequentano nel rispetto di una tacita promessa di non innamorarsi, e tutto procede per il meglio finché lui si scopre più coinvolto di quanto avrebbe dovuto. Così lei, Silvia, decide di chiudere la relazione, lasciando Gabriele in una situazione di sofferenza che non aveva mai provato. Ma, come ci svela l’incipit: “Le cose importanti cominciano quando tutto sembra finito”. Questo è il messaggio su cui si basa il romanzo: le persone di cui c’innamoriamo non sono sempre quelle giuste ma sono ugualmente importanti, in un’idea globale di percorso di vita, perché ci preparano ad accogliere il prossimo, o la prossima, che magari sarà il vero amore (o anche no, ma allora sarà un’altra stazione necessaria della nostra crescita interiore). Messo in questi termini, il nucleo non è così terribile; niente di troppo complesso ma significativo. Il problema è che, quando il cosa è semplice, il come dev’essere speciale.

Com’è scritto?, ovvero la forma

Spesso lo scrittore decide di distinguere la fabula dall’intreccio, così anche in Quando tutto inizia il tempo cronologico dei fatti non corrisponde al tempo della storia. Il primo capitolo si apre con un’anticipazione e vede Silvia e Gabriele su un treno per Verona: è il giorno in cui lui le svelerà di essersi innamorato. Dal capitolo successivo, l’io narrante riavvolge il nastro per raccontarci quando e come ha conosciuto Silvia, rivivendo l’evoluzione della storia tra malintesi e ricongiungimenti. Fino al capitolo 16 che è, pari pari (cioè scritto uguale) al capitolo 1, quello del fatale viaggio in treno. Dal capitolo successivo e per altri sette, leggiamo quello che è accaduto, una breve rincorsa verso la riflessione di fondo che si paleserà a sei anni dalla fine della relazione, quando Gabriele, felicemente sposato con Susanna, incontra Silvia in un negozio di ferramenta. 

Lo stile di Fabio Volo è elementare: i periodi non hanno una struttura interessante ma si basano su un’alternanza di principali e subordinate senza troppa inventiva (la classica costruzione: soggetto-verbo-complemento). Fabio Volo è didascalico, non fa differenza se scrive d’amore o della lista della spesa, perché procede sempre per elenchi, e sempre vincolati a tre oggetti (“Le baciavo le caviglie, i polpacci, le ginocchia”, “Ho aperto il frigorifero e ho preso olive, carciofini, formaggi”). Nelle frasi più ardite compare il quarto elemento (“L’ho spogliata: prima la camicia, poi la gonna, poi il reggiseno, poi le mutande”). Le immagini che Volo utilizza sono inflazionate, le similitudini prive di qualsiasi potere evocativo, tipo: “Abbiamo passeggiato nei vicoli, come una delle tante coppie di innamorati”.

Posso fare di peggio: ancora sulla forma

La scrittura di Fabio Volo è un repertorio di frasi fatte (qualche esempio, a gradimento del lettore più curioso): “il calore della sua pelle”, “il battito del suo cuore”, “camera molto accogliente”, “c’ero dentro fino al collo”, “alla luce del giorno”, “mille voci interiori”, “ci siamo guardati negli occhi come se ci vedessimo per la prima volta”, “i miei dubbi sono spazzati via dal suo sorriso”, “dita lunghe e affusolate, erano perfette per il piano” (infatti lei è una pianista). “Scoppiare a ridere” e varianti (“ridere di gusto come i bambini”, “un sorriso che veniva dagli occhi prima che dalla bocca”, “un sorriso stampato sulla faccia”, “siamo scoppiati in una risata forte e liberatrice”). Un bacio è “lento, delicato, intenso”, “vederla mi riscaldava dentro” (ma poi, quando calano le temperature: “sono congelato dentro”). “In fondo l’amore è questo, perdere il proprio perimetro, abbattere i confini”, “con lui non puoi essere felice come lo sei con me”, “volevo che mi dicesse che era solo mia, la mia donna”, “La donna che dici di amare non esiste”, “L’avevo amata senza rete di sicurezza”. 

L’attenzione del lettore è una cosa preziosa. Ottenerla è difficile, perderla un attimo, riconquistarla un’impresa. Ma sembra che per Fabio Volo questo non sia un problema. Esempio: giorno, casa di lui, camera da letto. I due, dopo aver fatto l’amore, sono ancora sotto le coperte. Il lettore dovrebbe essere in grado condividere il momento, riuscire a entrare nello stato emotivo dei protagonisti, provare una certa empatia. Fabio Volo decide di destare Gabriele dal quel torpore e spostare l’obiettivo (perciò indirizzare l’attenzione del lettore) verso un dettaglio a suo parere importante: “La camera era molto silenziosa, escludendo il rumore del cassonetto del vetro. Ogni volta che sentivo il fracasso delle bottiglie in frantumi pensavo che sarebbe bastato appoggiarle sul fondo, invece di lasciarle precipitare nel vuoto”. Rapporti di buon vicinato, prima di tutto.
«È vero, anche se non ho mai capito cosa vuol dire»
«L’unica cosa da capire è che non c’è niente da capire».

Lui, lei, gli altri (un approfondimento sui personaggi)

La caratterizzazione dei personaggi è inesistente: Gabriele è il Nico di Esco a fare due passi, più stempiato e con un lavoro meno precario. Ma se il trentenne del primo romanzo aveva un senso nella sua dimensione, il nuovo quarantenne risulta forzato, poco verosimile. Gabriele e Silvia sono stereotipi, interpreti senza slancio, e i personaggi secondari sono poco più che comparse. I dialoghi, monotoni e asettici, sono il terreno fertile per altri luoghi comuni. Lui pensa che le donne siano delle sagome senza cervello (“Ho sempre invidiato le donne, se ne stanno lì ad aspettare che qualcuno si avvicini e si giochi la carta buona”), lei pensa che gli uomini siano intellettualmente limitati (“Sei intelligente, ma non così intelligente, sei sempre un uomo”). È un gioco in cui ci si sfida a pensarla più scontata.

Gabriele esce sconfitto da ogni confronto: è svampito, sempre un po’ confuso, fuori da ogni luogo e contesto, tant’è che quando qualcuno prova a spiegargli dei concetti che vanno al di là di bere-mangiare-dormire, lui reagisce con “Non capivo ma non le ho chiesto niente”, oppure “Anche se non avevo capito del tutto, le sue parole mi erano entrate dentro”. Sul lavoro, Gabriele sfida il capo a viso scoperto, alza gli occhi quando l’altro parla, e per contro ottiene riconoscimenti e promozioni. Raggiunge grandi risultati senza troppo sforzo, in un mestiere che gli è capitato ma che non era la sua vocazione. Resterà in agenzia finché la rottura della relazione con Silvia lo porterà a riconsiderare tutta la sua vita. Gabriele si trova spesso a ragionare con se stesso ma le domande che si pone non scendono mai in profondità. Il discorso che mette fine alla relazione con Silvia non si discosta troppo dal tono generale: lei gli dice che non doveva accadere, lui risponde che non l’aveva messo in conto ma è successo. Piangono, poi lei se ne va. 

Caratterizzare un personaggio vuol dire delinearlo in un certo modo, un modo che segue l’indirizzo della storia. Lo scrittore concepisce i suoi attori su misura, in base al libro che ha in mente di scrivere. In corso d’opera può succedere che i personaggi evolvano in direzioni collaterali e inaspettate, ma è un altro conto: vuol dire che chi scrive è stato così bravo da dare verità alla sua costruzione. L’obiezione che mi si può rivolgere, quindi, è che Fabio Volo costruisca i suoi personaggi proprio così, che abbiano uno scopo preciso. È un’affermazione che possiamo respingere senza fatica perché Gabriele, Silvia e tutti gli altri, non sono funzionali alla vicenda che interpretano. Non favoriscono la rivelazione del messaggio che vuole comunicare l’autore, non lo sfiorano neanche.
Uscire con lei è come uscire con un tuo amico,
con però il vantaggio che lei è carina e le piace fare l’amore. 

HOT ALERT! (Sullo scrivere di sesso)

Il sesso è una delle attività più difficili da scrivere. Nel 2016, la rivista britannica Literary Review assegna a Erri De Luca, che è un bravo scrittore, il Bad Sex in Fiction Award per la descrizione, peggio riuscita, di un rapporto sessuale. La domanda che sorge spontanea, leggendo Quando tutto inizia, è: perché metterci così tanto sesso? Così tanto è una misura che posso quantificare in modo esatto: Fabio Volo utilizza 35 volte “fare/faremo/facciamo/abbiamo fatto l’amore”; di queste, 10 volte si concludono nella descrizione di un rapporto sessuale effettivo. Ricordo ai naviganti che il libro conta 180 pagine quindi, riga più riga meno, stiamo parlando di una scena di sesso ogni 18 pagine. Ma non è un dramma, se sai come farlo. Fabio Volo come lo fa? Prendiamo come esempio un rapporto-tipo, il primo di una serie di episodi tutti uguali. Lui si avvicina perché vuole fare l’amore (inciso: Gabriele vuole farlo sempre, infatti capita che lui dica: “C’è stato un momento in cui ho smesso di ascoltarti perché immaginavo di fare l’amore con te”. L’eccessiva erotizzazione dei personaggi è una caratteristica presente in tutti i romanzi di Fabio Volo). Torniamo al momento. Lei sviene al primo tocco di lui, così crollano l’uno accanto all’altra, più spesso lei “si lascia crollare/cadere” da qualche parte. Cominciano, quando siamo fortunati “tutto esplode in maniera carnale” e si risolve in fretta. Lui la tratta come se fosse un manuale d’istruzioni dell’Ikea (“poi volevo guardarla negli occhi, allora l’ho girata, l’ho sollevata e l’ho spinta contro il tavolo”); gira, tira e piega in base alla difficoltà del mobile da assemblare. Lui vede il desiderio crescere negli occhi di lei perciò non si concede troppo: vuole “resistere e prolungare quel gioco tra noi”. Finiscono, nudi e stravolti.
Una volta le avevo detto: «La vita di ognuno di noi è piena di astucci che si chiudono segretamente».
«Sei un poeta mancato» mi aveva risposto con una carezza.


PERCHÉ TANTA GENTE LEGGE FABIO VOLO? 

In Infinite Jest c’è un passaggio in cui uno dei personaggi, Orin Incandenza, si trova a riflettere sui contenuti delle trasmissioni commerciali e sul tipo di reazione che suscitano nel telespettatore. «Mi mancano le repliche estive», comincia, «Mi mancano le frasi “Ordinalo subito prima di mezzanotte” e “Risparmia più del 50 per cento (...) Mi manca quella roba con un denominatore così basso che potevi guardarla e sapevi in anticipo quello che avrebbero detto gli attori”. Orin sta parlando della familiarità: è vedere e rivedere sempre le stesse cose, e trarre beneficio dalla ripetizione di certi meccanismi. Chi compra un nuovo libro di Fabio Volo (perché è lui il nostro oggetto d’esame, ma questo è un discorso che può estendersi a molti scrittori) sa già quello che troverà, il tipo di storia che leggerà, i dialoghi a cui parteciperà, i climax che seguirà fino alla fine, al lieto fine. Più che intrattenimento è rassicurazione.

Il problema non è Fabio Volo, le vendite esorbitanti di Fabio Volo, i libri di Fabio Volo che rubano il posto in libreria a scrittori più meritevoli. Fabio Volo ha un pubblico che nulla toglie a Pavese, a Calvino, o alle nuove leve della letteratura italiana. Mi preoccupano di più le recensioni dei giornalisti che nei loro articoli scrivono che Fabio Volo: “Procede nell’esplorazione delle dinamiche emotive ed esistenziali della generazione dei trenta-quarantenni *” senza distinguere un tentativo da un risultato raggiunto. Mi preoccupa perché esplorare vuol dire scoprire, indagare, raggiungere nuovi livelli di conoscenza, e questo nei libri di Fabio Volo non accade. Mi preoccupa la tendenza a spacciare un prodotto per qualcosa che non è.

Tornando alla domanda iniziale, Come sarà leggere Fabio Volo dopo quindici anni dalla prima volta?, la risposta è: noioso. Mi aspettavo che non mi piacesse ma non pensavo di annoiarmi tanto. Sono arrivata alla fine per onorare la missione, agevolata da un senso diffuso d’inerzia, ma niente – né cosa c’è scritto, né com’è scritto – ha catturato la mia attenzione. Io non giudico chi legge i libri di Fabio Volo, perché ogni lettura soddisfa un bisogno diverso, però un buon lettore è un lettore consapevole. Perciò è fondamentale imparare a riconoscere le differenze che fanno di una storiella un grande romanzo.

«Promettimi una cosa».
«Cosa?»
«Che non ci racconteremo mai bugie».

(Fabio Volo, Quando tutto inizia

Ti ho mai detto una bugia?
Ti ho mai mentito in tutta la tua vita?
Quando dicevo: sei al sicuro, ci sono io, era una bugia o ci hai creduto?
Una bugia è forse solo una storia alla quale l’ascoltatore si rifiuta di credere?
È questa l’unica definizione di bugia?
O ci hai creduto?

(Joan Didion, L’anno del pensiero magico)


Ultimo ma non ultimo: il nuovo romanzo di Fabio Volo costa 19 euro.
Segue lista di COSE CHE PUOI COMPRARE CON (CIRCA) 19 EURO



* Citazione tratta dal pezzo di Giulia Ziino apparso su La lettura del 12 novembre 2017. Il titolo dell’articolo è: C’è vita fuori dal selfie. Fabio Volo è (un po’ più) grande.

Commenti

  1. Era un bel po' che non ridevo tanto. Il massimo è stato qui: "quando siamo fortunati «tutto esplode in maniera carnale» e si risolve in fretta"; ti ho immaginata, nell'ordine: che prendi in mano il libro e poi dici di no perché hai mal di testa; che leggi una scena di sesso di Fabio Volo mentre in realtà stai pensando che domani ci sono le bollette da pagare o cosa comperare al supermercato per pranzo.

    Però ho una domanda fondamentale: in fondo al libro, in ultima pagina dopo la parola "FINE", c'è la fatidica domanda: "Ti è piaciuto?" :D :D :D

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    1. Io l'ho letto in ebook (9,99 euro) e questo mi ha permesso di valutare la prestazione con un ottimo sistema “a stelline” ;)

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  2. Mi è veramente piaciuto il tuo articolo. Innanzitutto perché hai fatto notare che a una certa età il linguaggio di Fabio Volo ti piaceva, poi tu sei cresciuta, il suo modo di scrivere no. È esaustivo il modo in cui spieghi la struttura del suo libro. Insomma condivido anche il fatto che non hai avuto pregiudizi e lo hai letto. Di solito ci si basa sul sentito dire, tu hai testato su di te se valeva la pena leggere Fabio Volo. E ho riso anch'io su alcuni passaggi. Complimenti!

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    1. Grazie Tiziana! Be', se avessi voluto puntare il dito avrei dovuto cominciare a indirizzarlo verso di me. Leggere Fabio Volo non mi ha impedito di avvicinarmi alla letteratura più impegnata quindi so che non può essere un problema, non è un dramma come si vuol far credere, né per i lettori né per il mercato editoriale. Sapevo che non mi sarebbe piaciuto ma mi divertiva l’idea di confrontarmi con la me stessa di mezza vita fa :)

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  3. C'è qualcosa di antropologico in questa tua (doverosa?) missione. Ma ho molto apprezzato.

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  4. Maria Di Biase che legge e analizza criticamente Fabio Volo è una delle cose più fighe (per usare un aggettivo gggiovane che userebbe Volo) e divertenti mai lette.
    Post interessantissimo, perché stroncare Volo è facile, è ovvio (e inutile), ma farlo con questa perizia e questa cognizione di causa è segno di grande maturità e di vivacità intellettuale. Ti stimo ancora di più. Un esperimento di questo tipo non sarei mai riuscita a farlo, nemmeno a concepirlo.
    (Anch'io leggevo Volo a 15-16 anni, poi ho imparato a leggere ;D)

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    1. Oh, grazie mille Marghe :)
      Mi sono divertita più a scrivere la recensione che a leggere il libro, pensa!

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  5. Una deliziosa recensione che ho riletto e sto diffondendo dovunquesi parli di Volo

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  6. Ciao Maria,
    recensione che analizza molto bene il caso Volo.
    Sui suggerimenti di cosa si puó acquistare con la stessa cifra, credo che le risate le abbiano sentite anche i vicini. XD

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    1. Che bello, grazie!
      Quella lista è magnifica, io voglio quasi tutto quello che c'è dentro!

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  7. La tua recensione è banale...
    Io ci vedo solo tanta ma tanta INVIDIA.
    La verità è che ti piacerebbe scrivere e vendere milioni di copie come lui, ma ahimè, per il momento, sei ben lontana da questo traguardo.
    Prenditi meno sul serio e ridi di più!

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    1. C’era una volta uno scudiero (che chiameremo Senza Nome). Lo scudiero Senza Nome viveva in un piccolo villaggio accanto al fiume. Senza Nome svolgeva il suo lavoro con tanta dedizione ma il suo sogno era diventare un cavaliere e conquistare milioni di principesse. Ogni sera, prima di riporre le armi del suo signore (che chiameremo Favo Biolo) andava ad allenarsi al fiume. Ma, ahimè, era ben lontano dal suo obiettivo perché non era facile maneggiare la spada come faceva Favo! Senza Nome era triste, e più s’intristiva e più si vergognava, e più si vergognava e più si arrabbiava. Un giorno Senza Nome decise di andare dall’anziano del villaggio per chiedere un consiglio che alleviasse la sua pena. L’anziano non c’era (era giorno di vendemmia) ma al suo posto Senza Nome trovò un nano. Il nano gli disse che lo avrebbe aiutato ma che prima voleva una grattatina dietro l’orecchio destro. Senza Nome grattò. Il nano gli disse che l’avrebbe aiutato ma che prima voleva tre monete d’oro. Senza Nome sganciò. Il nano gli disse che nel bosco c’era una casa e in quella casa c’era una strega che poteva far avverare ogni suo desiderio ma in cambio lui avrebbe dovuto... niente, il nano non ricordava l’ultima parte della faccenda. Senza Nome aveva un po’ paura di andare nel bosco ma si disse che i veri cavalieri non avevano nulla da temere. Così ci andò. Camminò, camminò (camminò tantissimo!) finché vide proprio la casa che gli aveva descritto il nano. Allora bussò e una vecchia, non tanto vecchia ma insomma, una abbastanza vecchia, lo invitò a entrare. Senza Nome disse alla strega che voleva diventare un cavaliere come Favo Biolo per conquistare tutte le principesse di tutti i regni e che avrebbe fatto qualsiasi cosa per fare in modo che il suo desiderio si avverasse. Allora la strega, che era pure un po’ cecata, si avvicinò per guardarlo meglio e gli disse che fare lo scudiero non era poi così male, che lui sembrava pure ben messo, che se magari lei poteva avvicinarsi un attimo per... Senza Nome s’infuriò e minacciò la strega abbastanza vecchia e un po’ cecata con un manico di scopa. Allora la strega si arrese e svelò il Segreto, quello che faceva diventare tutti gli scudieri dei cavalieri valorosi. Gli disse proprio...




      Niente, questa parte della storia me la scordo sempre.

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