Quella volta che William Faulkner fece arrabbiare Ernest Hemingway



Alla fine degli anni trenta, durante una conferenza tenuta all’Università del Mississippi, William Faulkner disse che non era sicuro che avrebbe scritto ancora. Era passato qualche anno dalla pubblicazione di Santuario e lo scrittore stava attraversando un periodo di crisi. Nella stessa lezione, gli studenti gli chiesero quali fossero i cinque più grandi scrittori contemporanei. Faulkner rispose: «Thomas Wolfe, Dos Passos, Hemingway, Cather, Steinbeck». Uno degli insegnanti, al quale risultò evidente il conflitto d’interessi insito nella domanda, commentò: «Mi dispiace che stiamo mettendo alla prova la modestia di Mr Faulkner». Faulkner ripeté l’elenco senza farselo dire due volte:

1. Thomas Wolfe
Ha avuto un gran coraggio, scriveva come se gli restasse poco da vivere.
2. William Faulkner
3. Dos Passos
4. Hemingway
Non ha coraggio, non ha mai rischiato. Non ha mai usato una parola che il suo lettore dovesse andare a cercare sul vocabolario.
5. Steinbeck
Una volta avevo grandi speranze per lui, adesso non so.

Ernest Hemingway non fu contento del quarto posto, soprattutto delle parole che Faulkner gli aveva dedicato. Così replicò:
Povero Faulkner, crede davvero che le grandi emozioni derivino dai paroloni? Lui pensa che io non conosca le parole da dieci dollari. Le conosco, eccome! Ma ci sono parole più antiche, più semplici e migliori. E sono queste che uso.

Dalla parte di William Faulkner
Interrogato sulla definizione di stile, William Faulkner rispose:
Io non m’intendo di stili. Credo che uno scrittore che ha dentro qualcosa che incalza sotto lo stimolo di uscire non ha tempo per preoccuparsi di uno stile. Se invece gli piace scrivere e non ha niente che incalzi, allora può darsi che diventi uno stilista.
Faulkner mentiva, un po’ perché si divertiva a prendere in giro i giornalisti che non gli stavano simpatici, un po’ perché gli piaceva pensarsi uno scrittore ispirato e inconsapevole. È evidente, leggendo uno qualsiasi dei suoi romanzi, che lo stile fosse il prodotto di scelte accurate. La scrittura di Faulkner è sovrabbondante ma sofisticata e procede per allegorie e simbologie (Una volta ebbe da dire anche su questo: «Per me viene prima la gente. Il simbolismo viene dopo»). Faulkner, inquadrato a meraviglia nella prefazione scritta da Fernanda Pivano per Luce d’agosto, era capace di scavalcare i generi, passando da: «(...) il brano lirico e il racconto fantastico, la descrizione poetica e lo humor popolare, la narrazione soggettiva e l’allegoria grottesca, la tenerezza e la volubilità, l’elegia e la turbolenza».
Faulkner scriveva di ciò che conosceva, del disastro che i codici sociali possono provocare quando cercano di assoggettare le leggi della natura. La capacità di raccontare il disagio della sua gente ha fatto di Faulkner uno dei capisaldi della tradizione letteraria del Sud degli Stati Uniti.

Le ragioni di Ernest Hemingway
«Il compito di uno scrittore», scrive Ernest Hemingway nella prefazione per un’antologia del 1942, «è quello di dire la verità». La verità, secondo Hemingway, non aveva bisogno di tante parole ma della “parola giusta” alla quale dedicava una ricerca maniacale, vagamente flaubertiana, che indirizzava in base ai temi che intendeva trattare: la lotta, il coraggio, la dignità. I protagonisti di Hemingway sono degli eroi, un po’ troppo machi a dispetto di donne un po’ troppo docili, ma semplici, schietti e sinceri. Nella prefazione che scrisse per i suoi Quarantanove racconti, Hemingway spiegò:
Andando dove devi andare, e facendo quello che devi fare, e vedendo quello che devi vedere, smussi e ottundi lo strumento con cui scrivi. Ma io preferisco averlo storto e spuntato, e sapere che ho dovuto affilarlo di nuovo sulla mola e ridargli la forma a martellate e renderlo tagliente con la pietra, e sapere che avevo qualcosa da scrivere, piuttosto che averlo lucido e splendente e non avere niente da dire.

Una specie di lieto fine
William Faulkner ed Ernest Hemingway erano scrittori eccezionali e oggi possiamo pensarli come i due poli della letteratura statunitense del XX secolo. Ma avevano in comune più di quanto si possa pensare: entrambi erano diventati scrittori grazie a Sherwood Anderson, entrambi avevano ricevuto il premio Nobel per la letteratura (Faulkner nel 1949, Hemingway nel 1954). Ci fu una volta, nel 1944, in cui William Faulkner scrisse la sceneggiatura per un film basato su un romanzo di Ernest Hemingway (Acque del sud diretto da Howard Hawks, ispirato dal romanzo To Have and Have Not).
Anche se s’incontrarono poche volte, continuarono a punzecchiarsi a distanza per parecchio tempo. Faulkner diceva che si divertiva a leggere Hemingway solo quando Hemingway era al suo meglio. Diceva che aveva un grosso difetto e cioè che quando lo rileggevi ti rendevi conto di quanto era stato bravo a ingannarti la prima volta. Hemingway rispondeva che Faulkner era un ottimo scrittore ma che quando cominciava una frase andava avanti, “on and on”, e non era in grado di fermarsi. Questi scambi facevano parte del gioco, quel gioco che inizia quando uno scrittore, troppo bravo e troppo famoso, finisce per interpretare se stesso. In realtà Hemingway definiva Faulkner “il migliore di tutti noi” e Faulkner ricambiava la stima con le stesse parole; si riconoscevano diversi e li motivava una sana competizione. La verità è che sia William Faulkner che Ernest Hemingway hanno provato – con occhi differenti – a raccontare il conflitto morale insito nell’uomo. Così la pensava Faulkner:
L’uomo è vittima di se stesso, o dei suoi compagni, o della sua natura, o del suo ambiente, ma nessuno è buono o cattivo. E sembrerebbe che sia questo il motivo per il quale uno scrittore cominci a scrivere: è il cuore che ha desiderio di essere migliore dell’uomo. È questo che intendo io per scrivere dal cuore.
Nel 1952, quando Harvey Breit chiese a Faulkner di commentare il nuovo libro di Hemingway, lo scrittore rifiutò. Qualche mese dopo, la rivista universitaria Shenandoah fece la stessa proposta e Faulkner decise di accettare, scrivendo quella che forse resta la recensione più appassionata che Hemingway abbia mai ricevuto. Il libro era Il vecchio e il mare.
Il suo meglio (...) Questa volta ha scoperto Dio, un Creatore. Finora, i suoi uomini e le sue donne si erano fatti da soli, si erano formati dalla loro stessa argilla; le loro vittorie e le sconfitte erano nelle loro mani, solo per dimostrare a sé stessi o a un altro quanto potevano essere duri. Ma questa volta ha scritto sul peccato: su qualcosa che da qualche parte ha fatto tutti loro: il vecchio che doveva catturare il pesce e poi l’ha perso, e il pesce che doveva essere catturato ed è stato perso, gli squali che dovevano derubare il vecchio del suo pesce; li ha fatti tutti e li ha amati tutti e ha provato pietà per tutti loro. È tutto giusto. Lode a Dio che qualunque cosa abbia fatto e ami e compatisca Hemingway e me gli ha impedito di toccarlo ulteriormente.


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Fonti:
Introduzione di Fernanda Pivano al romanzo Luce d’agosto di William Faulkner, 1974.
Storia della letteratura americana, Guido Fink. Rizzoli, 2013.
William Faulkner Reviews Ernest Hemingway’s The Old Man and The Sea, 1952.
Faulkner and Hemingway: Biography of literary rivalry, una conferenza di Joseph Fruscione.

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