Cliquot edizioni: le storie di ieri per i lettori di oggi

«Esiste una storia canonica della letteratura, e poi c’è Cliquot»: con uno slogan che è più una promessa la squadra di Cliquot edizioni si presenta ai lettori. Ho conosciuto Federico Cenci al Salone del libro di Torino e mentre stringevo la mia copia di Riso nero mi ha raccontato il progetto con un entusiasmo che ha acceso la mia curiosità. Romanzi, racconti, ma soprattutto recuperi. Ho chiesto a Federico di sviluppare il discorso in un'intervista, di spiegarci perché è così importante che alcune storie non vengano dimenticate. 

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Cliquot come Chevalier Cliquot. Chi era e perché pensate vi rappresenti?

Chevalier Cliquot era un mangiatore di spade che si esibiva nei circhi e nei teatri di vaudeville verso la fine dell’Ottocento. Era bravissimo, si era conquistato sul campo la fama di World's Greatest Sword Phenomenon per numeri molto particolari, come quello in cui si ficcava la spada nello stomaco per mezzo della spinta di rinculo del colpo di un fucile. Quando eravamo alla ricerca di un nome per la casa editrice e ci siamo imbattuti in lui, abbiamo capito subito che sarebbe stato la nostra mascotte. 
In fondo, ci sentiamo anche noi dei piccoli mangiatori di spade. Se ti infili una spada nell’esofago vuol dire prima di tutto che sei un po’ masochista, ma vuol dire anche che, per puro amore dell’arte (!), accetti l’eventualità di morire a causa di un piccolo movimento sbagliato. Anche una piccola casa editrice da poco sul mercato deve stare attenta a ogni minimo movimento che fa e rischia la vita ogni giorno. Al solo scopo di portare, per il breve tempo di una lettura, un po’ di magia nella vita dei lettori. Fra poche settimane partirà il nostro blog in cui chiacchiereremo in libertà, oltre che dei nostri libri, anche di tutto quanto ci passa per la testa, e uno dei primi articoli sarà appunto dedicato alla figura bizzarra e misteriosa di Chevalier Cliquot e al nostro legame con lei. Quindi per ora non svelo altro!

Quando nasce la casa editrice? Chi ha avviato il progetto?  

I nostri primi ebook sono usciti all’inizio del 2015, dopo uno studio e una preparazione di svariati mesi. Tutti i soci fondatori (siamo in quattro) hanno alle spalle una lunga gavetta nel mondo dell’editoria e hanno collaborato a vario titolo con diverse case editrici anche importanti, ma l’occasione che ha fatto scattare la scintilla è stata la partecipazione al Corso principe per redattori editoriali promosso da Oblique Studio di Roma, un corso di formazione molto intenso (e bellissimo, lo consigliamo a tutti!) che ci ha permesso, da un lato, di affrontare con maggior cognizione di causa il difficile lavoro editoriale, e dall'altro di incontrarci e di capire che eravamo pronti a metterci in gioco. 


Cliquot si definisce una casa editrice che punta al recupero. Cosa s’intende

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Il nostro obiettivo è la riscoperta di vecchie opere dimenticate che siano significative per il lettore di oggi. I libri possono finire nel dimenticatoio per tante ragioni che nulla hanno a che vedere con la qualità letteraria. Ci sono quelli che, pubblicati da un editore minore, sono stati stampati in poche copie e non hanno avuto la diffusione che meritavano; c’è la pletora dei libri stranieri che per qualche ragione non sono mai stati tradotti in italiano; oppure ci sono quei libri che all’epoca della loro prima uscita sono stati ignorati dai lettori e dalla critica perché troppo avanti per il loro tempo. Ci sono poi i libri dimenticati per via di mutamenti culturali, di stravolgimenti politici, e potrei continuare… 
Ci tengo a precisare che la nostra operazione non è di quelle che puntano soltanto a preservare la memoria storica delle vecchie opere. Noi vogliamo che i titoli che entrano nel nostro catalogo ricomincino a circolare, che si riapra il dibattito sul loro merito. Abbiamo anche una collana (la collana Generi) dedicata al recupero degli autori italiani che si sono dedicati alla letteratura popolare di genere (orrore, fantascienza, fantastico, giallo ecc.). Per via dell’ingiusta e aprioristica distinzione fra letteratura “alta” e “bassa” che è sempre stata dominante negli ambienti culturali del nostro paese, questi scrittori sono del tutto ignorati (al punto che di molti non si conoscono neppure le informazioni biografiche di base, come la data di nascita o di morte!), ma spesso sono bravissimi artigiani che con il loro lavoro hanno avuto un impatto non indifferente nello sviluppo letterario e culturale italiano.

L’idea di partenza era pubblicare esclusivamente in digitale: perché questa scelta?  

In realtà avevamo fin dall’inizio l’idea di tentare la strada del cartaceo, in via sperimentale, per la nostra collana Segni dedicata al fumetto e all'illustrazione: questo perché il medium fumetto, soprattutto quello dei decenni passati che noi ricerchiamo, è per sua natura legato al supporto per il quale nasce; tuttavia la diffusione delle nostre opere in digitale era, e rimane, uno dei nostri obiettivi fondanti. Intanto, il primo merito del digitale sul cartaceo è senza dubbio quello di rendere accessibile un’opera per sempre e in brevissimo tempo. Sempre nell’ottica che i nostri libri si diffondano e vengano letti e discussi il più possibile, il digitale è il mezzo che (almeno potenzialmente) ci consente di essere presenti subito e dappertutto. Ma non è tutto qui. La celebre frase di Marshall McLuhan «Il mezzo è il messaggio» è particolarmente vera nel caso di ebook e libro. Leggere un vecchio libro in un supporto moderno non è soltanto una diversa modalità di fruizione, o una nuova esperienza sensoriale, ma cambia la percezione stessa che si ha del contenuto del libro. Un esempio banale: l’ebook è letto più frequentemente in luoghi diversi da quelli del libro tradizionale (è più comodo in viaggio, per esempio, o negli spostamenti di lavoro), e certi contenuti possono funzionare molto meglio in un contesto anziché in un altro. Nella nostra collana Biblioteca, quello di avere libri dalla forte potenza evocativa di immagini (che rimangono più impresse in un contesto caotico come, per esempio, uno spostamento in metropolitana) è uno dei criteri di selezione. 
Alla fine, comunque, l’esperimento ci ha fatto capire che il cartaceo dà ancora oggi molta più visibilità, il titolo stampato paradossalmente circola ancora molto meglio e molto più facilmente dell’ebook e di conseguenza se ne parla di più. È soprattutto la sua consistenza fisica, il suo esistere in quanto oggetto che può essere posseduto e passato di mano la forza del libro tradizionale. E, alla fine, ci sembra anche che grazie a questa consistenza fisica il nostro lavoro acquisti maggiore concretezza. Per questo abbiamo in mente di proseguire su questa strada. 

I lettori di libri digitali sono diversi dai lettori di carta? Quali sono le loro esigenze? 

Secondo la nostra esperienza, i lettori digitali sono un piccolo sottoinsieme dei lettori di carta. Sono, sostanzialmente, i cosiddetti lettori forti che suddividono la loro spesa fra cartaceo e ebook per esigenze economiche e di spazio. Non esistono, o sono pochissimi, i lettori di ebook “puri”. Io lo sono stato per un certo periodo, sulla scia dell’entusiasmo dopo l’acquisto del mio primo e-reader anni fa, ma col tempo sono tornato ad acquistare con piacere anche il cartaceo, e adesso la mia spesa è ripartita abbastanza equamente fra le due soluzioni. 
Come editori stiamo riscontrando che l’esistenza stessa del cartaceo fa anche un po’ da traino alla diffusione dell’ebook. Forse perché il ragionamento del lettore può essere del tipo: «Adesso provo l’ebook, se poi dovesse piacermi particolarmente mi prendo anche il cartaceo». Viceversa, i titoli che escono solamente in ebook circolano di meno perché c’è ancora un po’ il pregiudizio diffuso – per nulla campato in aria – della scarsa qualità degli editori digitali, alimentata dalla nefasta presenza di editori improvvisati, imprenditori senza esperienza nel settore che tentano la strada dell’ebook perché attratti da un investimento iniziale non troppo elevato e una filiera produttiva più corta e semplice da gestire che non nel cartaceo.  

All’ultima edizione del Salone del libro di Torino avete presentato i vostri primi due titoli cartacei e inaugurato la collana Segni. Ce ne parli? Cosa cambierà rispetto al progetto iniziale? 

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Per la collana Segni abbiamo recuperato una bellissima versione a fumetti di Pinocchio realizzata nella metà degli anni Settanta da Sandro Dossi e Alberico Motta, grandi maestri del fumetto umoristico e autori di splendide storie legate a personaggi memorabili come Geppo, Braccio di Ferro, Nonna Abelarda e Gatto Felix. Abbiamo potuto realizzare il libro grazie a una fortunata campagna di crowdfunding che non solo ha riscosso un buonissimo interesse fra i collezionisti e gli appassionati (che si potevano portare a casa anche disegni e tavole originali degli autori), ma che ha persino ricevuto il plauso di autorità del fumetto come Leo Ortolani, Alfredo Castelli e Luca Boschi – quest’ultimo così affascinato dal progetto che ne ha voluto curare l’introduzione. Belle soddisfazioni, per una piccola realtà come la nostra. 
L’altro titolo cartaceo che abbiamo portato al Salone è stato il romanzo Riso nero di Sherwood Anderson, quarto numero della nostra collana Biblioteca. Questo libro è un po’ l’emblema di tutto il nostro progetto: Sherwood Anderson è un autore davvero grandissimo, piacevolissimo da leggere, la cui influenza si estende su scrittori del calibro di Hemingway, Faulkner e Carver, eppure in Italia è molto marginalizzato, e francamente non se ne capisce la ragione. Riso nero in particolare fu fortemente voluto da Pavese all’epoca della sua prima uscita nel 1925, e il libro, inizialmente pubblicato da Frassinelli nel 1932, è entrato negli anni nel catalogo di grandi editori come Einaudi e Adelphi, per poi scomparire dalle librerie negli ultimi tempi. Al Salone il titolo è andato particolarmente bene, merito anche di una splendida presentazione di Stefano Gallerani, curatore della prefazione.
Cosa cambierà con il cartaceo rispetto al progetto iniziale? Difficile dirlo ancora: certamente stiamo rivedendo un pochino il nostro piano editoriale a medio termine, visto che le uscite dovranno essere un po’ più diradate, ma lo spirito si manterrà intatto. 

La traduzione di Riso nero è stata affidata a Marina Pirulli. La precedente edizione del romanzo, fuori catalogo da diversi anni, era stata tradotta nel 1932 da Cesare Pavese. Come ha affrontato questo impegno e quali differenze potremmo riscontrare nella lettura? 

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Marina non ha guardato per niente la versione di Pavese mentre scriveva la sua, per non rimanerne influenzata. Alla fine del lavoro, però, abbiamo messo i due lavori un pochino a confronto e sono saltate fuori delle cose molto curiose. Parlare male della traduzione di Pavese (benché sia ormai risaputo che non eccelse in questo ambito) sarebbe inelegante e anche ingiusto. Del resto fare una traduzione nel 1932 non è come farla oggi, quando si hanno a disposizione strumenti che una volta erano pura fantascienza. Tuttavia è un fatto che Pavese abbia preso diversi abbagli (nonostante l’aiuto chiesto ad amici: esistono alcune interessanti lettere indirizzate all’italo-americano Anthony Chiuminatto in cui lo scrittore chiede lumi sul significato di questo o quel passo del libro), per esempio su espressioni slang che, essendo ormai entrate nell’uso, per noi sono abbastanza banali. E poi, naturalmente, c’è il discorso della lingua che si trasforma e invecchia, e una traduzione di oltre ottant’anni fa risente per forza di cose del tempo trascorso. Ma a parte le pecche che può avere la vecchia versione, ci tengo a soffermarmi un attimo sulla nostra nuova. Marina è una professionista (che abbiamo strappato a Mondadori e altri editori) dotata di grande esperienza e sensibilità e non potevamo fare una scelta più azzeccata affidandole un testo così importante. Il libro ha una struttura molto complessa, con la presenza frequente di flashback e flussi di coscienza, ci sono significativi riferimenti letterari (a Twain e Joyce, per esempio) o rimandi al folklore afroamericano dell’epoca, tutte caratteristiche che Marina ha saputo rendere, oltre che correttamente, anche con una fluidità e un’eleganza rare. 

Da lettore, consigliaci un titolo Cliquot che ti è piaciuto un po’ più degli altri. Perché dovremmo leggerlo?

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Mi viene dal cuore proporre il nostro primo libro della collana Biblioteca: La cosa marrone chiaro e altre storie dell’orrore
di Fritz Leiber, fra l’altro il nostro best seller del 2015. Chi ama la letteratura fantastica conosce senz’altro Fritz Leiber (1910-1992), scrittore di punta nei generi fantascienza, fantasy e horror per tutta la seconda metà del Novecento. È uno di quegli autori la cui notorietà è confinata alla letteratura di genere, ma che al pari di Bradbury o Matheson meriterebbe di essere apprezzato come scrittore tout court. L’operazione che abbiamo fatto per questo libro è una di quelle che, secondo me, soltanto un piccolo editore, con pazienza, passione e testardaggine può riuscire a realizzare. Con le opere di Fritz Leiber, ciò che è avvenuto in Italia dal punto di vista editoriale lo si potrebbe paragonare a quello che succede nella pesca d’alto mare: i grandi editori sono stati un po’ come quei pescherecci che gettano le reti a strascico per chilometri e tirano su quello che capita. Non si accorgono però che tra le maglie della loro rete può sfuggire qualche pesciolino raro e pregiato che starebbe benissimo nella tavola dei palati più fini. I racconti antologizzati nel nostro libro sono il frutto di una lunga e laboriosa ricerca (condotta anche negli Stati Uniti!) fra tutti i testi di Leiber sfuggiti ai radar dei grandi editori italiani. Abbiamo recuperato racconti usciti negli anni Quaranta nella mitica rivista Weird Tales, storie vincitrici di premi, racconti pubblicati in oscure fanzine e mai ripescati da nessuno. Quello che ne è venuto fuori è una selezione che ripercorre per intero la carriera artistica di Leiber ed è senza dubbio uno dei migliori libri dell’autore che sia mai uscito nel nostro paese!



Commenti

  1. Fritz Leiber è sommo.
    Ho incontrato anch'io Cliquot a Stranimondi, ma non ci siamo avvicinati sufficientemente (o forse la sacca era già piena). Anche perché, in effetti, mi sembra che non avessero nulla di cartaceo... Certo è che ci sono già due o tre titoli che mi sono segnato e spero di aver modo di leggere.
    Bella intervista. :)

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  2. Cliquot è una delle realtà più interessanti degli ultimi tempi e, a modo mio, ho già avuto modo di far sapere a Federico quanto ho apprezzato il lavoro suo e di tutti gli altri redattori. Quest'anno non sono stato a Torino ma spero di conoscerlo di persona a Stranimondi il prossimo autunno.

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    1. Ah! Ma allora ricordavo bene, che avevi recensito una delle loro pubblicazioni, a seguito di Stranimondi? Quest'anno allora me li presenti! ^^

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    2. Avevo recensito la raccolta di racconti di Marrama, ma era stato prima di Stranimondi. Federico l'ho conosciuto molto più di recente: era finito non so come sul mio blog, aveva letto la recensione e mi aveva contattato per dirmi che gli era piaciuta. Dopodiché ovviamente l'ho intervistato...

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  3. Sono contenta che abbiate apprezzato l'intervista. Scelgo con attenzione le voci che ospito qui e il progetto Cliquot mi è sembrato perfettamente in linea con le mie intenzioni di "condividere ciò che di buono c'è".

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  4. Arrivo un po' in ritardo ma ci tenevo anche io a farti sapere che ho molto apprezzato questa intervista :) Tra l'altro, di Cliquot mi piacciono moltissimo le copertine: una scelta grafica particolare e molto riuscita.

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    1. Grazie, ma il merito è tutto di Federico, così attento e generoso nelle sue risposte. Bei tipi loro.

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