La mercificazione a basso costo della nostalgia | John Barth

Qui ci si trova davanti a un bizzarro fenomeno per il quale gli artisti si strappano i capelli, per quanto sia del tutto comprensibile e, fino a un certo punto, perdonabile. Chiunque di voi si sia trovato ad attraversare l'Olanda si sarà abbattuto in negozi di souvenir stracolmi di zoccoli di legno in miniatura e di mulini a vento di ceramica scadente così come gli stessi negozi della baia di Chesapeake sono pieni di germani reali in stampe di pessima fattura, o di imitazioni dei richiami per le oche e di così tante cianfrusaglie con sopra l'immagine di erbe palustri e di barche per la pesca delle ostriche, spesso rese in modo così rozzo e pacchiano da far venir voglia di decollare all'istante per Honolulu o Montreal, o perfino alla volta dell'Ohio, dove gli abitanti praticamente non hanno mai sentito parlare di cose del genere [...]. Ma la faccenda più bizzarra è che i maggiori acquirenti di questa paccottiglia sentimental-pittoresca, dopo i turisti, sono le persone del posto. Si dà il caso che gli olandesi amino svisceratamente le proprie dighe e i propri mulini a vento e gli zoccoli di legno e i tulipani; al punto che, anche quando la fattoria olandese è circondata da tulipani veri, all'interno sarà probabilmente abbellita da tulipani di plastica che spuntano da imitazioni di Klompen in finta maiolica di Delft importati da Hong Kong. [...] Quello che manda ai pazzi un artista non è certo questa innocente passione che la gente nutre per la cultura della propria terra, anche quando quella cultura è stata banalizzata, volgarizzata e sfruttata commercialmente da gente di fuori o magari da gente del posto (spesso tra i peggiori colpevoli). L'artista si strappa i capelli, o quantomeno alza gli occhi al cielo, quando la gente prende quello schifo per roba di qualità: quando perde di vista la differenza tra una dignitosa, genuina polpetta di polpa di granchio, per esempio, e la versione di terza categoria della stessa specialità [...]. Una cosa di terza categoria è di terza categoria – non importa quanto siano sofisticate la confezione e la promozione. Se a noi piace il nostro territorio, tendiamo anche a provare piacere quando qualcosa ce lo fa ricordare. Dovremmo indignarci per le rappresentazioni dozzinali che ne troviamo nei romanzi o nei film o nelle serie televisive – ma ahimè, la maggior parte di noi ne sa di più riguardo ai pesci e ai molluschi della zona, e al proprio normale mestiere quotidiano, qualunque esso sia, di quanto ne sappiamo riguardo al linguaggio degli esseri umani in cui si possono esprimere il cuore umano, lo spirito umano, le umane passioni dei nostri consimili, uomini e donne. Così, invece di trasformare in qualcosa di virtuoso un romanzo-fermacravatta – ad esempio, usarlo per tenere aperta una porta – è più probabile che ci troviamo a pensare: «Ma vedi, accipicchia, questo l'ha azzeccato: lo sloop ha un albero solo mentre il bugeye per la pesca delle ostriche ne ha due», e ci si sente quasi orgogliosi di vederlo stampato lì, in un bestseller. Che Dio ci perdoni e ci assista.
(da L’algebra e il fuoco di John Barth. Minimum fax, 2013. p.82-91. Traduzione di Martina Testa)


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