L'eternità eterna di William Faulkner

Ho una pessima memoria. Perdo, dimentico. Mi distraggo, riesco a trattenere appena la metà delle informazioni che ricevo. Le figure retoriche, per esempio, le avrò studiate mille volte: figure di significato, figure di pensiero. Allitterazione, chiasmo, diafora, ellissi, iperbato. E l'ossimoro. «L'ossimoro è una figura retorica che consiste nell'accostamento di due termini di senso contrario o comunque in forte antitesi tra loro». Mi viene in mente qualcosa che può essermi utile per spiegare qualcos'altro. Prima che me ne dimentichi, appunto una nota a margine sul libro che sto leggendo. Scrivo: l'ossimoro condanna William Faulkner. Prendo la mia copia del romanzo L'urlo e il furore e sfoglio la prefazione scritta da Emilio Tadini nel 1997. Cerco un passaggio preciso. Leggo:
Passa dal tono alto al tono basso, questa scrittura. Dall'iperbolico all'elementare. Dal quotidiano all'eterno. Dal lungo, avvolto, al breve, al rettilineo. [...] È una scrittura, quella di Faulkner, capace di rappresentare in modo chiaro e distinto le cose — i nomi — che si conoscono per averli sperimentati. Ma, nello stesso tempo, sulla stessa pagina, è anche una scrittura che si sforza di rappresentare le figure che ondeggiano confusamente dentro le prospettive vertiginose che si mettono in movimento non soltanto quando sogniamo, ad occhi aperti o chiusi, ma anche, e forse soprattutto, quando abbiamo semplicemente paura, non di qualcosa, paura e basta, e allora, per un momento, quella paura cerchiamo di pensarla, e il pensarla ci porta, comunque, misteriosamente, dalle parti di qualche grandezza. [...] È una scrittura, quella di Faulkner, che ha qualcosa di tipicamente americano. [...] la questione è che Faulkner è "fuori moda" da un bel po'. Anche negli Stati Uniti.
Emilio Tadini fotografa una situazione, alla fine anni '90, valida ancora oggi. Ma è una verità che non mi spiego, perché piena di contraddizioni. La prima è questa: una scrittura, tipicamente americana, dimenticata dagli americani. E poi: Faulkner, uno scrittore che esplora le motivazioni della vita e del mondo, che racconta di paura, paura ancestrale, ad occhi aperti o chiusi, diventa obsoleto. Come può una scrittura eterna finire fuori moda?


William Faulkner scrisse Mentre morivo nell'estate del 1929, in sei settimane, «nelle ore di minor lavoro, tra la mezzanotte e le quattro del mattino, usando come tavolino una carriola capovolta». In quel periodo lavorava come fuochista presso la centrale elettrica dell'Università di Oxford, uno dei tanti impieghi che fu costretto a svolgere per arginare i suoi problemi economici. La scrittura non riuscì a compensare i suoi debiti fino al 1931, quando pubblicò Santuario, un romanzo sulla corruzione che fece scandalo, e — come accade in questi casi — ebbe molto successo. Mentre morivo è il secondo libro (il primo fu L'urlo) ambientato a Yoknapatawpha, la contea immaginata da Faulkner a sud degli Stati Uniti.

La trama è semplice: Addie Bundren muore, e la famiglia (marito e cinque figli) affronta un viaggio per soddisfare il suo ultimo desiderio; Addie ha chiesto di essere seppellita nella capitale, a Jefferson, accanto ai suoi genitori. A questa linearità di contenuti si contrappone lo stile dinamico di Faulkner. La storia è un sunto di testimonianze, e ogni personaggio racconta (si racconta), secondo un punto di vista più o meno attendibile. Alcune frasi, poco più che pensieri, spuntano tra un fatto e l'altro; come mormorii, che sfumano in una realtà sempre più relativa. Leggendo Faulkner siamo costretti a misurarci con l'indefinito, che ci intimorisce proprio perché non ha forma: fantasmi, ombre, sussurri di lucida pazzia.
Certe volte non sono tanto sicuro di chi ha il diritto di dire quando uno è pazzo e quando no. Certe volte penso che nessuno di noi è del tutto pazzo e nessuno è del tutto normale finché il resto della gente lo convince a andare in un senso o nell'altro. È come se non fosse tanto quello che uno fa, ma com'è che lo guarda la maggioranza di noi quando lo fa.
Una scena del film As I lay dying — Fonte

Nel 2013 James Franco ha diretto As I lay dying, la trasposizione del libro. Alcune scene, riprese da angolazioni diverse, appaiono, una accanto all'altra, nello stesso momento. Penso che dividere lo schermo a metà, presentare una sequenza secondo due prospettive, fosse il suo modo di interpretare quel flusso di pensiero che Faulkner ricreava attraverso la scrittura. Ma il film non è il libro, e Franco non è Faulkner.
Il fienile è ancora rosso. Prima era più rosso. Poi si è messo a turbinare, facendo scappare all'indietro le stelle senza che cadessero. Mi faceva male al cuore come il treno.
Che leggiate la storia della famiglia Compson, o il viaggio dei Bundren, non fa differenza: la sensazione, la stessa, è quella di scorgere qualcosa che è prossimo al senso dell'esistenza. Se davvero esiste, un senso, è quello di cui scrive Faulkner. È come se riuscisse ad attingere dal cielo e dalla terra, dal paradiso e dall'inferno, non-luoghi di assoluto bene e infinito male. Quel confine, così labile, tra religione e superstizione. Faulkner è capace di tramutare in parole un disagio che non riguarda soltanto noi, adesso, ma che è sempre esistito, e sempre esisterà. Una disperazione, senza principio né fine.

Qualcosa ci appartiene più di questo? Qualcuno, più di Faulkner?



***
Mentre morivo
, William Faulkner. Adelphi, 2000. A cura di Mario Materassi.

Commenti

  1. Vedo che, come al solito, Faulkner è per te fonte di grande ispirazione.
    Io non ho trovato riferimenti, durante la lettura di "Mentre morivo " a questa fantomatica Contea. Ero distratta, forse?

    Paola C. S.

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    1. Lui, per me, è come dovrebbe essere un vero scrittore. Ecco perché mi interessa poco sapere altro, al di fuori delle storie che leggo. E no, non sei distratta (tu non sei programmata per essere distratta!): Jefferson è la capitale di Yoknapatawpha :)

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  2. ho letto l'urlo e mi è piaciuto moltissimo, per quanto sia un vero pugno nello stomaco e alla fine mi sia sentita come tradita dalla amarezza di certe realtà. mentre morivo allora entra nella infinita lista dei libri da leggere

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    1. L'urlo è uno dei miei libri preferiti, in assoluto. Ricordo esattamente tutto quello che ho provato la prima volta che l'ho letto (e tutte le volte che lo rileggo). Mentre morivo è più facile da seguire, meno complesso. Non allo stesso livello de L'urlo, forse, ma la vena "dannata" è quella.

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  3. Bella analisi. Quando scrivi che leggendo Faulkner siamo costretti in qualche modo a misurarci con l’indefinito, ossia con ciò che di impalpabile si agita dentro di noi (guizzi emotivi, rimescolamenti viscerali, impressioni altalenanti o folgoranti), sintetizzi e illustri al massimo l’essenza di questa e di altre sue opere.

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    1. Ci proviamo :) Lo sai meglio di me che definire lo stile di Faulkner è come prendere le misure alla nebbia.

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