La poesia di Ben Lerner nel mondo a venire

Jeanne d’Arc di Jules Bastien-Lepage è un dipinto a olio del 1879
In alto a sinistra, nel dipinto, si librano tre angeli traslucidi. Hanno appena chiamato Giovanna, che stava lavorando al telaio nel giardino dei suoi genitori, a salvare la Francia. Un angelo si tiene la testa fra le mani. Giovanna sembra barcollare verso lo spettatore, alzando il braccio sinistro, forse per cercare un sostegno, nell’estasi della chiamata. Invece di afferrare rami o foglie la sua mano, che è attentamente collocata lungo l’asse visivo di uno degli altri angeli, sembra dissolversi nel nulla. Il cartello del museo dice che Bastien-Lepage fu aspramente criticato per non aver saputo conciliare l’evanescenza degli angeli con il realismo del corpo della futura santa, ma è proprio questo «difetto» che lo rende uno dei miei dipinti preferiti. È come se la tensione fra il mondo metafisico e quello fisico, fra due ordini di temporalità, producesse un’imperfezione nella matrice pittorica: lo sfondo le inghiotte le dita. Mentre ero lì quel pomeriggio con Alex, mi tornò in mente la foto che Marty porta con sé in Ritorno al futuro, film fondamentale della mia adolescenza: man mano che i viaggi nel tempo di Marty sconvolgono la preistoria della sua famiglia, lui e i suoi fratelli cominciano a svanire dall’istantanea. Solo che qui è una presenza, non un’assenza, a mangiare la mano della donna: la stanno trascinando dentro il futuro.
La lettura, per come la penso io, è un gioco. Il gioco inteso come attività d’intrattenimento a scopo ricreativo. Questo non toglie niente ai piccoli e grandi attimi di catarsi che ricorrono nelle nostre esperienze di lettura. Giocare è una cosa molto seria. La lettura è un gioco a due tempi. I giocatori sono sostanzialmente due. Lo scrittore stabilisce le regole, traccia le linee di confine, copre le trappole, gestisce le ricompense. In quel momento, lui sta giocando. Il suo gioco consiste nell’anticipare le reazioni del lettore: lo scopo dello scrittore è costruire un percorso e lasciare al suo avversario quel margine d’azione che tanto gli basta per indurlo a credere di essere libero di scegliere la direzione. Ma chi è il lettore? Come (re)agirà? Il gioco dello scrittore è un gioco difficile. Il lettore non è parte meno attiva: al suo turno, si diverte a interpretare le azioni dell’autore e a trarre il senso della storia. Il lettore completa il libro, lo rende possibile, in uno dei mille modi possibili, e lo fa attribuendogli la sua cognizione di verità.

Ben Lerner è un ottimo compagno di giochi: intelligente, scaltro e divertente. Giunti alla seconda pagina del libro già vi anticipa quello che succederà, che è un po’ come dire: gioco a carte scoperte. Te la faccio facile. E il lettore, che qualche volta è parecchio sicuro di sé, sente di avere in mano la partita. Ma facile non sarà, perché sarete così presi dalla lettura da non rendervi conto che voi, «voi, al margine estremo della finzione letteraria», state facendo esattamente il suo gioco.
Mi proietterò in diversi futuri simultaneamente (...) con un lieve tremolio della mano; mi imbarcherò in un percorso dall’ironia alla sincerità nella metropoli che sprofonda, come un aspirante Whitman della vulnerabile rete.
Quello che accade, accade a uno scrittore trentenne che ha pubblicato un racconto sul New Yorker. Ha ottenuto un grande e inaspettato successo, tant’è che gli è stato riconosciuto un sostanzioso anticipo per dilatare il racconto in un romanzo. La sua amica Alex vuole che lui l’aiuti a concepire un figlio attraverso la fecondazione assistita e la richiesta di paternità solidale giunge allo scrittore di fronte alla Giovanna d’Arco di Bastien-Lepage, al Metropolitan Museum. Questo, in una New York aggredita da violenti uragani investiti di apocalittiche aspettative, che contribuiscono a infondere nella popolazione un stato di tensione latente. 10:04, il titolo originale del romanzo, è l’ora che caratterizza una delle scene più celebri di Ritorno al futuro: alle 10:04 la scarica di un fulmine colpisce la torre dell’orologio del municipio e permette a Marty McFly di lasciare gli anni cinquanta e di tornare al suo tempo, nel 1985.

Nel mondo a venire è un gioco di percezioni stratificate. Al primo livello apprendiamo la propriocezione: la capacità di percepire e riconoscere la posizione del nostro corpo nello spazio. Al secondo livello incontriamo altri sé, e ci troviamo a gestire il nostro percepire noi stessi, il loro percepirsi, e le relazioni tra le due sensazioni. Al terzo livello raggiungiamo l’ambiente circostante: gli oggetti, prima, e poi la natura. L’ultimo livello si trova in un tempo che non è il nostro; impariamo a essere qualcun altro, qualcuno che ha vissuto o che ancora deve iniziare a vivere. O noi stessi, nel mondo che deve venire.
Su una stradina acciottolata che finiva all’improvviso senza sbucare da nessuna parte, una sorta di complotto fra i mattoni dei palazzi, l’aria fredda e la luce a gas dei lampioni gli diede per un attimo la sensazione di aver viaggiato all’indietro nel tempo, o di vivere in due epoche distinte sovrapposte, due realtà temporali accavallate. No: era come se la fiammella del lampione a gas davanti al quale si era fermato stesse bruciando contemporaneamente nel presente e in diversi passati, nel 2012 ma anche nel 1912 o nel 1883, come se fosse un’unica fiamma che guizzava simultaneamente in ciascuna di quelle epoche, collegandole.
I livelli si mescolano, la realtà si riavvolge, i mondi esistono a partire da altri mondi. Le parole si rincorrono: una frase detta da qualcuno vi sembrerà di averla già sentita da qualcun altro. Anche la scrittura cambia: cambiano i tempi verbali, cambiano i soggetti. Quello che era è quello che sarà, e loro siamo diventati anche noi. È «una sorta di plagio palinsestico che attraversa i corpi e il tempo, un canto collettivo senza una singola origine, o la cui origine è stata cancellata – così come a una stella, vista dalla nostra prospettiva terrestre, spesso sopravvive la sua luce».

Ben Lerner ha scritto un romanzo brillante, ha concepito una struttura che gli permettesse di condurre la partita e di far scattare il meccanismo soltanto alla fine. Ha giocato con eleganza e ironia. E ha utilizzato la poesia, che è il mondo da cui proviene, perché la sua storia può muoversi in qualunque direzione. Perché ogni verso si può leggere in mille modi.
Poi immaginò il suo narratore di fronte a quel lampione, immaginò che il lampione attraversasse mondi e non solo anni, che l’autore e il narratore, pur non potendo guardarsi in faccia, potessero intuire la presenza l’uno dell’altro guardando la stessa luce, in una sorta di corrispondenza.


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Nel mondo a venire, Ben Lerner. Sellerio, 2015. Traduzione di Martina Testa.

Commenti

  1. ok, ci sono cascato un'altra volta. appena ho finito gli uomini schifosi, comprerò questo...

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    1. Male che vada lo archiviamo come materiale didattico! ;)

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  2. La prima volta che ho provato a leggerlo non sono arrivata nemmeno a metà e ho deciso di lasciarlo perdere,mi sembrava privo di senso/costrutto. Poi ho deciso di dargli una seconda possibilità e per qualche strana alchimia l'ho adorato. Direi che è uno dei libri più interessanti(e ben scritti!)letti di recente. Tra lui e Wallace direi che siamo sulla stessa lunghezza d'onda in quanto a libri :). Marta

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    1. Ciao Marta, sono contenta del tuo commento perché anch'io nella prima parte (facciamo nelle prime venti pagine) non sapevo quanto effettivamente mi stesse piacendo. Poi è andata sempre meglio. Sottoscrivo tutto quello che hai detto: interessante e ben scritto. È la stessa impressione che ho avuto io, che ho tradotto con "brillante".

      Wallace, oddio, lui per me è categoria a parte, nel bene e nel male.
      A presto :)

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