Last days of California di Mary Miller

Jess ha quattordici anni. È in viaggio con suo padre, sua madre e sua sorella maggiore, la bellissima e problematica Elise. Sono diretti in California per assistere alla Seconda Venuta di Cristo. «Presto le sofferenze cesseranno», Fratello Marshall ne è sicuro. Il padre di Jess, un credente granitico e risoluto, ha deciso di lasciare l'Alabama e portare tutta la famiglia in California: lì si incontreranno le anime salve, quelle che hanno vissuto nella rettitudine in attesa del Giorno del Giudizio. Il viaggio è, tra le altre cose, una buona occasione per convertire più persone possibili. 

Ogni capitolo di Last days of California è dedicato a un giorno, e ogni giorno la ragazzina ci presenta gli interpreti che prendono parte a questo cammino di fede. Alternandosi tra pompe di benzina e fast food, nutrendosi di quel cibo ricco di grassi che riempie di niente, la famiglia percorre chilometri di asfalto polveroso osservando i propri pensieri affollarsi sul finestrino. 

Il romanzo on the road di Mary Miller abbraccia due dimensioni: il microcosmo, la famiglia, nella quale tutti sono troppo concentrati su se stessi per vedere i problemi degli altri, «questa famiglia sta andando alla deriva», e il macrocosmo, la comunità, i fratelli. La religione come minaccia e come scampo. Questa è la trama che ho preferito, la strada parallela che costeggia la storia di Jess. Un argomento a cui avrei voluto l'autrice desse maggior risalto, perché il libro mi è piaciuto, ma avrebbe potuto essere migliore.

Last-days-of-California-Miller-scratchbook
Mary Miller nasce come scrittrice di racconti e questo, nel suo romanzo d'esordio, si percepisce. Gli scrittori di racconti hanno un passo diverso rispetto a quello dei romanzieri. Loro ci mettono sempre il punto tra un passaggio e l'altro, come a fermare un pensiero che sembra bastare a se stesso. Ogni capitolo di Last days of California, ogni paragrafo che contiene, rivela una piccola storia, qualcosa che si conclude ma che non si esaurisce mai. Questo è un modo di raccontare che mi piace moltissimo. E mi piace l'intelligenza con la quale la Miller sceglie le parole, il taglio con cui le stesse aderiscono ai personaggi. I personaggi mi piacciono meno perché, se la scrittura della Miller è fresca e interessante, i protagonisti ricalcano qualche stereotipo che abbiamo già incontrato parecchie volte in altrettanti libri.

Sebbene la prima attrice del romanzo sia Jess, l'adolescente che vive la sua epifania in un pellegrinaggio a cui non sente di appartenere, il percorso che più mi ha affascinato è stato quello di suo padre. È lui, secondo me, che compie un vero processo di rinnovamento. Jess ammette di non essere di sicura, non sempre e non del tutto, ma prega, prega quasi ogni giorno, e lo fa perché ha il timore di essere punita se e quando, quello che forse esiste, si paleserà. Nonostante sia piena di paure e contraddizioni, Jess è molto più consapevole di suo padre che c'è, ma è come se mancasse in ogni momento.
Ogni volta che mi tocca, con la mano fa su e giù, su e giù, come se gli risultasse difficile mantenere il contatto per più di un secondo alla volta. 
Il padre, rivolgendo tutto se stesso a questa missione, aveva perso ogni percezione, ogni desiderio. Pensando che crederci, crederci tutti insieme, fosse abbastanza. Di cos'altro aveva bisogno la sua famiglia? E lui? 

In alcune realtà la religione ha molto a che vedere con il fanatismo. L'esasperazione esalta lo spirito, ma è una fiamma che brucia senza risplendere. È come se l'atto di credere fosse più che sufficiente, come se togliesse loro — loro, i religiosi fanatici — parte di quella responsabilità che hanno verso se stessi, come custodi della propria vita. Fidarsi (e affidarsi) è l'unico compito che sentono di dover assolvere perché, se si comporteranno bene, Qualcuno si prenderà cura di loro. Sono persone certe della causa a cui si sono votati e in nome della stessa si sacrificano totalmente, al punto da scordarsi di esistere, al punto che neanche morire è così importante. Sono accecate da una luce, seppur fioca, di un'ipotetica ricompensa, che si presenta sempre più grande, sempre più inimmaginabile. 
È questo il mio problema, non ho immaginazione, non oso immaginare niente al di fuori di quello che conosco. Come funziona il tempo, per esempio. I minuti. L'attesa. Quanto può essere lungo un giorno. La mia più grande paura è che le cose vadano avanti all'infinito, senza mai fermarsi. L'idea che qualcosa duri "per sempre" mi terrorizza, anche se fossi in paradiso e fosse tutto bellissimo. Prima o poi dovrà pur finire. Quando voglio spaventarmi, la sera a letto, mi ripeto in testa per sempre, per sempre, per sempre, per sempre finché non impazzisco. 

***
Last days of California, Mary Miller. Edizioni Clichy, 2015. Traduzione di Sara Reggiani.

Commenti

  1. Nei prossimi giorni ne scriverò anch'io.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Attendo, che su questo libro ne ho sentite parecchie, sia in un verso che nell'altro.

      Elimina

Posta un commento