Brevi interviste con uomini schifosi. Merito e responsabilità

L'unico modo per capire un autore è leggerlo, leggerlo ancora e il più possibile, finché non riesci a trovare le giuste connessioni, finché non sei in grado di interpretare le sue intenzioni così come lui le aveva concepite. È l'occhio che cambia, che si allena per trovare la giusta prospettiva. Da dove filtra la luce? 

In generale e ancora di più per David Foster Wallace. I lettori wallaciani si distinguono in due gruppi: ci sono quelli che vantano di capirlo senza alcun problema, che loro, e qualche altra, rara, persona sulla faccia della terra, non hanno difficoltà a rapportarsi alla narrativa dell'autore, che Wallace lo puoi comprendere solo se ragioni come lui. Questi, qualche volta, vanno in giro con una bandana, si fanno crescere i capelli e iniziano a parlare difficile. Questi, di solito, non hanno capito niente. Poi ci sono quelli che lo ammettono: leggere Wallace è complicato. Io, per esempio. È complicato perché complicato era il suo modo di esporre, direttamente collegato al suo più complesso modo di pensare. Talmente complicato che una delle critiche che più spesso gli veniva rivolta era che fosse autoreferenziale e spocchioso, che si "prendesse gioco del lettore" e che lo incantasse con la sua cultura — questa, palese e fuori discussione. Io no, per esempio. Io penso che lui volesse, più o meno consapevolmente, selezionare il suo pubblico. È un po' quello che facciamo anche noi: scegliere, capire se la persona che abbiamo di fronte può meritarci. Se sentiamo di poterci fidare, noi ci doniamo senza riserve.

C'è qualcuno, in questo caso Zadie Smith nell'introduzione alla raccolta Brevi interviste con uomini schifosi, che lo spiega meglio di me.  
Brevi interviste è di per sé il risultato di due doni enormi. Il primo di ordine pratico: il premio conferito dalla MacArthur Fellowship. Un dono di quella portata contribuisce a liberare uno scrittore dalla logica di mercato, e forse anche da quel vincolo che Dave stesso definiva post-industriale: il costante bisogno di piacere. Il secondo era un dono più complesso. Si trattava del suo talento, di una grandezza talmente smaccata da confondere le idee: perché un giovanotto così dotato dovrebbe creare opere così ostiche e complesse? Ma la prospettiva dell'economia del dono va ribaltata. In una cultura che priva quotidianamente della capacità di usare l'immaginazione, il linguaggio e il pensiero autonomo, una complessità come quella di Dave è un dono. Le sue frasi ricorrenti, meandriche, richiedono una seconda lettura. Al pari del ragazzino che aspetta di tuffarsi, la loro osticità spezza «il ritmo che esclude il pensiero». Ogni parola che cerchiamo sul dizionario, ogni tortuosa nota che seguiamo a piè di pagina, ogni concetto che mette a dura prova cuore e cervello: tutto contribuisce a spezzare il ritmo dell'assenza di pensiero - e ci vediamo restituire i nostri doni. A chiunque è stato dato assai, assai sarà ridomandato.
brevi-interviste-uomini-schifosi-wallaceBrevi interviste con uomini schifosi è, a detta dello stesso Wallace, la sua opera più inquietante. Qui, come aveva già fatto nel monumentale Infinite Jest, Dave utilizza la tecnica dell'intervista "a botta e risposta". Non vengono mai rivelate le domande: è attraverso le risposte che ipotizziamo la discussione completa. L'intervistatrice — intuiamo che è una donna, sempre la stessa — riprende i discorsi di una ventina di uomini, interrogandoli a proposito del loro rapporto con le donne. In un articolo Wallace disse che «nel corso delle interviste le è accaduto qualcosa di male, qualcosa di molto male». 

Volgari, molesti, devastati. Misogini, psicopatici, perversiComunque uomini. Uomini prede del loro stesso disagio, vittime sempre meno consapevoli del peso di un vuoto pregresso. Molto spesso le donne verso le quali gli uomini rivolgono la propria insofferenza pagano il debito di un genitore assente, distaccato, o, peggio, troppo presente. Molto spesso c'entra La Madre. Lo schifo è come una malattia, e l'unico modo per liberarsene sembra quello di contagiare più persone possibili. Contaminare ogni cosa, così che il disgusto di sé venga mitigato dall'odore nauseabondo che emanano gli altri. Ancora una volta, una lettura poco agevole, e un dono.

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Al Nuovo Teatro Sanità di Napoli, da venerdì 17 a domenica 19 aprile 2015, la compagnia Bottega Bombardini ha portato in scena la sua prima produzione indipendente: Schifosi - l'orchestra vuota, uno spettacolo ispirato dall'opera omnia di David Foster WallaceLa regia è di Rosario Sparno e l'attore, l'unico presente sul palco, è Luca Iervolino.

Buio, il pubblico è in attesa. 
Amami ancora, fallo dolcemente. Un anno, un mese, un'ora. Perdutamente. 
Le parole della canzone, nella voce di Massimo Cordovani, ci rassicurano. Un uomo compare dietro una lavagna. Ha le cuffie, muove la testa al ritmo di quella stessa musica. Scrive: prologo. Lo spettacolo inizia.

Lo scopo della produzione è stato quello di assemblare le anime delle Interviste in un'unica famiglia nella quale alcune cose — le cose che di solito non si dicono — vengono fuori prepotentemente. Lo schifo si trasmette dalla madre al figlio, dal figlio al padre, dal padre alla figlia, rovesciandosi con una ferocia che è più umana della moralità con la quale veniva celato. Un'indecenza che non è tanto lontana da noi, per quanto proviamo a convincerci che non sia così.

È questa la vera malvagità, non sapere nemmeno che si è malvagi, no? 

È stata una rappresentazione avvincente, stimolante. Bella, ma bella veramente. Mi è piaciuto molto il senso con cui la compagnia ha interpretato l'opera di Wallace e altrettanto interessante è stato il modo in cui è stato concepito lo spettacolo. Iervolino mette e smette i panni di diverse identità, alternandosi in varie scene. Si fa presente nell'oscurità, ritagliandosi degli spazi nel disegno di luci di Riccardo Cominotto. E quella canzone, che tanto ci confortava all'inizio, assume un significato sempre più angosciante. 

Amarti è una fatica, mi svuota dentro. 
Qualcosa che assomiglia a ridere nel pianto. 

E se tutto si riducesse al fatto che la sua visione del mondo si è ampliata, se ti dicessi questo? Che ne diresti? E di se stessa, di come considerava se stessa. Che adesso capiva di poter essere considerata come una cosa. Ti rendi conto di quanto questo le cambierebbe... strapperebbe, di quanto questo strapperebbe via? Di se stessa, di te, di quella che pensavi fosse te stessa? Strapperebbe via tutto quanto. E poi che resterebbe?


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Brevi interviste con uomini schifosi, David Foster Wallace. Einaudi, 2010. 
Contributi di Zadie Smith, introduzione di Fernanda Pivano. 
Traduzione di Ottavio Fatica. Traduzione di Giovanna Granato.

Commenti

  1. Ormai stai diventando un'assidua lettrice di Wallace. Con cosa mi consigli di iniziare? Molti partono da La scopa del sistema ma non m'ispira.

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    1. Non credo ci sia un libro più giusto di un altro per iniziare. C'è un libro dal quale io non partirei, che è proprio Brevi interviste. Tutti consigliano Una cosa divertente che non farò mai più (che è a metà tra il saggio e il reportage) ma potresti anche valutare la raccolta La ragazza dai capelli strani. Alla fine, come hai giustamente detto tu, è questione di ispirazione.

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  2. Io ho iniziato proprio con Una cosa divertente ce non farò mai più. l'ho trovato divertente. Particolare di Wallace è il suo uso continuo di note. Talvolta occupano intere pagine, ma sono parte integrante del tutto. Il prossimo che leggerò sarà proprio Brevi interviste. Ho un amico che me le consiglia vivamente da un po'. Mi tocca insomma e lo farò con piacere.

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    1. Molti iniziano da lì. Forse è una scelta azzeccata perché leggendo Una cosa divertente si entra in contatto con l'ironia di Wallace che è un po' il suo segno distintivo (anche nelle pagine più cupe viene fuori con una frase, una battuta, e ti strappa una risata). In Brevi interviste si ride molto meno, ma si riflette un bel po' di più. Torna qui a fine lettura e fammi sapere come l'hai trovato. A presto!

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  3. Libro straordinario. Come tutti i suoi. Peccato solo che abbiano deciso di pubblicare Il re pallido.

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    1. Ti faccio "tipo da Wallace". È che non ci avevo pensato, prima.
      Il re pallido mi manca ma non credo che lo leggerò, i romanzi incompiuti non dovrebbero mai vedere la luce per me.

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  4. Sarebbe interessante leggere anche una tua opinione su infinite jest! Io ho letto l'opera omnia di Wallace quand'ero forse un po'piccoletta,avevo adorato infinite jest ma chissà cosa ci avevo capito alla fine :). Penso che lo riprenderò in mano. Con i suoi racconti invece ho sempre fatto più fatica,con l'unica eccezione dell'ultima raccolta...Marta.

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    1. Lo sto leggendo proprio in questo periodo! Ho passato la metà, sono sempre più vicina alla meta. Ma io ho una predilezione per i racconti, faccio più fatica con i romanzi così corposi. Appena lo finisco te/ve ne parlerò, e tieniti pronta così ci confrontiamo!

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