Lacci di Domenico Starnone: la commedia della famiglia

C’è qualcosa, nel periodo appena trascorso, e che ogni anno si ripete, che mi dà da pensare. È quel volerci bene per forza, perché è Natale. Perché ce lo dice la televisione, c’è lo ribadisce la pubblicità. Ogni discussione deve essere appianata, ogni malinteso accantonato. La famiglia, prima di tutto: si mangia in famiglia, si gioca in famiglia. Un brindisi, alla famiglia. Grandi abbracci e lunghi sorrisi: è Natale!
E noi lì, a svolgere il nostro ruolo, chiedendoci qual è stato il momento in cui abbiamo accettato di prendere parte a questo dramma. È tutto così dissimulato che non riusciamo neanche a capire se il nostro sentimento è reale o se è soltanto un’abitudine interpretata a regola d’arte. La verosimiglianza più che la verità; nel Natale e in Lacci, il romanzo di Domenico Starnone.

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Aldo è sposato con Vanda da quando aveva ventidue anni. Hanno due figli: Anna e Sandro. Il matrimonio era, a quell’età, un desiderio d’indipendenza, un'espressione di maturità. Mentre i suoi coetanei erano ragazzini subordinati alle volontà dei genitori, lui diventava l’unico responsabile di se stesso, il punto di riferimento di un nucleo appena formato. Era grande, era già un uomo. 
Ma se a vent’anni era un sogno di libertà, a trenta il matrimonio diventa una costrizione insostenibile. Aldo si riconosce più vecchio di quello che è, perché le sue spalle subiscono la fatica di un peso che si trascina da molti anni. È stato lui a sceglierlo, ma sembra che soltanto ora si accorga di quello che ha dovuto rinunciare per ottenerlo. E allora, come spesso accade, si rivolge altrove. La sua fonte diventa Lidia, una ragazza di diciannove anni.

Fino a questo punto della storia, il libro non mi è piaciuto: troppe cose che ho già sentito, che ho visto, in tanti altri autori. C’è Napoli, che ogni volta che la leggo non mi piace mai. Ci sono le lettere che Vanda manda ad Aldo: gli chiede spiegazioni, gli chiede di tornare. Il marito che scappa, la moglie che lo insegue. C’è la separazione, l’affidamento dei figli. Anche qui, tutto già scritto. 

Dopo aver passato alcuni anni con Lidia, Aldo sente il bisogno di rivedere i suoi figli. Sandro ha tredici anni e Anna nove. L’incontro avviene in un bar, nel modo in cui potete immaginare: un padre goffo e agitato cerca di scorgere in quei due bambini qualche traccia di quel che erano, un appiglio al quale potersi aggrappare per ripartire. 
Ma è Anna a dare una sferzata alla situazione, con quella sincerità rivoluzionaria di cui solo i bambini sono capaci: «È vero che gli hai insegnato tu ad allacciarsi le scarpe?». Anna si riferisce alla maniera stramba in cui Sandro è solito annodarsi i lacci. Aldo, a quel punto, deve dimostrare di saperlo fare utilizzando la stessa tecnica. 
Così passano l’intero pomeriggio: legando e slegando, prendendosi in giro. Quei lacci che stringono, che legano l'uno all’altro. Aldo si rende conto che non è più in grado di gestire la vita con Lidia ignorando il desiderio di riconquistare i suoi figli. Passa più tempo a Napoli, con loro, e sempre meno con lei. Ma non smette mai di pensarla, neanche quando è costretto a lasciarla per tornare dalla sua famiglia. Lidia sarà sempre quel pezzo di paradiso a cui ha dovuto rinunciare per essere di nuovo un padre.

In questa seconda parte, il nucleo familiare assume una connotazione diversa, complessa, e più interessante. Vanda è incontenibile: incattivita dal dolore, è diventata egoista e sfacciata; ostenta, a più riprese, una sicurezza che non le appartiene. Aldo è remissivo, rassegnato, accondiscendente: sente di dover espiare una colpa, che quella della moglie è la reazione a una sofferenza che lui stesso ha causato. Tornano insieme, sacrificando quel poco di sé che era loro rimasto. Per affetto, per abitudine, per dovere, per timore. Per un senso di famiglia, che per certi versi assomiglia anche all’amore.
Ho intravisto mia moglie nella penombra, era una piccola vecchia signora che dormiva con la bocca socchiusa, il respiro calmo. M’è venuto in mente che stava facendo sogni, stava provando emozioni. Doveva aver messo da parte la logica con cui si era difesa da me, dai figli, dal mondo per tutta la vita e adesso s’era arresa a se stessa. Ma io di quel suo tramestio interiore non sapevo niente, non ne avrei mai saputo niente. L’ho baciata sulla fronte. Lei hai smesso di respirare, poi ha ricominciato.


***
Lacci, Domenico Starnone. Einaudi, 2014.

Commenti

  1. Con una tua recensione, riusciresti a farmi leggere anche tutto l'elenco telefonico.
    Sei bravissima.

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  2. Mi piace la metafora dei lacci, ma non amo le storie di famiglie...

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    1. Sì, in effetti è piaciuta molto anche a me. Per il resto, beh... il finale ti coglie un po' di sorpresa. Quella è la parte che ho preferito.

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  3. lo devo leggere ,mi incuriosisce non poco

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    1. Se il tema ti piace, perché no? Ora hai qualche spunto in più!

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