Vivere la letteratura a Napoli



Il sud non legge. Un’indagine ISTAT condotta sul biennio 2012-2013 ha confermato la differente propensione culturale del territorio italiano, riscontrando che «nelle regioni settentrionali legge oltre la metà della popolazione di 6 anni e più (50,1% nel Nord-ovest e 51,3% nel Nordest), mentre nel Sud e nelle Isole la quota di lettori è pari solo al 30,7%».  Se la statistica non ci favorisce, tanto meno la realtà ci presta soccorso: è apparsa ieri sulla pagina virtuale del quotidiano Il mattino la notizia della chiusura della libreria Loffredo. L’attività, sorta nel 1981, è ora nelle mani del curatore fallimentare. Un evento che rattrista ma che non stupisce. Perché da Napoli ce lo si aspetta. Che ne capisce il napoletano della cultura se non può spalmarsela sulla pizza?

Io amo e odio la mia città con la stessa intensità. Sono arrabbiata con i mezzi di comunicazione che distorcono la realtà, come se non avessimo già abbastanza demoni contro cui combattere. Le immagini che vedete in televisione, le interviste che ascoltate, raccontano uno spaccato di realtà, che è verità solo in quel singolo contesto. Sono arrabbiata con i napoletani, che si lasciano strumentalizzare senza rendersene conto. Se abbiamo la fama che abbiamo, è perché ce la siamo meritata. Ma quando riusciremo a colmare il debito d’immagine che altri, prima di noi, hanno contratto? Il problema di alcuni partenopei è l’attitudine alla scappatoia, un modo di pensare presuntuoso e gretto, ma così radicato, che per estirparlo bisognerebbe intervenire sul codice genetico. Non è impossibile, ma serve tempo, impegno e volontà.

La colpa non pende da una sola parte: il napoletano non legge perché non è stato educato a farlo. Il territorio dovrebbe stimolare i suoi abitanti, dovrebbe istruire il cittadino alla cultura, provvedendo a creare mezzi e opportunità per far sì che nasca, in ognuno, la necessità di sapere. Ma a che pro? Perché uno Stato dovrebbe svezzare il popolo fornendo strumenti di pensiero? Che vantaggio ne trarrebbe? È più comodo saziare un bisogno frivolo che sollecitare un desiderio profondo. Perché l’urgenza di cultura, una volta contratta, non si appaga facilmente. Perché poi, se gliene dai un po’, magari ne vuole ancora e inizia a porsi delle domande, e le domande creano disagio.
Non voleva sapere, per esempio, come una cosa fosse fatta, ma perché la si facesse. Cosa che può essere imbarazzante. Ci si domanda il perché di tante cose, ma guai a continuare: si rischia di condannarsi all'infelicità permanente.
Ray Bradbury, nel suo Fahrenheit 451, immagina un mondo esasperato nel quale le autorità cercano di convincere il cittadino che la felicità si raggiunge solo se ci si purifica dallo spirito infimo e ammiccante dei libri. I libri sono pericolosi. I libri creano delle disomogeneità culturali. Rendono diversi, e le diversità suscitano invidia e tristezza. Meglio non leggere, ed essere tutti uguali. Tutti ugualmente ignoranti. E felici.

Se «Un libro è un fucile carico, nella casa del tuo vicino», a quanto pare qualcuno ha deciso che la città di Napoli debba combattere le sue guerre disarmata. Non ho la presunzione di pensare che questo articolo possa servire a qualcosa, ma ho la certezza che rassegnarsi passivamente a una condizione sia sempre sbagliato. E se anche una sola persona leggerà questo testo, io avrò il merito di aver guadagnato un caricatore di munizioni in più per la mia squadra.


Commenti

  1. Sono d'accordo con tutto ciò che dici...non credo sia solo un problema di Napoli, ma di tutto il Sud in generale, e lo dico da "terrona"... non c'è alcuna educazione alla lettura, alla cultura, al bello. Non c'è neanche l'intenzione. Librerie che chiudono per far posto all'ennesimo store dove comprare l'ennesimo oggetto feticcio alla moda, biblioteche tenute male con pochi mezzi, scuole lasciate in mano ad amministrazioni incompetenti... e poi c'è il disinteresse pubblico. Totale. Combattere per la cultura non porta frutti, non in un Paese dove la cultura è quasi niente, è scomoda perché fa pensare e pensare in Italia sembra non essere mai una buona cosa...
    Le cose dovranno cambiare. Come, ancora lo ignoro, io intanto faccio il mio, perché credo ancora nella storia che, sì, sono una goccia nel mare, ma il mare è fatto di gocce...

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  2. Davvero molto bello, sapevo che Fahrenheit 451 avrebbe lasciato il segno anche su di te.
    Ne hai tratto un'insegnamento che è sempre meglio esprimere, anche se molti non lo ascolteranno.
    Continua a parlare di libri, così si fa.

    Ciao,
    Renato

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  3. Per me invee è un problema generale dell'Italia. Certo, con arie più bisognose di altre, però...
    Cioè, io sono del Nord-Est, eppure gli amici, o anzi i conoscenti, che leggono li conto comunque sulle dita di una mano. Quindi, evidentemente, questi dati si riferiscono a zone che non sono la mia...
    Quindi condivido il tuo post.

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  4. Invece io sono dell'opinione che se si creano delle differenze significative localizzate, è opportuno agire in modo mirato. Voglio dire, anch'io mi trovo a lavorare circondato da persone che non leggono e che misurano la serietà scientifica delle notizie sulla base dei servizi de Le Iene, ma qui intorno è pieno di librerie e case editrici, e ci sono così tante iniziative letterarie che verrebbe da pensare, piuttosto, al problema generale di cui parla Andrea - che è reale, ma è generale, appunto, non confrontabile con un campione non rappresentativo. Poi, Maria, tu parli di Napoli, che però è una grande città. Io credo che la difficoltà maggiore - questo in Fahrenheit non c'è - sia uscire, con queste iniziative, fuori dai confini dei capoluoghi.

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    1. Ecco, ma infatti io vivo in provincia, e probabilmente è per quello che io non riesco a sentire questo 51%.
      Molti degli eventi, che siano anche presentazioni di libri, o comunque iniziative letterarie avvengono sicuramente in centri più grossi e spesso tendono a dimenticarsi delle zone circostanti.

      Che poi, nel paese dove abito or ora si danno anche da fare eh, è che è tutto il contorno a mancare, e una sorta di mancanza di interesse, secondo me, da parte anche di autori/editori/festival (?) che per ovvie ragioni prediligono i centri grossi.

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    2. Siamo d'accordo, però attento a non mischiare i due piani. Da una parte, la questione del disinteresse, che esiste ed è grande anche se il contesto ti consente di chiamare un premio Nobel (true story); dall'altra, l'inerzia culturale delle realtà locali e periferiche, che è storia vecchia e difficile da evitare a meno di non passare ad altro modello di promozione culturale. Queste realtà, come dicevi, esistono, e possono diventare anche molto grandi. A Lucca c'è il terzo festival di fumetto al mondo, per dire, e non è nelle zone a più alta urbanizzazione - e neanche facilmente accessibile, in quei giorni. Più in piccolo, al mio paese un paio di mesi fa mi hanno portato a una presentazione di un libro che... ecco, è andata più o meno così. L'argomento è di quelli che ammazzano l'interesse: fantascienza e pedagogia, peraltro in forma di saggio. Risultato: sala piena, complice anche una certa coordinazione fra due realtà associative e la scuola media (indirettamente), dibattito con partecipazione attiva (!), inserti multimediali (!) e libreria al piano di sotto che esponeva libri scelti con insolita competenza. Ora, ho notato altre due cose. Primo, l'età media era decisamente alta. Secondo, io di queste iniziative me ne sono sempre fregato. Sarò un lettore forte, ma evidentemente sono anche un po' snob - né sono il solo. Però queste cose esistono, sopravvivono e spesso riscuotono molto più successo di eventi più in grande, con big a carico e accessibili al pubblico. IMHO può avere senso sostenere questo tipo di iniziative e ripartire dalla base, piuttosto che puntare su grandi autori & festival. Così come è meglio fare suonare tanti gruppi giovanili nei locali, piuttosto che puntare su un solo, spettacolare concerto in centro. I grandi attrattori hanno pur sempre una portata limitata.

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    3. Mi trovi d'accordo.
      Però, certo, bisogna che ci sia un certo sostegno e un certo tipo di atteggiamento nell'organizzare la cosa. L'esempio che porti mi pare sia frutto di una buona pensata e di un'ottima organizzazione, per quanto 'piccola' e 'poco famosa' possa essere. E forse è questo che manca anche, il saper creare un qualcosa di appetibile.

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    4. Però - mi riferisco sempre alle mie zone - questi piccoli eventi non sono mai ben pubblicizzati. Io sono d'accordo con voi: spesso preferisco scovare eventi riservati e far due chiacchiere con un autore mezzo sconosciuto che scrutare un scrittore famoso tra il collo di un tizio e la nuca dell'altro. Però io lamento qualcosa di diverso: io lamento l'apertura del terzo negozio di patatine fritte nella stressa strada, come se noi non potessimo fare altro che mangiare. Dammi occasioni, che poi il resto me lo organizzo io.

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  5. È chiaro che ognuno di noi ha una visione soggettiva e limitata alla fetta di realtà in cui vive. Io ti parlo di Napoli, perché così almeno ho una base d'appoggio sui cui discutere. Le province, la mia ad esempio, sono del tutto prive di stimoli culturali: oltre alla biblioteca comunale non c'è una libreria a cui potersi rivolgere. Napoli è un capoluogo, hai ragione, e infatti rispetto alle province vanta maggiori opportunità di fare cultura. Maggiori, ma non abbastanza. Sicuramente non al livello di altre città. E non mi riferisco solo ai grandi festival. Parlo di presentazioni, di incontri, di motivazioni. Di stimoli, appunto. Vivere in un ambiente dinamico, fremente, fresco, è importante. Lo è per tutti, ma soprattutto per i bambini, che devono essere abituati fin da piccoli ad aver "fame" delle cose giuste. Poi, che gli italiani non leggano abbastanza, in generale, anche questo è vero. Ma è un altro discorso (che ho intenzione di affrontare presto).

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  6. Non conosco la realtà di Napoli, però, si parva licet componere magnis, una situazione simile si trova negli ambienti di provincia anche nella mia zona: non esistono praticamente eventi letterari (nel mio paese ci sarebbe, invero, il più antico premio destinato alla letteratura per ragazzi, ma ne parlano a stento i quotidiani locali) e per trovare una libreria degna di essere definita tale bisogna raggiungere la città, a mo'di far west. Parlare di lettura in queste zone è desolante e la maggior parte delle persone non si sogna nemmeno di comprare un libro o prenderlo in prestito dalle biblioteche: manca anche qui, alla base, un'educazione letteraria e, se penso alle storiche librerie di Verona che hanno chiuso, si sono spostate dal centro o sono state soppiantate da catene che vendono anche mille altri prodotti, mi vien da pensare che stiamo assistendo ad un impoverimento generale e che quel nostro 51,3% possa a poco a poco calare...

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    1. Ecco, vivi esattamente nella mia situazione. Circa. E non siamo poi tanto lontani geograficamente, anzi.

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  7. Cara, hai ragione e sai bene che riguarda tutto il Sud come il resto dell'Italia. Manca certamente un'educazione alla cultura che dovrebbe venire dalla famiglia e dalla scuola: se non ci sono stimoli giusti non si può pretendere di avere degli scienziati senza essersi sporcati le mani.
    È doveroso parlarne piuttosto che nascondere la testa sotto la sabbia.

    Ps: se ti può consolare, anche se non riguarda questo argomento, adoro la letteratura napoletana contemporanea.

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  8. Mi consola, sì, perché molte volte si fa di "tutt'erba un fascio" e le cose migliori vengono oscurate dalla bruttezza di quelle che vanno per la maggiore. Questo ovunque, ovviamente.

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  9. Concittadina come te. Non so che dire perché è una spietata verità...

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  10. Hera
    Cara Maria, purtroppo mi trovi concorde con il post. Io sono napoletana e noi napoletani, ma proprio l'italiano (in generale), non è stato educato alla lettura. Non siamo abituati ad aprire un libro e abbandonarci al piacere di leggere. La colpa è della nostra NON cultura alla lettura ma anche nostra che non ci sforziamo neppure di provarci.
    Io leggo molto ma da soli non si fa numero.

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  11. Non fraintendetemi: io non penso di essere superiore a nessuno, anzi. Io leggo per passione, per piacere, e questo non mi dà agio a pensare che io sia "donna di cultura". Ma proprio no. Detto questo, nel mio piccolo, io cerco di migliorarmi, e attraverso questo articolo volevo solo manifestare il malessere di vivere in una città che non offre opportunità di crescita intellettuale a chi, anche meglio di me, saprebbe metterle a frutto.

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  12. Commento questo post con un po' di ritardo. Proprio oggi, però, leggevo i risultati (scontati) delle prove INVALSI e, come te, ho provato quella sensazione di sconforto e frustrazione che nasce a fronte di una situazione che si vorrebbe a tutti costi diversa, e che invece resta uguale, anzi peggiora. Condivido soprattutto l'osservazione secondo cui non si legge perché non si è educati a farlo, perché il territorio non ci educa. Come insegnante precaria fino a poco tempo fa, ho avuto modo di gironzolare per scuole e città diverse della mia regione (la Puglia) e ho potuto constatare che città ricche di librerie, dotate di una biblioteca accessibile anche a bambini e ragazzi, capaci di promuovere reading e incontri con autori e lettori, ci davano ragazzi meno diffidenti verso la lettura, alunni capaci di parlare meglio e di studiare con più efficacia, lettori presenti e futuri più o meno appassionati, creativi, e in definitiva studenti migliori. Le città prive del tutto di librerie (magari città grandi, apparentemente sviluppate, ricchissime di bar, palestre e esercizi commerciali di ogni altra risma) equivalevano quasi sempre a situazioni scolastiche di disagio: rifiuto della lettura, incapacità di vivere un libro come piacere, come passatempo, diffidenza nei confronti della letteratura, della poesia, dell'arte in senso lato. Del resto, procurarsi un libro che non fosse il testo scolastico significava ordinarlo in cartolerie e attendere tempi biblici, affidarsi a Internet, operazione non sempre agevole per i più piccoli, scontrarsi con genitori che, pur potendo permettersi una cintura firmata, non accettavano ulteriori acquisti di libri. E poi ovviamente c'erano davvero quelli che non si potevano permettere né il libro né la cintura, firmata o no che fosse. Ma gli anni sono passati, i sondaggi si sono susseguiti...e, tuttavia, politiche di supporto non se ne sono viste. Resta la volontà dei singoli, degli appassionati, di chi cerca di condividere la propria esperienza di lettore con le nuove generazioni (e magari anche con le vecchie mai sensibilizzate), e di portare la testimonianza di una cultura diversa. Io, per esempio. regalo libri, a Natale compleanni e simili. Anche a chi non legge. Mi dico, che, trovandoselo tra le mani, magari prima o poi l'interesse scatta. Certo, se ci fosse un progetto territoriale, politico di ampia gittata sarebbe tutto diverso...

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    1. Forse sì, regalare libri può essere utile. È la goccia nel mare, no? Anche farsi sentire può essere utile. Lamentarsi, ribellarsi. Adattarsi è quanto di peggio noi potremmo fare.

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  13. Amore-odio. Credo sia il misto di sentimenti che prova qualunque napoletano dotato di senso critico o anche semplicemente di buon senso. Da piccola, da "emigrata", reagivo male alle canzonature (diciamo così) dei vari compagni di classe e dei loro genitori, dei conoscenti o dei vicini di casa che al mio "io sono di Napoli" replicavano prontamente "ma va? Non sembra"... Però con il tempo ho cominciato a pormi la questione in altro modo. Detesto la maniera superficiale con la quale ci si auto assolve perché è più facile. Detesto, come hai detto tu, le considerazioni e le sentenze mediatiche fuori contesto. Potrei fare mille esempi, ma evito. Per me resterà sempre un nervo scoperto.

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