Lezioni americane di Italo Calvino #4: visibilità



Questa volta non voglio partire dall’inizio. Preferisco cominciare da una domanda ed estendere la discussione a tutte perplessità che spinsero Calvino a scegliere la visibilità come tema della quarta lezione: sarà possibile fare letteratura fantastica nel Duemila, in una crescente inflazione d’immagini prefabbricate? L’autore azzardò, al caso, due ipotesi:
1. Riciclare le immagini usate in un nuovo contesto che ne cambi il significato.
2. Fare il vuoto per ripartire da zero.
Noi che ci siamo, qui e ora, noi che siamo figli di questo tempo, cosa possiamo rispondere? Cosa ne è stato della nostra immaginazione? 
I processi immaginativi possono essere distinti in due tipi: quelli che vedono l’immagine come conseguenza della parola e quelli che, al contrario, la identificano come causa. Il primo esempio si riferisce a quel che accade quando leggiamo: se un libro è particolarmente evocativo, sviluppiamo la storia attraverso immagini create dalla nostra mente, come se i fatti si stessero svolgendo davanti ai nostri occhi. 
Il procedimento inverso è quel che noi proviamo al cinema: le immagini sullo schermo sono la prima cosa che ci cattura; dietro quelle scene, c’è un regista che a sua volta, dal testo scritto, ha visualizzato delle immagini mentali che ha poi cercato di riportare sulla pellicola. Rispetto a Dante che nella Divina Commedia suggerisce di essere condotto nella fantasia da ispirazione divina, gli scrittori moderni attribuiscono la capacità di immaginare all’inconscio, o comunque a qualcosa che parte dall’individuo.

Dovunque il processo avvenga, quel che non si riesce a capire è se la letteratura sia in grado di rappresentare efficacemente l’immaginazione. A tal proposito, Calvino richiama un racconto che io ho letto e amato: Il capolavoro sconosciuto di Honoré de Balzac. 
Scritto tra il 1831 e il 1837, il racconto ha subito diverse modifiche. La prima versione, sottotitolata Conte fantastique, vedeva il vecchio pittore Frenhofer elogiato per il suo lavoro; il groviglio di colori, la massa informe di sfumature nella quale si riusciva a distinguere solo un piede, un piede perfetto, aveva convinto gli spettatori che quella fosse un’opera d’arte al di fuori dell’umana concezione. Possiamo dedurre che Balzac fosse inizialmente propenso a pensare che la letteratura, l’arte in genere, fosse in grado di ricreare l’universo di immagini di cui l’uomo dispone all’interno di sé. 
Poi il racconto cambia, e cambia ancora, fino ad arrivare alla terza versione, dal sottotitolo étude philosophique (studio filosofico); in questa edizione, Frenhofer viene preso per pazzo dai pittori a cui mostra il capolavoro e, non sopportando l’affronto subito, deciderà di togliersi la vita bruciando assieme al suo quadro. È un testo meraviglioso, che ci aiuta a capire come Balzac avesse cambiato pensiero durante l’ultima stesura; parafrasando la versione, possiamo intuire che l’autore non credeva più che l’immaginazione potesse essere trasposta attraverso l’arte e che, addirittura, quei pochi uomini che sono più ossessionati dal provare a farlo, rischiano di perdere se stessi nell’impresa. 

Considerato come una parabola sullo sviluppo dell’arte moderna, Calvino ci suggerisce che il racconto di Balzac può essere anche letto come una metafora sulla letteratura, sul divario incolmabile tra espressione linguistica e esperienza sensibile, sull’inafferrabilità dell’immaginazione visiva.

La lezione continua, tra riferimenti letterari e commenti di vario genere, ma io voglio chiuderla qui, con il sublime ricordo di Balzac e con un appello di Calvino alle generazioni future. A noi.
Se ho incluso la Visibilità nel mio elenco di valori da salvare è per avvertire del pericolo che stiamo correndo di perdere una facoltà umana fondamentale: il potere di mettere a fuoco visioni a occhi chiusi, di far scaturire colori e forme dall’allineamento di caratteri alfabetici neri su una pagina bianca, di pensare per immagini.
Ne resta una: la molteplicità.


Lezioni americane, Italo Calvino. Mondadori, 2010.

Commenti

  1. Questa sì che è difficile.
    L'immaginazione era vista da Coleridge addirittura come propria solo del Poeta - sì, lo so, era un po' elitario. Però è una facoltà che bisogna sviluppare e mantenere allenata.
    Insomma, ci si prova.

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    1. Vero. Questa è difficile.
      È una facoltà congenita secondo me, ma che ha bisogno di continue sollecitazioni.

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  2. La mole di concetti che vorrei esprimere in risposta a questa recensione mi scoraggia dal fornirla.

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    1. No, dai, così mi lasci con la curiosità.
      Almeno qualcosa devi dirmela!

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  3. Mi è piaciuto molto quando racconta di lui da piccolo che "legge" i fumetti del Corriere dei Piccoli, senza saper leggere, tutte le storie che si crea in mente e la delusione nel capire che le descrizioni, dopo aver imparato a leggere, non erano niente di che.
    E allora andare avanti come prima e continuare comunque ad immaginarsi le storie come più preferiva nella sua mente.
    Bello bello.


    Valentina
    www.peekabook.it

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  4. Aggiungo a quanto sopra per il passo
    "Poi piovve dentro a l'alta fantasia" Purgatorio canto XVII,25
    La parte più sottile della nostra fantasia, ha il potere di imporsi alle altre facoltà, ha una vibrazione così veloce che può captare immagini o informazioni sempre presenti nel campo quantico ma non già presenti nel cervello... lampi velocissimi di luce che pochi possono ricordare e densificare nella quotidianità.
    Così mi spiego le grandi opere d'arte, gli elevatissimi brani musicali che toccano migliaia di anime, indipendentemente dal loro background culturale.
    Ciò spiega anche, a mio parere, come sia potuto accadere che grandi invenzioni come il telefono ad esempio, si siano densificate quasi nello stesso periodo in diverse parti del globo.

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