Conformarsi agli standard di settore, grazie!

È da un po' di tempo che non faccio altro che leggere e leggere e leggere. Lungi da me spargere lamentele a riguardo ma devo ammettere che ogni tanto mi piace anche spaziare e mettere sul banco qualche spunto di riflessione. Io, vi dirò, attraverso la gestione di questo spazio virtuale ho imparato anche ad apprezzare la ponderazione di branco (anche perché, solitamente, riflettendo in solitudine va a finire che mi arrovello sul problema senza cavare il rinomato ragno dall'altrettanto celebre buco). Il tema di oggi si collega a una domanda che mi sono sempre posta ma che ho lasciato macerare nell'anfratto celebrale degli interrogativi sospesi finché, leggendo La luna e sei soldi di Somerset Maugham, sono inciampata in questa frase:
Non concordo con i pittori i quali proclamano altezzosamente che il profano non capisce nulla di pittura, e può dimostrare al meglio il suo apprezzamento per le loro opere col silenzio e il libretto degli assegni. È un abbaglio grottesco vedere nell'arte nient'altro che un fatto di mestiere, comprensibile appieno solo dall'artefice: l'arte è manifestazione di emozioni, e l'emozione parla un linguaggio che tutti possono intendere.
Questioni irrisolte che tornano a galla: per apprezzare un'opera d'arte occorre avere delle competenze specifiche? Di conseguenza, per poterne parlare, per poter discutere d'arte (o di letteratura, adeguando il discorso alle nostre esigenze), bisogna aver acquisito delle conoscenze tecniche? Una sorta di titolarità in merito? E ancora, quando parliamo di conoscenza, a cosa ci riferiamo esattamente? Master e specializzazioni di settore? Corsi di approfondimento? Oppure tutto il discorso è da ricondurre alle solite liste dei libri imprescindibili? 

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Illustrazione: W.

Non parlo di discussioni ad alti livelli. Anche qui, tra noi. Ci sono delle caratteristiche, degli attributi, al di là della mera passione per la lettura, che pensate siano importanti per trattare l'argomento? Come scegliete le persone di cui fidarvi? I blog da seguire? Gli articoli da leggere? La questione può sembrare di semplice risoluzione mentre, come spesso accade, quello che riusciamo ora a scorgere è solo la punta dell'iceberg. Cerchiamo di approfondire.

L'emozione parla un linguaggio che tutti possono intendere.

Prendendo per precetto la frase di Maugham dovremmo scegliere l'emozione come elemento principale nella valutazione di un romanzo e questa non è una possibilità che mi sento di scartare a priori. Ciò però vorrebbe dire considerare "valido" ogni sorta di giudizio da chiunque espresso purché basato su un riflesso irrazionale.

Non possiamo accaparrarci il diritto di distinguere tra emozione e emozione, non esiste un'emozione più emozione di un'altra quindi, decidendo di considerare esclusivamente i sentimenti scaturiti dalla lettura, non potremmo mettere in discussione nessun parere, per quanto superficiale ci possa sembrare. Questo però significherebbe anche barattare, nella maggior parte dei casi, qualità e spessore in cambio di lacrime e commozione, due elementi di più facile reperibilità. Si rischierebbe così di dare risalto ad alcuni libri solo perché spinti da orde di festosi ed improbabili lettori, lettori emozionati (è inutile che io riporti qualche titolo per il puro gusto di infierire, lasciate andare la vostra torbida immaginazione!). Non è una forma di snobismo, è un dato di fatto. Anch'io ammetto di aver peccato di leggerezza in passato apprezzando libri esclusivamente per una storia particolarmente coinvolgente senza badare tanto al resto. Nel resto però c'è tutto: c'è la forma, c'è lo stile. C'è la ricerca, la profondità. Allora rovesciamo la questione. Niente emozione. Che a parlare siano esclusivamente esperti e critici di settore con anni di studio e competenza alle spalle. E noi? Che spazio abbiamo noi che componiamo la nostra esperienza pagina dopo pagina? È possibile escludere la componente emotiva da un oggetto, dal libro, che di emozioni ne contiene e ne elargisce di continuo?

La risposta sta nel mezzo, questo è certo. Quello che vorrei provare a stabilire con voi è proprio la collocazione ideale di questo mezzo. Il cosiddetto minimo indispensabile, l'esperienza d'ordinanza. Premesso che più è meglio è, quali dimensioni dovrebbe idealmente avere il nostro bagaglio culturale affinché ci sia concesso salire a bordo del sistema?



Commenti

  1. Adoro la mia ignoranza in tuttti i campi... mi permette di potermi meraviglaire di tutto ed allo stesso tempo di annoiarmi di tutto.
    Almeno per quanto riguarda l'arte, credo ci si debba presentare nudi in testa, poi magari per "te" un grande romanzo, un quadro d'autore o una grande opera musicale risulteranno banali, insignificanti, volgari.... boh, ciò che vuoi.
    Non amo i commenti tecnici (assoluti) nell'arte.

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  2. Di getto, sarei tentata di rispondere: dimensioni enormi. Per il bagaglio culturale, intendo.
    Una volta pensavo anch'io che, se non avevi letto determinati libri, e fatto determinati percorsi culturali-intellettuali, non eri degno di profferir parola. Come se la cultura, o apprezzare un libro o un dipinto fosse ad appannaggio di chi ha molto letto, studiato, chiosato. Oggi, che sono un po' meno rigida di vedute, direi che la grandezza del bagaglio culturale, l'aver molto letto, studiato e chiosato, dovrebbe servire ad approcciare con mente aperta l'opera che sta davanti, libro, quadro o film. Non cercando la chiusura dell'appartenenza alle alte sfere della cultura, ma apprezzando le qualità, ascoltando il messaggio, cercando la bellezza e l'armonia anche in posti diversi dai soliti. Tutto questo in sostegno all'emozione. L'emozione è una delle prime chiavi del mazzo, è quella che ti attira verso qualcosa, fa vibrare corde. Se ascoltiamo solo quella, tutti noi diventiamo critici letterari e artistici. E le case editrici diventano multinazionali e monopolii. La risposta sta nel mezzo, nel giusto mezzo. Un mazzo di chiavi d'interpretazione fatto da cultura, esperienza, proprie elaborazioni, emozioni potrebbe essere questa risposta. Questo è, almeno, quello che tento di fare, dopo aver scoperto che mi stavo irrigidendo senza motivo, quando sono davanti ad un libro, un quadro, o un blog da seguire.
    Sono stata forse un po' confusa e affrettata? Sarò lieta di chiarire le idee (soprattutto a me stessa...) :-)
    Grazie per questa bella riflessione ricca!

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  3. Uhmmmm. Cavolo. Sento di dovermi lucidare i neuroni, prima di rispondere...
    Credo che il bagaglio necessario dipenda molto dalle aspirazioni. Cioè, cosa voglio dire e a chi. Se voglio consigliare un libro a un amico allora posso puntare sull'emozione e fregarmene del resto. Se invece voglio parlare sul serio del libro, specie su Internet, per me la cosa è un tantino differente.
    O forse no. Forse preferirei anzi che venissero applicate alla comunicazione virtuale le stesse regole che vengono applicate a quella in presenza. Se dici una cavolata in pubblico qualcuno ti farà notare la cantonata. Se fai notare su Internet la cantonata di qualcuno, via subito a disquisire sulla 'libertà d'espressione', come se indicare una cavolata equivalesse a imbavagliare qualcuno.
    Ecco, non lo so. Da un lettore-basic non pretendo - né ho motivo di pretendere, effettivamente - nessuna competenza particolare. Non ci si dovrebbe vergognare delle proprie letture, per quanto urfide possano essere. Però non bisognerebbe neanche spacciarsi per fini conoscitori della letteratura quando si legge un libro all'anno, magari giusto il porno-best-seller-minchia. A me piace guardare film, ma non mi atteggio da esperta di cinema, perché essenzialmente non ne capisco nulla. Voglio dire, se uno vuole dire 'Ok, questo mi è piaciuto' è un conto, se invece vuole andare oltre, beh, sì, lì sarebbe meglio ci fossero delle conoscenze un po' più approfondite. Anche senza scavare troppo a fondo, diciamo livello-appassionato. Che se sei appassionato delle conoscenze le hai e basta.
    Che poi anche sull'arte... lì il discorso è più complesso. A me Fontana piace. Mi piace perché ho avuto una professoressa di storia dell'arte che ha saputo spiegarmi che cosa volessero dire i suoi tagli nella tela, quale fosse la sua storia, il perché dei suoi enormi collage... e mi girano quando sento dire che era un impostore incapace, perché sono giudizi lanciati a caso da gente che non ne capisce nulla. Gente - relativamente - ignorante. E chi spara sentenze pur sguazzando nell'ignoranza sì, mi irrita.
    ... ho sproloquiato a caso T_T Pardon. Si vede che ho i neuroni ancora un po' impolverati...

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  4. Molti "profani" dicono di giudicare "col cuore invece con la testa", ossia con le emozioni invece che con un giudizio. Io non sono sulla stessa lunghezza d'onda, ma sono convinta che l'arte sia di tutti, perché, semplicemente, a ognuno parla in modo soggettivo e diverso.

    Questa domanda che tu ti poni l'ho sentita porre molto spesso e me la sono posta pure io, spesso. Non so se sai che per anni ho studiato musica a livello accademico, ed è evidente che "quel tipo di musica" è spesso considerata inaccessibile, lontana, riservata a studiosi e conoscitori. Spesso dagli stessi musicisti. Ecco, io non ero (non sono) d'accordo con questa visione, semplicemente perché ci sono diversi stati di accesso a un oggetto d'arte e sono tutti ugualmente validi.

    Il letterato accademico che pensa che la critica sia nelle mani di chi la fa di professione spesso sbaglia perché rischia di rivolgersi poi solo a un pubblico di suoi uguali e quindi di parlare allo specchio... E anche credo io di non comprendere che quasi sempre le opere non sono rivolte ai topi di biblioteca, ma alla gente, alla casalinga, all'operaio, all'impiegato. A uomini e donne di tutti i giorni e mestieri.

    Magari il non studioso e conoscitore non coglierà miliardi di dettagli che solo l'analisi consapevole garantisce. Ma magari il gran studioso e professionista non coglierà infiniti contenuti umani che "l'uomo di strada" percepisce.

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  5. Domanda interessante.
    Ho sempre pensato che esistessero almeno tre mondi per ogni opera d'arte, libro compreso: quello dell'autore, quello del profano e in mezzo quello del critico, che un po' fa da ponte e un po' si autocompiace del suo essere un mondo a parte.
    Se di un grande insieme ognuno si sofferma su un particolare o su un altro, allora non c'è bisogno di aver studiato per cogliere le parole destinate a noi. Nella pratica però mi rendo conto che la questione è un po' meno romantica e che i bagaglio culturale - di esperienza di quel campo culturale, non di studio - conti abbastanza, soprattutto nel definire sempre più finemente il gusto.
    Ecco, se dovessi scegliere una persona di cui fidarmi, ne sceglierei una che si è messa alla prova, che lascia trasparire la propria forma, il proprio gusto, sviluppato sbagliando, non studiando. Se emozione vuol dire spogliarsi della sovrastrutture che ti dà lo studio, l'università, la lettura della critica, e cercare la bellezza (bellezza di storia così come di stile), quella che per noi è bellezza, allora ben venga. Se vuol dire abbandonarsi alla commozione facilotta allora no.
    Ma credo di non aver risposto :)

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  6. Io sono una persona a cui piace sapere. E ho potuto constatare di persona come cambi la mia visione di un'opera se ho qualche conoscenza in più o in meno su contesto, storia, autore, periodo storico e background. La cosa fu lampante quando seguii un corso di storia dell'arte all'università (studiavo lingue). Era un corso dedicato alla pittura del '500 e '600 con un focus sulle donne pittrici e la scuola emiliana dei Caracci (studiavo a Bologna). Ho studiato e passato l'esame e accantonato tutto. Poi un anno fa mi sono imbattuta in un quadro di Artemisia Gentileschi che già conoscevo ma che non avevo mai visto dal vivo e mai dopo quell'esame. Ero sconvolta da quanti livelli di lettura incontrai in quella stessa tela. E molti li devo a quell'esame.
    Ora, non dico che bisogna avere grandi conoscenze per apprezzare qualcosa. Ma di sicuro qualche conoscenza in più ti apre più spazi di giudizio. Tutto qui. Davanti alle Ninfee di Monet, conoscere l'Impressionismo o l'opera del pittore non credo serva più di tanto: si rimane tutti, inevitabilmente, affascinati da quello spettacolo.

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  7. Ogni risposta che avete lasciato mi trova completamente d'accordo.
    E' una questione che, secondo me, proprio per la natura complessa e sfaccettata di ogni opera d'arte (o di ogni opera letteraria, nel caso specifico) non troverà mai completa risoluzione.

    Ho continuato a leggere, ieri sera.
    Ho trovato un'altra frase che credo ponga la giusta conclusione a questa nostra discussione: "Perchè pensare che la bellezza, la cosa più preziosa del mondo, se ne stia come un sasso sulla spiaggia, a farsi raccogliere per ozio dal primo sbadato passante? La bellezza è qualcosa di strano e meraviglioso che l'artista plasma dal caos del mondo nel tormento della sua anima. E quando l'ha creata, non a tutti è dato comprenderla. Per riconoscerla devi ripetere l'avventura dell'artista. E' una melodia quella che lui ti canta, e per riudirla in cuor tuo ti occorre esperienza, sensibilità e immaginazione".

    Sensibilità, più che emozione.
    Forse è questa la caratteristica che abbiamo dimenticato di citare.

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    1. ...vero. Sensibilità, apertura verso l'esperienza dell'artista. E' lei la prima chiave del mazzo, più che l'emozione, che viene dopo. Questo pezzo sulla bellezza come ciottolo in attesa su una spiaggia è straordinario. Personalmente, concordo con te: conclude nel migliore dei modi la conversazione. :-)

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  8. Sai è una questione complessa perché per me -per il mio personalissimo punto di vista- conta tantissimo il bagaglio culturale. Mi aiuta a capire chi ho di fronte, ma non mi lascio condizionare da questo, mi serve solo per capire il perché di certi pareri.
    Io odio chi giudica basandosi solo sulle proprie emozioni estremamente personali, senza un minimo di criticita. Così come non sopporto le recensioni fatte solo di "belle" parole, come quelle sui giornali. Come dici tu il giusto sta nel mezzo, poi chi legge(recensioni&co) scegliere il proprio "star nel mezzo".
    Sulle dimensioni del bagaglio culturale per far parte del sistema però...non so, dipende forse dal sistema di cui si sta parlando...mmm...

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    1. Non ti curare dell'ultima frase che è un puro gioco di parole. L'articolo aveva lo scopo di sviscerare l'argomento, di raccogliere diversi pareri soggettivi per provare ad arrivare ad un unico risultato e più o meno ci siamo riusciti. Siamo arrivati alla conclusione, come hai sottolineato anche tu, che l'emozione da sola non basta a stilare un giudizio completo su un'opera. E' una componente importante, una "chiave del mazzo" come diceva Loredana, ma non può essere l'unica fonte di giudizio.

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  9. Cosa usare per dare un giudizio completo su un'opera, la testa o il cuore? Forse la verità sta nel mezzo, oppure si può provare a guardare l'argomento da un'altra prospettiva: forse non è solo una questione di emozioni contrapposte a competenze/conoscenze (che a mio avviso aiutano sicuramente a interpretare meglio l'opera), probabilmente è anche una questione di atteggiamento.
    L'atteggiamento può essere attivo e aperto, con una predisposizione a mettere tutto in gioco e accettare la sfida dell'artista/scrittore, oppure passivo e chiuso, perché trincerato dietro a determinate convinzioni che si vorrebbero addirittura avvalorate dall'opera in questione.

    Personalmente ammetto che mi piacerebbe leggere molto di più, avere maggiore tempo a disposizione e conoscere molti più scrittori di quanti ne potrò mai leggere, allo stesso tempo mi piacerebbe avere in Italia una critica letteraria degna di tale nome, lontana dalle lobbies della carta stampata, capace attraverso il setaccio dell'onestà intellettuale di separare la letteratura da ciò che non lo è ma viene spacciato come tale.
    Mi correggo, una critica letteraria simile esiste, ma difficilmente la si trova sui quotidiani nazionali, al massimo è rintracciabile in qualche blog più o meno di nicchia.

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    1. Chi si appresta a commentare un libro con un approccio aperto ha sicuramente una marcia in più. Accettare critiche e pareri contrari, ascoltare altri punti di vista senza rifiutarli a prescindere. Stessa cosa lo scrittore. Parliamo di umiltà, che poi è una dote che dovrebbe sconfinare il confine del web ed entrare nel quotidiano.

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