«Morirò e tu scriverai un libro»: a proposito di Un uomo di Oriana Fallaci



La mia copia di Un uomo è una vecchia edizione del 2000. Tascabile, non rilegata: essenziale. 
Dal retro di copertina spicca una foto di Oriana che mi ha accompagnato durante tutta la lettura. Ogni tanto andavo a riguardarla per indovinare le emozioni dagli occhi. Cosa si prova a raccontare una storia del genere? Una storia vera, soltanto la storia di un uomo.
Alexandros Panagulis, noto anche con il diminutivo di Alekos, è stato un politico, rivoluzionario e poeta greco, considerato un eroe nazionale della Grecia moderna. Fu un intellettuale e attivista per la democrazia e i diritti umani, rivoluzionario non marxista in lotta, anche armata, contro il regime dei colonnelli. A causa del suo fallito attentato contro il dittatore Georgios Papadopoulos, fu perseguitato, torturato e imprigionato a lungo, fino alla sua liberazione dopo una mobilitazione internazionale. Morì in un misterioso incidente stradale.
Il libro di Oriana Fallaci inizia dalla fine, dal funerale di Alekos. La stessa gente che al tempo non ebbe il coraggio di sostenere le sue iniziative rivoluzionarie, si riversa in strada tra commozione e singhiozzi. Dopo il prologo, incentrato sul momento straziante della sepoltura dell’uomo, la narrazione riprende (o meglio ritorna) al momento in cui Alekos organizzò l’attentato contro Papadopoulos, qualche anno prima di conoscere Oriana, il 13 agosto 1968.
L’autrice ripercorre i fatti antecedenti al loro incontro attraverso le confessioni dell’uomo, riempiendo eventuali vuoti narrativi con testimonianze e ricerche. L’attentato fallì perché gli ordigni posti lungo il tragitto percorso dalla limousine di Papadopoulos non esplosero e Alekos venne colto in flagrante e arrestato. Rifiutando ogni offerta di collaborazione o patteggiamento, venne condannato a morte il 17 novembre 1968. La fierezza con la quale apprese la sentenza brucia di orgoglio: «Perché il canto del cigno di un vero combattente è il rantolo che egli emette colpito dal plotone di esecuzione di una tirannia».

Il suo caso provocò sommosse e rivolte, richieste di scarcerazione da più fronti: un tale clamore internazionale che le autorità assecondarono, avendo il timore di creare un martire più che di punire un colpevole, rinviando l’esecuzione più volte per poi annullarla definitivamente. Alekos, ignaro di questi sviluppi, si costringeva ad accettare l’idea della morte.
Pare che ci sia una sensazione precisa, descritta anche nel libro, che prova un uomo quando sa di dover morire. Quando lo sa davvero, quando conosce alla perfezione il giorno in cui finirà la sua vita. Prima è ribellione, impulso primordiale, bisogno di esistere, poi è inquietudine e paura, riflessioni legate soprattutto al cosa accadrà, al dopo, infine rassegnazione e pace, quasi attesa, desiderio.
Quando, al terzo giorno, Alekos seppe di non dover essere più giustiziato il sollievo si accompagnò alla tristezza, quasi sconforto, e questa sospensione tra vita e morte caratterizzò il resto della sua esistenza.
Tutto in te costituiva una sfida alla ragione, una rivolta al buon senso, uno schiaffo alla logica: l’ardore cieco, sordo, esagerato con cui ti scaraventavi in un’avventura; l’enfasi e la retorica con cui quell’ardore si esprimeva. [...] Perché vivere significava muoversi e fermarsi equivale a morire.
Alekos fu condotto nelle prigioni militari di Boiati, dove subì ogni genere di tortura mentale e fisica. Per punire i diversi tentativi di evasione attuati in quel periodo, il direttore del carcere fece costruire una cella particolare; era una stanza di due metri per tre, appena illuminata da una luce bluastra: Oriana la chiama il sepolcro. Così Alekos compose le poesie più belle e strazianti, utilizzando ogni superficie disponibile per appuntare i suoi versi. 



Il 21 agosto 1974 gli venne concessa l’amnistia e la libertà. La prolungata esposizione al buio, la costrizione dovuta alle ridotte dimensioni della cella e l’isolamento forzato non gli permisero tuttavia di assaporare con gioia quel momento. Il mondo sembrava immenso e spaventoso.
Dentro il sepolcro avevi dimenticato che cosa fosse lo spazio, lo spazio aperto. […] Ma la cosa peggiore era il cielo. Era un vuoto sopra il vuoto, una vertigine sopra la vertigine.
[...] Lo smarrimento che avevi provato vedendo quel baratro ora si traduceva in un’intuizione precisa, anzi nella consapevolezza che la libertà sarebbe stata per te un’altra sofferenza, un altro dolore.
Alekos conobbe Oriana prima attraverso i suoi libri, alcuni tra i testi che riusciva ad ottenere nel carcere, e appena fu libero la volle conoscere. Lei, interessata al personaggio prima che all’uomo, accettò l’invito e partì per la Grecia. Oriana si accorse che Alekos non aveva alcun canone, sia estetico che caratteriale, nel quale lei potesse riconoscere il proprio ideale. Eppure bastò la sua voce e il suo carisma ad affascinarla.
Deciso a far valere le proprie ideologie, Alekos si dedicò alla politica pensando fosse un valido impegno, ma si accorse ben presto che tutto il parlamento era ugualmente corrotto. Alekos era letteralmente tormentato dalla libertà. È un concetto, questo, che dal libro esce fuori in modo prepotente ed è ciò che ho amato di più: non avevo mai letto di libertà in questi termini; al bisogno di conquistarla, a prescindere dal risultato. Come un dolore fisico, Alekos avvertiva sulla pelle la sottomissione del popolo greco e l’omertà che la rafforzava.

La coppia si divideva tra momenti di estrema felicità a periodi di tensione e crisi. Perché il rivoluzionario, colmo di insoddisfazioni e sconfitte, non lasciò mai l’uomo. Per mettere in atto le proprie ideologie e sovvertire il potere, Alekos si procurò alcuni documenti riservati dai quali emergevano corruzione e illegalità a carico della maggior parte dei rappresentanti del governo greco, tra i quali il ministro della difesa Evangelos Averoff. 
E fu proprio quando Alekos provò a divulgare, tramite un giornale locale, queste informazioni segrete che si trovò invischiato in un inseguimento automobilistico che si concluse con sua la morte. Il governo greco archiviò il caso come un tragico incidente ignorando ogni parere contrario, mettendo a tacere in questo modo ogni testimonianza o perizia successiva.
S’agapò tora ke tha s’agapò pantote.
– Cosa significa?
– Significa: ti amo ora e ti amerò sempre. Ripetilo.
Lo ripeto sottovoce. – E se non fosse così?
– Sarà così.
Tento un’ultima vana difesa: – Niente dura per sempre, Alekos. Quando tu sarai vecchio e…
– Io non sarò mai vecchio.
– Sì che lo sarai. Un celebre vecchio coi baffi bianchi.
– Io non avrò mai i baffi bianchi. Nemmeno grigi.
– Li tingerai?
– No, morirò molto prima. E allora sì che dovrai amarmi per sempre.


***
Un uomo, Oriana Fallaci. Rizzoli, 2010.

Commenti

  1. Wow! Coinvolgente la recensione, appassionante il tema del libro,splendide le foto di loro due insieme.... Mi si è stretto un nodo alla gola! Quando si scrive di un qualunque evento o personaggio,ci si immedesima il piu' possibile per rendere al meglio la narrazione e la descrizione. Il fatto che lei sia stata protagonista del suo stesso racconto,di un racconto per nulla facile da vivere, in quel momento, e da descrivere, dopo,..............................ok,torno al mio nodo in gola.

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    1. Esattamente.
      Mi chiedo ancora se sia stato peggio viverlo o "riviverlo".

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    2. Credo entrambi allo stesso modo,ma per motivi differenti.
      Nel viverlo ci si lascia trascinare dal susseguirsi degli eventi e delle emozioni,nel riviverlo ci si sofferma su ogni piccolo dettaglio a pensare collegare elaborare..intensificando ulteriormente cio' che si e' vissuto.

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  2. Io non ho ancora letto questo libro della Fallaci, ma penso di farlo; e anche se non fosse stato così, il tuo post mi avrebbe convinto almeno a provarci. E' molto sentito, si percepisce quanto ti abbia colpita :)

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    1. Mi fa davvero piacere che si avverta il mio entusiasmo perché è reale; è una storia molto bella per quanto drammatica.
      A me ha lasciato molto.

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  3. Conosco, come lo conosco. questo libro della Fallaci. Questo e Niente e così sia. E Lettera a un bambino mai nato.
    Sono cresciuta con il mito di Oriana dentro. Poi, cosa le è caduto? Come ha potuto scrivere ciò che ha scritto dopo? Io non riesco a rassegnarmi. Magari a voi sono piaciuti i suoi ultimi libri. A me no. Erano beceri e violenti. Approssimativi, tagliatole. Per una che ha vissuto una storia cos, incomprensibili.
    Marisa

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    1. Io ho letto solo questo di cui ho parlato e "Lettera ad un bambino mai nato".
      Dici che i lavori successivi non reggono il confronto?

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